di Robert Crowe
La disinformazione è l’ultima pericolosa arma rimasta in mano alle élite tigrine e ai suoi alleati che non hanno accettato il cambiamento di governo in Etiopia guidato dal Premio Nobel per la Pace Abiy Ahmed. Il periodico “The Week” è l’ultima vittima di questa raffica di fake news diramate subdolamente da quel che resta del TPLF, il Fronte di Liberazione Popolare del Tigrai, il partito dell’ex Primo Ministro Meles Zenawi (foto a sinistra) e dell’attuale Direttore Generale dell’OMS Tedros Adhamon.
Il settimanale statunitense, in un reportage intitolato “Tigray, Etiopia”, ha riportato una serie di false notizie che ha come obiettivo quello di gettare discredito sul governo etiope e su quello eritreo. Del resto, questa è una storia antica: in un’epoca in cui i giornalisti viaggiano poco, in assenza di testimonianze dirette si riportano le notizie riferite da una parte o dall’altra. E molto spesso sono soltanto false notizie. Così, in questa guerra propagandistica chi ci rimane di frequente nel mezzo sono le ONG, utilizzate in maniera strumentale. In altri casi invece sono addirittura le grandi organizzazioni umanitarie internazionali a venire strumentalizzate.
Le notizie riportate in buona fede da “The Week” sul Tigrai sembrano proprio figlie di queste logiche perverse della propaganda. Altri media arrivano addirittura ad accusare gli eritrei di macchiarsi di orribili crimini nel Tigrai contro la popolazione civile e in particolare contro le donne quando tutti sanno e riconoscono che l’etica e il senso di solidarietà e di responsabilità del Fronte Popolare di Liberazione Eritreo ha forgiato negli ultimi 30 anni un popolo che si distingue per senso civico e rispetto altrui e che viene spesso preso ad esempio non solo in Eritrea ma nei paesi dove esiste una importante diaspora. In particolare l’Eritrea è riconosciuta per il ruolo che hanno avuto le donne nella lotta di liberazione nazionale conquistandosi la considerazione degli uomini eritrei che hanno finito per essere educati a rispettarle e al concetto di parità. Affermare che eritrei rubano nel Tigrai quando la storia ci insegna che gli eritrei hanno aiutato, senza chiedere niente in cambio, paesi per esempio come il Rwanda, la Repubblica Democratica del Congo , il Sudan del Sud e la Somalia per esclusivo senso di solidarietà, non è solo falso ma criminale.
I Tigrini stessi che conoscono bene gli eritrei e che ne hanno ottenuto il sostegno incondizionato durante il periodo della guerra di liberazione, sanno che queste sono calunnie che vengono pubblicate ad arte per denigrare gli sforzi di collaborazione del Presidente Isaias Afewerki e del Primo Ministro Abiy per pacificare il Corno d’Africa. Gli osservatori, ma anche i semplici analisti che hanno studiato e vissuto le recenti vicende del Corno d’Africa, sanno perfettamente che l’Eritrea ha un ruolo positivo e stabilizzante nella regione. Il Premier Abiy , rispettando il suo mandato politico, è impegnato anche lui a pacificare l’area creando così le condizioni per lo sviluppo dell’intera regione. La pace con l’Eritrea , dopo venti anni di guerra, è stata raggiunta in poche settimane. Sappiamo oggi che la volevano tutti gli etiopici, ad eccezione dei Tigrini del Tplf che l’hanno sempre ostacolata, ma la voleva soprattutto l’Eritrea.
La dimostrazione è che quando è arrivato un uomo di pace come Abiy , il Presidente dell’Eritrea, Isaias Afewerki, ci hanno messo veramente poco a trovare un’intesa di pace ristabilendo il corso normale di una storia che era già stata scritta venti anni prima. Poi, a testimonianza di questo storico evento, è arrivato il Nobel, poi, ancora, è arrivato l’accordo a tre (Etiopia, Eritrea, Somalia) per dare nei fatti una prospettiva economica e sociale a tutto il Corno d’Africa. Gli unici che si sono sempre battuti contro questo processo di pace e di sviluppo sono stati sempre e soltanto loro, i tigrini del TPLF che oggi utilizzano il loro network internazionale costruito e finanziato con le ingenti somme sottratte al bilancio del Tesoro Etiope per continuare a disinformare su quello che succede veramente nel Tigrai e nella regione.
Questa fabbrica di fake news internazionale è purtroppo formata anche da ONG e da funzionari ONU che sono ancora legati a dirigenti del Tplf. Essi fingono di ignorare che il Tplf si è rivelato sovversivo e chi si è macchiato di tremendi atti terroristici e di crimini che il governo etiope si appresta a giudicare nei prossimi mesi. Oltre ai vari attentati e stragi commesse in Etiopia, il Tplf è accusato di aver commesso dei crimini nella sua stessa regione del Tigrai. Per esempio è ormai accertato che le milizie del Tplf dopo aver commesso il massacro di Mai-Kadra sono fuggite nel Sudan facendosi passare per rifugiati mischiandosi ai civili in fuga. Come è ormai accertato che prima di fuggire da Macallè , hanno liberato le carceri del Tigrai riempite di criminali comuni dopo averli forniti di abiti militari copiati dalle divise usate dai militari eritrei e cucite nella loro fabbrica di Adwa per poter accusare in seguito gli eritrei dei crimini commessi.
La questione dell’intervento armato nel Tigrai per salvaguardare la pace in Etiopia e nel Tigrai è figlia della risposta ad un attacco armato da parte del Tplf effettuato nel novembre 2020 che aveva come obiettivo di destabilizzare l’Etiopia e di fare un colpo di stato militare per rovesciare il governo etiopico di Abiy. Tutti quelli che oggi accusano il governo etiope di essere intervenuto nel Tigrai fanno finta di dimenticare che se non ci fosse stata la reazione militare che ha permesso di sconfiggere i piani criminali e terroristici del Tplf , oggi avremmo un Etiopia divisa e in preda a guerre etniche fratricide con gravi ripercussioni su tutti gli stati della regione e con milioni di vittime e di profughi .
Queste persone dovrebbero anche ricordarsi che i tigrini del Tplf che rimpiangono non hanno voluto rispettare gli accordi di pace sottoscritti da Etiopia ed Eritrea e sono responsabili di aver destabilizzato l’intera regione per più di 20 anni sostenuti da una communita’ internazionale ingannata dalla loro politica basata su fakenews e sostenuta da riconoscenti e generosi contributi a media compiacenti. Mentre vendevano l’immagine di un governo stabile che pensava solo alla crescita e allo sviluppo dell’Etiopia, preparavano la secessione del Tigrai e delle altre regioni etiopiche sfruttando i conflitti etnici e acquistando ingenti armi da concentrare nel Tigrai con la scusa della minaccia eritrea che veniva regolarmente alimentata ad arte.
Non si può in effetti non ricordare come i tigrini, quando ancora comandavano ad Addis Abeba, avevano fatto trasferire a casa loro più del ’80 per cento degli armamenti nazionali. Un gesto furbo e alquanto arrogante che puntava di fatto a mantenere il controllo delle forze armate per dominare il resto dell’Etiopia e l’intera regione, compresa l’Eritrea. Per capire la situazione attuale dell’Etiopia e del Tigrai non si può poi prescindere da quello che è successo il 3 novembre scorso.L’attacco ostile ordito dal TPLF contro tutte le posizioni e le basi militari del Comando Nord dell’Etiopia contro il quale il Premier Abiy ha dovuto opporsi è stata la causa della situazione che il governo etiope con fatica e dedizione sta cercando di gestire nel Tigrai. E tutte le persone di buona volontà dovrebbero sostenere gli sforzi del governo etiope ad aiutare le popolazioni locali a riprendere in mano il loro destino dopo essere stati liberati dai terroristi del Tplf, che dopo 20 anni di gestione affaristica e despotica del potere, stanno ancora tentando, con il sostegno dei loro vecchi amici e con tutti i mezzi a disposizione in Occidente, di salvaguardare il loro obiettivo di distruggere l’unità dell’Etiopia per mantenerne l’egemonia anche a costo di creare danni e perdite al loro stesso popolo.
Per chi avesse voluto capire come stavano veramente le cose, sarebbe bastato rileggere i vari discorsi pubblici che Abiy ha fatto prima di intervenire nel Tigray. Dei veri e propri appelli lanciati alla popolazione nei quali si spiegava che Addis Abeba non voleva fare altro che ristabilire l’ordine nella regione e la pace nell’intero Corno d’Africa. Appelli reiterati anche dai canali televisivi, ma caduti nel vuoto nel Tigrai non per reale volontà della popolazione ma perché le élite hanno voluto resistere fino alla fine. Quello che è accaduto dopo la presa di Macallè, la capitale del Tigrai, da parte etiope è certamente una cronaca di guerra. E come sempre in questi casi si provocano anche involontariamente tragedie. Se ci sono stati atti di violenza commessi da militari devono essere naturalmente investigati e duramente condannati.
Non abbiamo dubbi che il premio Nobel Abiy (foto a sinistra) saprà portare gli eventuali colpevoli alla giustizia e che promuoverà una commissione di inchiesta a tale fine che farà luce su quanto accaduto in maniera imparziale . Se oltre ai criminali del Tplf ci fossero anche soldati o ufficiali dell’esercito etiope fra i responsabili, saprà punirli in maniera esemplare. Perché anche durante una guerra ci sono regole e leggi che vanno rispettate. Ma anche questi fatti qualora venissero accertati non ci devono comunque fare dimenticare la realtà e cioè che sono stati i gruppi di potere tigrini a non rispettare gli accordi di pace scatenando, con il loro atto ostile, la guerra . Sono stati sempre loro a non voler deporre le armi nonostante i numerosi inviti ad arrendersi. E, ancora, sono stati loro prima della fuga dalla regione ad aprire le carceri e a mandare per le strade migliaia di delinquenti comuni e a usare la popolazione inerme come scudo.
In situazioni del genere è evidente che ci sia un’emergenza umanitaria. In una regione martoriata, è chiaro che la popolazione, già stremata dalla carestia e dal Covid, sia in uno stato di profonda sofferenza e che per tanto tenti di scappare verso le regioni confinanti. Questo è certamente un dramma di cui tener conto e cui far fronte. Tutti dovremmo impegnarci per mettere fine alla sofferenza di popolazioni vessate dai giochi di potere.
Ma la verità va rispettata. È difficile, ma occorre provare a rimanere ai fatti senza sottostare alle provocazioni e senza cedere ai tentativi di disinformazione tutt’ora in corso. Viceversa, si aggiungono vittime a vittime, tragedie a tragedie.
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