Delega fiscale, scompare il modello duale di calcolo Irpef ma restano Cedolare secca e Flat tax

di Mario Tosetti

L’accordo raggiunto sulla riforma fiscale, sulla quale il governo Draghi era rimasto impantanato per mesi, vede scomparire l’idea della “progressiva evoluzione” del fisco italiano verso “un modello compiutamente duale”. Tuttavia, emerge un nodo fondamentale che attiene al punto centrale della riforma, anche più significativo della norma sul catasto oggetto di accese discussioni tra il governo e la Lega. In particolare, trascorse poche ore dopo la celebrazione dell’accordo la sottosegretaria all’Economia Maria Cecilia Guerra ha annunciato che Leu non voterà il nuovo articolo 2, quello che contiene il cuore della riforma Irpef, perché per come è (ri)scritto “cristallizza tutte le ingiustizie che caratterizzano il nostro sistema fiscale”.

Eppure, i tempi per l’approvazione sembrano stretti. Il provvedimento è, infatti, fermo alla Camera da otto mesi e anche a seguito della recente intesa appare difficile che i senatori si limitino a ratificare semplicemente quanto approvato da Montecitorio. Qualora la delega non sia approvata entro l’estate resterebbe priva del tempo necessario a emanare i decreti attuativi, non pochi a voler davvero far vivere tutta la delega, e l’intero provvedimento rischierebbe di essere travolto dalla legge di Bilancio prima e dalla campagna elettorale per le politiche poi.
Ad ogni modo, nell’ultimo testo scompare l’evoluzione “verso un modello compiutamente duale” del fisco italiano il che avrebbe determinato la suddivisione degli imponibili in due categorie: da un lato quelli soggetti all’Irpef progressiva, dall’altra quelli (da capitale, prima di tutto) a cui applicare un’aliquota proporzionale, cioè uguale per tutti. L’obiettivo è semplice da indicare: di cedolare in cedolare, in Italia l’Irpef ha perso via via la caratteristica di “imposta sui redditi” generale per ridursi di fatto a quella di “imposta sui redditi da lavoro, soprattutto dipendente, e da pensione”. Nel 2020, ultimo dato disponibile, da dipendenti e pensionati è arrivato il 97,05% dell’Irpef totale, cioè 154,6 miliardi su 159,3. Il dato si spiega con le tante tasse piatte che in Italia si applicano ai redditi delle partite Iva, ai canoni degli affitti abitativi concordati e non, oltre che ai redditi da capitale. Secondo alcuni una tale riforma dell’Irpef avrebbe determinato de facto un indebito vantaggio per coloro che hanno una capacità contributiva rafforzata con entrate aggiuntive rispetto allo stipendio o alla pensione che si sarebbero trovati però a pagare meno tasse. Secondo altri, invece, con la riforma si sarebbe garantita una tutela a settori e mercati che l’Irpef soffocherebbe incentivando anche il nero.

In ogni caso il dibattito che ha determinato l’uscita di scena del duale dalla delega non è stato accademico, ma politico. Perché il rischio di rivedere la cedolare sugli affitti o la Flat Tax degli autonomi ha spinto sulle barricate il centrodestra, che ha ottenuto nei fatti una riscrittura integrale dell’articolo 2.

Nel nuovo testo si parla in primis di una “progressiva revisione dei redditi personali derivanti dall’impiego di capitale”, con l’obiettivo di mettere ordine in un sistema che oggi tra risparmio gestito, amministrato e plusvalenze di vario tipo fatica a trovare una logica. La revisione deve mantenere distinti i redditi “da capitale mobiliare e immobiliare”, per salvaguardare la cedolare secca. E non si deve occupare della Flat Tax delle partite Iva. Quelli in discussione sono, infatti, temi in grado di far saltare una maggioranza che sul fisco ha visioni opposte.

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