La parola pace è scomparsa dagli orizzonti della diplomazia internazionale, mentre Putin innalza lo stato di allerta ritirando il riconoscimento della Moldavia e sospendendo il trattato Start 2 contro la proliferazione del nucleare
di Gianni Perrelli
La guerra scoppiata in Ucraina esattamente un anno fa, che per la presunta superiorità della macchina bellica russa nelle previsioni degli analisti avrebbe dovuto durare tre o quattro giorni, si sta protraendo a tempo indefinito. E rischia di sfociare nell’apocalisse nucleare. La parola pace è scomparsa dagli orizzonti della diplomazia internazionale, salvo generici riferimenti in un esercizio di mediazione della Cina e in un irrealistico piano prospettato al’Onu da Kiev che reclama da Mosca il ritiro delle truppe dal Donbass e la restituzione della Crimea (più che altro una conta di chi sta con chi).
L’obiettivo di entrambi i contendenti non è più l’apertura di un tavolo di negoziati. E neanche di un armistizio che sospenda almeno temporaneamente la tragedia di un conflitto feroce e crei una fascia smilitarizzata nei territori contesi sul modello che separa da 70 anni le due Coree. Ma è, esplicitamente, la vittoria. La resa del nemico.
Moldavia, Transnistria e Start 2
Vladimir Putin, nel suo furore messianico, si dice convinto che la storia e il destino siano dalla sua parte. In uno spudorato capovolgimento della realtà sostiene che è stata la Nato, di cui Zelensky sarebbe il burattino, a invadere i territori russofoni e a far esplodere il conflitto. Ma la Russia vincerà perché è sostenuta da una vocazione imperiale di matrice zarista e anche da una superiorità etica, a suo avviso quasi legittimata dall’Onnipotente, che si oppone alle degenerazioni della civiltà occidentale tollerante verso l’omosessualità e perfino la pedofilia.
Per non farsi mancare niente, come preludio possibile di una nuova aggressione, ritira il riconoscimento della sovranità della Moldavia, controllata già in parte dal Cremlino con l’enclave della Transinistria. E, gesto più minaccioso ed eclatante, sospende il trattato Start 2 siglato con gli americani sulla limitazione delle armi nucleari, prefigurando, se non minacciando, un riarmo atomico dalle imprevedibili conseguenze. Anche se potrebbe trattarsi solo di una mossa tattica, per mettere pressione.
Perché Putin non può non mettere in conto che un attacco nucleare scatenerebbe una guerra mondiale con contraccolpi letali per la stessa Russia. Più probabilmente si concentrerà per il primo anniversario dello scontro su un nuovo assalto che fissa come traguardo ideale (e nel 2022 fallito) la conquista di Kiev. Lo zar, forte ancora di un sostegno popolare basato sul patriottismo e poco intaccato dalle sanzioni alleggerite in qualche modo dagli aiuti della Cina e dell’India, può permettersi di puntare su una guerra di logoramento che creerebbe crescenti tensioni nelle società occidentali.
Anche Volodymyr Zelensky, incoraggiato dall’arrivo dei nuovi armamenti offensivi dall’America e dall’Europa sia pur in parte esitante, si dichiara fiducioso di recuperare forse già entro l’anno i territori perduti. E’ un ottimismo suffragato dai successi di primavera e dalla percezione che l’Armata Rossa non è così potente come si temeva. Joe Biden lo asseconda nella visione più ottimistica ribadendo che l’America rimarrà al suo fianco fino al trionfo. A difesa non solo dell’Ucraina, ma della democrazia in assoluto. Perché piegarsi a Putin, con lo spaventoso carico di crimini di guerra che è stato provocato, significherebbe alimentare i suoi appetiti per riannettere le altre terre perse da Mosca dopo il crollo dell’Unione Sovietica.
Il ruolo della Cina e l’attesa per la loro mediazione
Da un lato l’imperialismo all’attacco. Dall’altro la salvaguardia della libertà. Un conflitto inconciliabile di visioni. In mezzo la Cina. Che sulla guerra in Ucraina ha sempre avuto un atteggiamento ambiguo. Si è dichiarata dapprima soldale con Putin, votando a suo favore nelle deliberazioni dell’Onu. Nella comune avversione contro gli stili di vita occidentali e nella speranza che la capitolazione di Kiev potesse favorire un analogo esito nel progetto mai smentito di invadere Taiwan. Ma senza impegnarsi in un appoggio militare. Il fallimento bellico del Cremlino ha raffreddato col tempo il sostegno di Pechino. Che ha aiutato solo commercialmente Putin. Ma non ha mai attaccato esplicitamente Zelensky. Auspicando un’intesa fra le parti senza però suggerire una strada.
Nell’ultimo mese, dopo la decisione di interrompere l’isolamento imposto dal Covid, la Cina ha assunto una condotta meno defilata. Imposta da un’economia in affanno che obbligava a ripristinare i rapporti diplomatici coi partner commerciali. Xi Jinping ha ricominciato a dialogare con l’America. E a tessere nuovi legami con i paesi, fra cui l’Italia, con cui si erano intrecciate le intese di affari sull’asse della Via della Seta. Senza peraltro compromettere la consolidata amicizia con Mosca dove è stato invitato per una visita ufficiale che nelle intenzioni di Putin dovrebbe rinsaldare ancor più i rapporti.
I palloni spia cinesi altro elemento di tensione con gli Usa
Dopo la crisi dei palloni-spia cinesi abbattuti da Washington, cha ha riaperto le tensioni fra le due superpotenze impegnate nella corsa per la supremazia mondiale, la Cina ha intensificato la sua offensiva diplomatica. Inviando il ministro degli Esteri Wang Yi nelle principali capitali europee. E aprendo un dialogo anche con il governo di Kiev a cui è stato assicurato che Pechino non sta aiutando il Cremlino, come negli Usa si era ventilato, con la fornitura di droni e armamenti minori. La missione si è conclusa a Mosca dove Wang Yi avrebbe illustrato un piano di pace in 12 punti dai contorni indecifrabili che è poi stato proposto pure all’Onu. Imperniato sull’integrità territoriale (ma dell’Ucraina o della Russia allargata?).
Anche la Cina, insomma, è in campo. Pende con il cuore verso Mosca, con il portafogli verso l’Europa. E si confronta guardandosi un po’ in cagnesco con Washington. Un impegno di equidistanza che nasconde verosimilmente un’indecisione di fondo e che spera di allentare i furori con le prediche buone per tutti gli usi.
I rischi di Zelensky
Cosa accadrà a questo punto? La guerra andrà presumibilmente avanti ancora per molto. Nessuno dei due contendenti può arretrare. Putin perché perderebbe la faccia e quasi sicuramente il potere. Zelensky perché con tutte le atrocità commesse dall’Armata Rossa rischierebbe di venire linciato dal suo stesso popolo che ha accumulato una carica incommensurabile di odio verso i russi. Biden, reduce dal coraggioso e storico viaggio a Kiev, perché ha impegnato troppe risorse a favore dell’Ucraina.
Certo, solo Washington (e forse Pechino) avrebbe il potere di indurre Putin, che per il momento appare irremovibile, ad accettare una trattativa. Ma è un’ipotesi legata agli sviluppi bellici. A giudizio degli analisti nessuni dei due eserciti sarà mai in grado di riportare una vittoria completa. Prima o poi, naturalmente, alla pace si arriverà. Ma solo quando uno dei contendenti avrà conquistato abbastanza terreno da ritenersi pago e l’altro non avrà più la forza di continuare. Un momento che appare ancora lontano.
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