Biologia sintetica, la Renewal Bio sta facendo esperimenti per produrre embrioni artificiali in uteri meccanici

di Emilia Morelli

Risale al 2003 la notizia della prima forma di vita interamente creata in laboratorio, Craing Venter è infatti stato il primo a riuscire a creare un virus sintetico. Tuttavia, immaginare che un essere umano possa essere creato artificialmente sembrava finora  fantascientifico, eppure la fantascienza potrebbe presto divenire realtà. Una start up israeliana, la Renewal Bio, sta portando avanti alcuni esperimenti che dovrebbero condurre a creare embrioni in laboratorio in maniera tale da estrarre i tessuti ed utilizzarli nei trattamenti di trapianto. La notizia si apprende da un articolo scientifico pubblicato sull’ Mit Technology Rewiew.

Gli esperimenti negli uteri artificiali sono condotti da Jacob Hanna, un biologo del Weizmann Institute of Science di Rehovot, che ha già conseguito risultati sorprendenti sulle cellule staminali di topo. Nel corso degli esperimenti hanno preso vita, all’interno di un utero meccanico, embrioni di topo altamente realistici, con cuori pulsanti e sangue che affluisce al cervello. Il tutto è reso possibile grazie alla rotazione di vasi che mantengono gli embrioni immersi nel siero del sangue nutriente e nell’ossigeno. Si tratta di un risultato senza precedenti in quanto per la prima volta è accaduto l’inimmaginabile, l’embrione è stato creato dagli scienziati del team di Hanna senza spermatozoi, ovuli e addirittura un utero.

Lo studio di Hanna sui topi è stato pubblicato sulla rivista Cell, ma la ricerca non si è arrestata e al momento nei laboratori di Hanna si stanno replicano embrioni umani.   A raccontarlo è lo stesso biologo che racconta di essere riuscito a produrre modelli artificiali di embrioni umani in utero meccanico giungendo ad un’età gestazionale di 40/50 giorni, momento della gravidanza in cui normalmente si sono già formati tutti gli organi di base.

Nella logica portata avanti da Hanna “l’embrione è la migliore stampante biologica in 3D, è l’entità migliore per creare organi e tessuti adeguati”. La ricerca combina la scienza avanzata delle cellule staminali con nuovi tipi di bioreattori con risultati a dir poco sorprendenti. Le cellule staminali, infatti, si uniscono spontaneamente tra loro dando vita a strutture di embrioni sintetici. Per la prima volta questi embrioni artificiali sono stati posti all’interno di uteri meccanici e i cuori hanno iniziato a pulsare.

Allo stato attuale, comunque, la ricerca consente solo di far crescere tessuti semplici come cartilagine o ossa mentre sta riscontrando non poche difficoltà per quanto riguarda gli organi complessi. Negli stessi topi meno di un tentativo su cento ha avuto successo e, anche gli embrioni che hanno resistito più a lungo, alla fine hanno sviluppato anomalie.

Ad oggi gli esperimenti sull’uomo sono condotti da Hanna utilizzando le proprie cellule e quelle di altri pochi volontari, tuttavia lo scienziato stesso si dice convinto che nessun embrione artificiale potrebbe di fatto divenire un essere umano anche qualora fosse trapiantato in un utero femminile. Ed è pertanto priva di fondamento l’eventuale critica di chi lo accusi di stare creando un esercito di cloni di se stesso in laboratorio.

“Non stiamo cercando di creare esseri umani. Non è quello che stiamo cercando di fare”, ha spiegato Hanna sottolineando che “Chiamare un embrione di 40 giorni mini me -considerato l’utilizzo delle sue stesse cellule- non è corretto”. In ogni caso lo scienziato ha pensato di risolvere eventuali dilemmi etici futuri aprendo alla possibilità di modificare geneticamente le cellule di partenza in modo che l’embrione ad esempio non sviluppi mai la testa, o a piacimento un cuore o un cervello.

La startup, finanziata finora con il capitale iniziale della società di venture capital NFX, ha informato altri investitori e i suoi materiali di presentazione affermano che la sua missione è “rinnovare l’umanità, rendendo tutti noi giovani e sani”.

Il piano tecnico preciso di Renewal Bio rimane, comunque, segreto e dal sito web della start up si evincono solo poche informazioni di base. “Ci sono pochi dettagli per un motivo. Non vogliamo promettere troppo e non vogliamo spaventare le persone”, afferma Omri Amirav-Drory, un partner di NFX che funge da CEO della nuova società specificando che si tratta “di immagini sensibili”.

Alcuni scienziati, comunque, ridimensionano i risultati raggiunti da Hanna affermando che gli embrioni artificiali di fatto non hanno alcuna possibilità di sopravvivere e, proprio per questo motivo, sarebbe meglio evitare di creare strutture di vita in laboratorio in tutto e per tutto simili all’uomo. Si potrebbe, infatti, addirittura porre il problema se questi embrioni artificiali godano o meno di diritti.

Appare evidente, comunque, che qualora la ricerca conduca ai risultati auspicati le implicazioni sulla qualità della vita delle persone sono sensazionali. Grazie agli embrioni artificiali si potrebbero trapiantare i tessuti in persone affette da patologie, i globuli embrionali potrebbero essere trasferiti a persone anziane donando nuovo vigore al sistema immunitario o ancora si potrebbe grazie agli embrioni dare vita a ovaie che consentano alle donne di generare a qualsiasi età o in qualsiasi condizione di salute e chissà quanto altro ancora.

Ovviamente, però, la scienza si scontra inevitabilmente con l’etica anche di quanti non siano strettamente intrappolati in dogmi religiosi.  La possibilità di creare la vita in laboratorio spaventa non poco e alcuni potrebbero temere ne escano intaccate le concezioni di  giustizia, equità e progresso. Si pensi alla discussione relativa all’appropriatezza o meno di concedere brevetti sugli organismi viventi, alla sottile valutazione su rischi e benefici, al complesso dibattito su quale sia il modo più appropriato in cui l’essere umano debba relazionarsi al proprio corpo e al mondo naturale. Quest’ultimo punto, che riguarda l’ambizione di creare artificialmente organismi non esistenti in natura, è particolarmente delicato. Esplicativa in proposito la famosa risposta di Hamilton Smith, il Nobel che ha aiutato Venter nelle ricerche che hanno condotto alla creazione del primo batterio in laboratorio, al quale hanno chiesto se stia giocando a fare Dio e che ha affermato: “Non stiamo giocando”.

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