di Gianni Perrelli
La spallata è fallita. Il trumpismo si conferma vivo e vegeto, calamita circa (se non oltre) la metà dei consensi negli Stati chiave che più influenzano la distribuzione dei seggi nel Congresso americano. Ma non si espande a valanga. Non stende al tappeto i democratici che perdono sia pur in non larga misura il controllo della Camera dei Rappresentanti ma resistono al Senato, con la speranza di poter conservare la maggioranza dopo il ballottaggio di dicembre in Georgia.
Il presidente Joe Biden, che fino ad un paio di mesi fa sembrava tramortito soprattutto per le difficoltà a domare un’inflazione a quasi due cifre, e che secondo quasi tutti i pronostici appariva destinato a una sonora sconfitta, resta in piedi sia pur da anatra parzialmente zoppa. Ha superato gli scossoni dei salari diventati insufficienti a reggere il carovita, della criminalità sempre più aggressiva, delle nuove ondate migratorie. Riuscendo a limitare i danni grazie all’apporto di gran parte dell’elettorato femminile, indignato per la sentenza sull’aborto della Corte Suprema che ha riportato di svariati decenni indietro le lancette della storia. E del crescente consenso dei giovani elettori (la generazione X) stimolati anche dalla riduzione del debito per gli universitari e per una maggiore attenzione ai diritti civili. Biden, nel tagliando di metà mandato, può perfino vantarsi di aver fatto meglio di Bill Clinton e Barack Obama sconfitti ai loro tempi con più largo margine. E’ del resto una tradizione che i presidenti soccombano nelle elezioni di midterm, con le uniche eccezioni di Franklin Delano Roosevelt e di George Bush junior dopo gli attentati dell’11 settembre.
Senza l’appoggio di almeno uno dei due rami del Parlamento Biden avrà senz’altro maggiori difficoltà a imporre le sue scelte. Ma smorza intanto l’euforia dei repubblicani che si illudevano di recuperare la piena capacità di boicottaggio delle leggi presidenziali, vendicandosi già in questo turno di midterm del “furto della Casa Bianca” che nel 2020 sarebbe stato perpetrato dal partito dell’asinello. Una balla smentita dalle autorità di tutti gli Stati e da tutti i tribunali in cui erano sorte contestazioni. Ma a cui, per una sorta di mutazione antropologica dell’elettorato di destra (in prevalenza più attratto dagli slogan populisti che dalla difesa della democrazia), continua a credere quasi la metà dei repubblicani.
Il paese resta ovviamente lacerato. Anche perché, fino a che non si attenuerà la carica eversiva del trumpismo, è impossibile individuare un terreno di conciliazione che riesca a stemperare un clima di violenza ormai troppo radicato. Che nei momenti di scontro più acuto, come l’assalto al Congresso del 6 gennaio 2021, sembra quasi voler spingere la patria della democrazia verso una surreale riedizione della guerra civile. Accentuata dalle infiltrazioni manovrate da Trump che negli Stati da lui controllati ha imposto nei posti di vertice sottosegretari decisi a non riconoscere i risultati elettorali sfavorevoli alla destra. E’ in corso, però, in campo repubblicano un inizio di smarcamento dal quasi monopolio imposto da Trump basato sul ricatto e sulla paura. L’ex presidente ha fatto del disprezzo per l’avversario e dello sfregio delle istituzioni i marchi di fabbrica che intossicano il clima politico e ipnotizzano nel culto dell’uomo forte ancora masse di seguaci deliranti. Ma fra i conservatori più moderati comincia a farsi strada un dubbio. E’ Trump la figura giusta per svuotare gli odi, svelenire nella dialettica parlamentare le esasperazioni fratricide a cui si è ridotta la politica americana? E’ il profilo truce e divisivo di Trump quello più adatto per sfrattare dalla Casa Bianca i democratici che l’hanno conquistata opponendogli un candidato un po’ scialbo ma rispettoso della democrazia come Biden?
E’ un dubbio che sta contagiando perfino Trump. Pronto, se avesse trionfato in queste elezioni di midterm, ad annunciare tra squilli di fanfare la sua candidatura per il 2024. Oggi più incerto, più vacillante nella sua incredulità furibonda, tipica di chi non riesce ad ammettere di poter mai perdere. La battuta di arresto gli crea ancor più difficoltà per il concomitante trionfo in Florida del governatore Ron DeSantis che proprio lui ha fatto crescere a sua immagine e somiglianza ed ha dimostrato indubbie capacità di governo. L’ex delfino è ormai pronto a scalzarlo perché, pur essendo nei programmi più conservatore e forse addirittura più trumpiano di Trump, ha un profilo caratteriale meno ruvido e una maggiore affidabilità. Anche se non gli sarà facile conquistare terreno fuori dal suo territorio, in una dimensione nazionale intrisa di trumpismo. L’ex presidente, che si sente minacciato propio in casa, gli ha già dichiarato guerra definendolo ipocrita e annunciando pesanti rivelazioni sui suoi trascorsi.
Per Trump le primarie che inizieranno fa poco più di un anno non sarebbero insomma una passeggiata come immaginava. Tenterà, secondo il suo stile brutale, di buttare fuori strada il rivale interno battendo sul tasto che l’originale è sempre meglio della copia. Ma intanto la frenata dà ossigeno anche alle aspirazioni di moderati come Mike Pence e Mike Pompeo, incoraggiati a iscriversi alla corsa per la Casa Bianca.
Il parziale insuccesso di Trump apre contemporaneamente un dibattito anche in campo democratico. Biden avrebbe deciso di ricandidarsi nel 2024, di nuovo in tandem con Kamala Harris. Ma all’epoca avrà 82 anni. Il suo profilo vacillante non ispira eccessiva fiducia anche se viene sottovalutato per via delle gaffes che appannano nell’immagine più che nella sostanza la sua azione riformatrice. Ma basterebbe probabilmente a sconfiggere di nuovo Trump grazie al richiamo della difesa della democrazia a cui resta sensibile la maggioranza degli americani. Se il candidato repubblicano sarà però DeSantis i democratici (soprattutto l’ala sinistra guidata dall’astro nascente Alexandria Ocasio-Cortez) ritengono che serva una figura più giovane e dinamica. Il senatore Bernie Sanders, che si definisce un socialdemocratico e ha molto seguito fra la generazione X, avrebbe deciso di iscriversi nuovamente alle primarie. Ma è di un anno più vecchio di Biden. E’ più facile che si faccia largo un emergente, come il governatore della California Gavin Newsom (oggi 55enne).
La sostanziale tenuta di Biden ha riflessi infine anche sul quadro internazionale. Una poderosa avanzata dei repubblicani avrebbe rimesso in discussione l’appoggio degli Usa all’Ucraina e ristabilito un asse sotterraneo fra Trump e Putin. L’America potrà continuare a esplorare i sentieri molto stretti che conducono alla pace attraverso l’azione diplomatica. Senza indebolire Zelensky che con un trionfo di Trump avrebbe rischiato di vedere seriamente ridimensionato il sostegno militare del Pentagono.
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