di Gianni Perrelli
A 69 anni Xi Jinping non ha più rivali né ostacoli interni per tentare il sorpasso della Cina sugli Stati Uniti al vertice della supremazia mondiale. E’ una sfida titanica che l’imperatore rosso – cumulando dopo il 20.mo Congresso del Pcc le cariche di presidente, segretario del partito e capo delle forze armate – si prefigge con il terzo mandato di vincere nel prossimo quinquennio. Al termine del quale avrà governato più di Deng Xiaoping (il leader che non voleva titoli ufficiali), avvicinandosi alle altezze mitiche del Grande Timoniere Mao Tse Tung (21 anni al potere con diversi ruoli).
Oggi, nel politburo in cui non c’è neanche una donna e da dove sono stati allontanati i “liberali” come l’ex numero due Li Keqiang o il pronosticato erede Wang Yang, è circondato solo da yesman. Nel Comitato permanente (i sette maggiorenti al vertice) non si staglia ancora un possibile delfino. Le personalità meno nell’ombra appaiono tre. Li Qiang, forse futuro capo del governo nonostante il flop della sua campagna vaccinale a Shanghai. Hwang Huning, l’ideologo che sta spingendo il partito dalle sponde del capitalismo di Stato a quelle di un marxismo-leninismo rivisitato e pur sempre sensibile alle leggi del profitto. E Zhao Leji, il capo della campagna contro la corruzione, il cancro che rischiava di minare l’ortodossia comunista.
L’orizzonte, con lo slogan della “prosperità condivisa”, è quello di una maggiore equità. Dal 2008 il pil della Cina si è quintuplicato portando metà della popolazione (un miliardo e 400 milioni) fuori dalla povertà. Ma, anche a causa della pandemia, negli ultimi tempi il ritmo di crescita è rallentato. Per il 2022 è previsto un aumento solo del 3,3, il più basso degli ultimi 30 anni. In crisi è soprattutto il settore immobiliare con larghi strati della borghesia che si rifiutano di pagare i mutui per abitazioni mai consegnate. Inoltre almeno 600 milioni di cinesi, concentrati prevalentemente nelle campagne, sopravvivono tutt’oggi con salari di pura sussistenza. Da qui l’esigenza di un riequilibrio.
Ma la statura mondiale della Cina richiede il massimo degli sforzi su molti altri versanti. La priorità assoluta è l’assimilazione di Taiwan. Con gli strumenti improbabili della diplomazia o dell’invasione militare. Costi quel che costi. E sulla scia si delinea tutta una serie di grandi sfide (sempre nel solco della sfida gigantesca agli Usa) che investe svariati campi. Dall’economia alla tecnologia, dalle minoranze etniche agli armamenti, dalla sanità all’ideologia.
ECONOMIA – Xi Jinping cercherà di far girare al massimo i motori dell’apparato industriale. E di dare nuovo slancio alle capacità di espansione della Cina soprattutto nel Terzo Mondo, dove in passato Pechino in cambio di sostegno finanziario ha esteso la sfera di influenza soprattutto in Africa e America Latina. Proverà inoltre a intensificare le iniziative della Via della Seta, il corridoio che dalla Cina arriva all’Europa, recentemente frenate dalla pandemia e dalla guerra in Ucraina. Se vuol girare a pieno regime Pechino non può fare a meno dei flussi di esportazione verso un mercato ricco come quello europeo. E, nonostante la serrata competizione per il primato, non può nemmeno snobbare i rapporti commerciali con gli Stati Uniti rinviando nel tempo il disegno di decoupling (la separazione fra le due economie). Ma è arduo ipotizzare l’imminenza di un sorpasso. Il Pil individuale degli Usa, con un numero sensibilmente inferiore di abitanti, resta di gran lunga superiore. E Washington può pure avvalersi di tutta una serie di convergenze e di filiere produttive con le economie floride del Primo Mondo.
TECNOLOGIA – Pechino intende rafforzare il primato nell’alta tecnologia. Contando sull’enorme ricchezza delle risorse naturali (la Cina detiene il 90 per cento delle terre rare, le componenti base dello sviluppo digitale). Per rafforzare il settore Xi Jinping ha inzeppato il nuovo Comitato Centrale di tecnocrati, ingegneri e informatici. Sollecitandoli ad aprire nuove frontiere che consentano alla Cina di collocarsi all’avanguardia del pianeta. Ai fini dell’immagine internazionale molte energie verranno dedicate anche all’esplorazione spaziale dove la Cina è già in gara con gli Stati Uniti nella corsa ai nuovi sbarchi sulla Luna.
MINORANZE ETNICHE – Il concetto di accentramento del potere porterà Xi Jinping a non allentare la morsa sulle pulsioni indipendentiste del Tibet e dello Xinjiang. E a completare l’allineamento di Hong Kong dove la dissidenza è già praticamente azzerata. La repressione aggraverà quasi sicuramente lo standard del rispetto dei diritti umani. E provocherà tensioni interne. Problemi che come in passato non turberanno i sonni dell’imperatore. Forte di un apparato di repressione che non concede spazi e non ammette deroghe all’idea di una Cina totalmente appiattita sulle linee guida del partito-Stato.
ARMAMENTI – La Cina vanta una potente armata di oltre due milioni di soldati. E un arsenale di bombe atomiche e di armamenti sofisticati che la mettono in grado di neutralizzare qualsiasi insidia esterna. Ma anche se da un po’ di tempo si guarda un po’ in cagnesco con il Giappone e con l’Australia non intravvede serie minacce alla sua sicurezza. In concreto la forza militare potrà soprattutto servirle per regolare i conti con Taiwan se, come tutto lascia credere, il governo di Taipei si rifiuterà di consegnarsi senza spargimenti di sangue al dominio di Pechino. Secondo
I reports più allarmistici l’imperatore potrebbe optare per l’invasione già nel 2023. Molto potrebbe dipendere dall’evoluzione della guerra in Ucraina. Lo smacco che sta subendo l’alleato russo ha un po’ frenato l’aggressività cinese. Xi Jinping non può illudersi che Joe Biden non intervenga militarmente in soccorso di Taiwan. E lo scontro fra grandi potenze spingerebbe ancor più di oggi il mondo sul baratro della catastrofe nucleare.
SALUTE – Xi Jinping non intende ancora mettersi alle spalle il totem del Covid zero. Lo sbarramento – monstre che per due anni ha quasi del tutto isolato la Cina dal resto del mondo, chiudendo intere metropoli anche per un numero irrilevante di casi e sottoponendo i cittadini cinesi al supplizio di autentici sequestri di persona. Con riflessi pesanti anche sull’economia. Ma le autorità sanitarie obiettano che se Pechino avesse optato per la tolleranza e la convivenza con il virus, come è avvenuto in Occidente, in un paese così sterminato il numero delle vittime sarebbe stato catastrofico. Si è calcolato che in soli tre mesi sarebbero scoppiati oltre 200 milioni di contagi con un milione e 600 mila decessi. Stime che inducono l’imperatore a continuare con la politica dei piedi di piombo. Nella speranza che il Covid, nato proprio lì, attenui la sua carica il più velocemente possibile.
IDEOLOGIA – Con il motto “Arricchitevi”, agli inizi degli anni Ottanta, Deng Xiaoping aveva sprigionato la libera imprenditoria ridimensionando i lacci dell’economia centralizzata. Esplodeva una originale forma di capitalismo di Stato che sfruttava in forma dinamica le enormi potenzialità del paese. A patto però che non venisse mai messa in discussione l’assoluta primazia del partito che sgombrava le corsie dello sviluppo economico ma su ogni aspetto della crescita conservava l’ultima parola. Fatevi gli affari vostri, in sostanza, senza però mai entrare nel recinto minato delle decisioni politiche. Per almeno quattro decenni l’ortodossia marxista – leninista è rimasta quasi sullo sfondo sovrastata dai sensazionali risultati del turbocapitalismo di Stato. Nell’ultimo decennio, però, l’eccessiva intraprendenza di alcuni imprenditori, gli scandali di corruzione e un imborghesimento generale delle classi emergenti hanno indotto Xi Jinping a orientare di nuovo il pendolo verso l’ortodossia. A dispetto dei fallimenti registrati un po’ in tutto il mondo dal comunismo, soprattutto nell’Unione Sovietica, l’imperatore vuol riabilitare il marxismo-leninismo dimostrando che quando viene applicato con i giusti criteri può portare prosperità oltre che equità.
L’altro caposaldo è la difesa dell’autocrazia in opposizione alla democrazia. Una linea che continua ad accostare la Cina alla Russia, all’Iran, alla Turchia. Nella convinzione che per le risposte alle esigenze della contemporaneità serva più il decisionismo dell’uomo solo al comando delle estenuanti mediazioni delle nostre società democratiche. Giudicate da Pechino debolii e decadenti, se non addirittura debosciate.