Confcommercio, in nove anni hanno chiuso 100mila attività

di Carlo Longo

L’Osservatorio sulla demografia d’impresa nelle città italiane,  in particolare con riferimento ai centri storici, realizzato dall’Ufficio Studi di Confcommercio lancia un vero e proprio allarme in relazione alle perdite del commercio in Italia. In nove anni sono scomparsi dalle città italiane quasi 85 mila negozi, di cui 4.500 hanno chiuso durante la pandemia, se vi si sommano gli ambulanti  il calcolo arriva a 100mila attività.

Lo studio, realizzato con il contributo del Centro Studi delle Camere di Commercio Tagliacarne, prende in considerazione 120 comuni medio-grandi, di cui 110 capoluoghi di provincia e 10 comuni non capoluoghi di media dimensione mentre restano escluse dall’analisi le città di Roma, Milano e Napoli  in quanto multicentriche e per le quali risulta di difficile individuare cosa sia considerabile centro storico e cosa no.

Secondo Confcommercio la chiusura delle attività “è dovuta, purtroppo, alla stagnazione dei consumi di tipo strutturale che affligge l’Italia da tanto tempo”. Oggi i consumi, in termini reali, sono sotto i livelli del 1999 e lo stesso parametro in termini pro capite si colloca sotto i valori del 1998, cioè 17.297 euro del 2021 contro i 17.708 euro di 25 anni fa. L’analisi rivela anche una nota positiva: le attività legate al turismo sono cresciute anche durante la pandemia.

Nel dettaglio, tra il 2012 e il 2021 il numero di imprese, considerato il complesso di tutti i settori economici, risulta comunque stabile in quanto a fronte di un calo di circa 190 mila unità italiane ne sono subentrate straniere, la cui quota di mercato è del 10,6%. In termini numerici si parla di 200 mila imprese italiane venute meno e l’ingresso di 120 imprese straniere. Stesse dinamiche per l’occupazione: stabile quella degli italiani, in crescita dell’11% quella degli stranieri; e anche qui, considerando il commercio, gli alberghi e i pubblici esercizi, a fronte di 150mila italiani in meno ci sono 70mila stranieri in più.

L’Ufficio Studi di Confcommercio evidenzia, inoltre, per quanto riguarda i centri storici che il numero di imprese chiuse di commercio al dettaglio è superiore rispetto a quello delle imprese site in luoghi diversi ma aggiunge che il conteggio potrebbe dipendere da una diversa struttura urbanistica tra centri e non centri. Circa il commercio ambulante, prosegue il processo di razionalizzazione di questo comparto, indipendentemente dal luogo dell’attività. I numeri del commercio al dettaglio sono “discretamente brutti anche durante la pandemia, tenendo conto del congelamento delle dinamiche demografiche. E sono peggiori nei centri-storici piuttosto che nel resto delle aree delle città”.

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