Covid: ad un anno dalla pandemia, Harari evidenzia le criticità e le lezioni da cui trarre ispirazione

di Emilia Morelli

Non solo sommatorie di vittime innocenti, non solo sacrifici, non solo distanziamento sociale  a poco più di un anno da quando è iniziata la pandemia che ha colpito il pianeta sono emersi anche tratti, amari, da cui prendere le mosse per il futuro. L’analisi, realizzata per il Financial Times, perviene Yuval Noah Harari (foto), lo storico israeliano, che ha saputo condensare, a seguito di attenta analisi, tutte le lezioni che l’umanità dovrebbe saper cogliere per costruire le basi del proprio futuro. La premessa da cui muove Harari è che “nella guerra tra l’uomo e gli agenti patogeni l’uomo non è mai stato così potente” ed i punti che analizza sono molteplici.

Anzitutto nel paragone tra  il Covid 19 l’epidemia della Spagnola del 1918, gli enormi passi avanti della scienza e della medicina hanno consentito in meno di un anno di isolare il virus, individuare le modalità di trasmissione, gli accorgimenti per prevenire la diffusione e, sopratutto, creare un vaccino che sia in grado di sconfiggere il virus. Un secolo fa una risposta così veloce sarebbe stata impensabile.

In secondo luogo, non si può dimenticare che l’avvento di internet ha consentito di trasferire la maggior parte dei lavori online. La rete ha reso possibile trasferire migliaia di dati, consentire a miliardi di persone di continuare a lavorare restando a casa, limitando così l’aumento dei contagi. “Nel 1918, l’umanità abitava solo il mondo fisico, e quando il virus mortale dell’influenza spazzò questo mondo, l’umanità non aveva un posto dove scappare. Oggi molti di noi abitano due mondi, quello fisico e quello virtuale – spiega Harari -. Quando il coronavirus ha iniziato a circolare nel mondo fisico, molte persone hanno spostato gran parte della loro vita nel mondo virtuale, dove il virus non poteva seguirle”.

A fronte di alcune categorie professionali, rivelatesi indispensabili nella loro presenza fisica, ma al contempo perennemente sottovalutate – si pensi ai lavoratori della sanità, infermieri, cassieri dei supermercati, riders – un’altra grossa fetta di lavoratori ha trasferito la propria attività su internet, e questo non è un dato banale o scontato.

Da qui scaturiscono le lezioni della pandemia; posto il ruolo indispensabile che internet riveste per l’umanità, Harari si chiede cosa accadrebbe se l’architrave su cui si fonda venisse attaccato o si rompesse. “Dopo il 2020 sappiamo che la vita può andare avanti anche quando un intero Paese è in isolamento fisico. Ora provate a immaginare cosa succederebbe se la nostra infrastruttura digitale si bloccasse. La tecnologia informatica ci ha reso più resistenti di fronte ai virus organici, ma ci ha anche reso molto più vulnerabili ai virus informatici e alla guerra informatica -avverte Harari -. La gente spesso si chiede: “Qual è il prossimo Covid?”. Un attacco alla nostra infrastruttura digitale è il candidato principale. Ci sono voluti diversi mesi perché il coronavirus si diffondesse nel mondo e infettasse milioni di persone. La nostra infrastruttura digitale potrebbe collassare in un solo giorno. E mentre le scuole e gli uffici possono rapidamente spostarsi online, quanto tempo pensate che ci vorrebbe per tornare dalla posta elettronica alla posta ordinaria?”

La digitalizzazione ha, senza dubbio, messo in evidenza la portata straordinaria di cui è capace ma ha, al contempo, evidenziato quanto sia necessaria una stretta regolamentazione sulla possibilità di accesso ai dati personali su internet. Harari, in proposito, avverte “Il monopolio dei dati è la ricetta per la dittatura” e tutti quei consensi, quei coockie, cui senza pensare acconsentiamo altro non sono che i nostri dati personali, i dati sui nostri gusti, sulle nostre ricerche. Ecco che si pone come fondamentale una regolamentazione dettagliata in merito.

Riflettendo il monito di Harari non può che far paura, e l’analisi non finisce qui. Secondo Harari l’epidemia da calamità naturale è divenuta un dilemma politico. “I politici non sono riusciti a formare un’alleanza internazionale contro il virus e a concordare un piano globale”, spiega Harari, “È triste vedere che molti non riescono a capire un semplice fatto su questa pandemia: finché il virus continua a diffondersi ovunque, nessun paese può sentirsi veramente al sicuro. Supponiamo che Israele o il Regno Unito riescano a sradicare il virus all’interno dei loro confini, ma il virus continui a diffondersi tra centinaia di milioni di persone in India, Brasile o Sudafrica. Una nuova mutazione in qualche remota città brasiliana potrebbe rendere inefficace il vaccino e provocare una nuova ondata di infezioni”

Le considerazioni di Harari, comunque, non si limitano a tracciare un quadro delle criticità ma hanno anche una svolta propositiva. Secondo Harari i passi, imprescindibili, da compiere sono porre adeguate protezioni all’infrastruttura digitale, rafforzare i sistemi sanitari e, non da ultimo, mettere a punto un sistema operante su scala mondiale per monitorare e prevenire le pandemie. La creazione di una classe politica globale, capace di operare con un unico punto di vista ed in forza dello stesso scopo, laddove sia superato il tornaconto del singolo per giungere alla tutela collettiva. Ecco la lezione fondamentale da cui prendere le mosse.

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