Giansanti (Confragricoltura): “una moderna impresa agricola per lo sviluppo del Paese”

In occasione dell’Assemblea Generale, il Presidente della più antica organizzazione di tutela e di rappresentanza delle imprese agricole nel suo intervento ha raccontato il lavoro svolto e spiegato come da oltre 100 anni questa confederazione sia in grado di immaginare il futuro e di mettere le imprese agricole a servizio della crescita del nostro paese. Ecco il testo integrale dell’intervento 

di Massimiliano Giansanti*

Policrisi”, è il termine nuovo che è stato coniato per inquadrare la realtà che, come cittadini e imprenditori, stiamo vivendo negli ultimi anni. Per effetto della pandemia e dell’aggressione russa all’Ucraina, tutti gli indicatori economici hanno raggiunto livelli senza precedenti. Il rialzo dell’inflazione è stato di portata tale da sorprendere anche i banchieri centrali.  Pure la stretta monetaria messa in atto per frenare la corsa dei prezzi è senza precedenti. Per intensità e velocità non ha riscontri dall’entrata in vigore dell’euro. L’emergenza sanitaria è superata, ma il quadro di riferimento resta segnato da condizioni di grande incertezza sulle prospettive e sull’esito del conflitto in corso in Ucraina. In questo difficilissimo contesto, alcuni punti di forza sono comunque emersi in Italia e in ambito europeo e vanno evidenziati, perché stanno ad indicare qual è la strada da seguire per una ripresa solida e duratura.

L’Unione europea è dotata di un settore agroalimentare resiliente ed efficiente.In una fase in cui la sicurezza alimentare è diventata una questione strategica globale, i cittadini europei possono fare affidamento sulla garanzia dei rifornimenti per le produzioni di base. Sui mercati arrivano prodotti sicuri e di qualità, ottenuti secondo i più elevati standard mondiali in termini di tutela del lavoro, dell’ambiente e del benessere degli animali. Mentre Putin ha deciso di utilizzare il cibo come un’arma, le esportazioni della UE destinate ai Paesi meno avanzati sono servite ad evitare una crisi alimentare globale che avrebbe avuto pesanti conseguenze sul piano sociale e politico.

Solo la Commissione europea, talvolta, sembra ignorare che la garanzia degli approvvigionamenti è punto di forza a tutti gli effetti. Un atteggiamento preoccupante, sul quale mi soffermerò più avanti. Da parte nostra, in questi anni difficili, abbiamo lavorato con il massimo impegno per assicurare la continuità dei cicli di produzione, messi a repentaglio dall’impennata dei costi. Abbiamo chiesto e ottenuto interventi dal lato dei prezzi dell’energia e del gasolio. La tassazione dei redditi è rimasta invariata.

Si poteva fare di più? Certo. Come sempre, ma va ricordato che eravamo in competizione con gli altri settori produttivi e con le risposte da dare anche alle famiglie. E i fondi pubblici disponibili non erano illimitati. Siamo convinti che le nostre iniziative siano state positive ed utili. Le imprese italiane hanno saputo reagire alla crisi decisamente meglio dei nostri principali concorrenti. Meglio e con maggiore velocità rispetto ad altri, è stata intercettata la ripresa del commercio internazionale, dopo il rallentamento determinato dai lockdown.

La crisi non è stata sprecata. Il sistema delle imprese ha reagito, puntando sugli investimenti, sulle innovazioni per far salire la produttività. Lo scorso anno, nonostante il calo del valore aggiunto e della produzione a causa del cambiamento climatico, gli investimenti in agricoltura sono aumentati del 16% secondo i dati dell’ISTAT. La crescita del PIL in Italia è superiore a quella media dell’area dell’euro. Stiamo crescendo più della Francia e della Germania. La forza del sistema imprenditoriale italiano è stata analizzata con encomiabile lucidità dal professor Fortis in numerosi articoli, nei quali si è, in particolare, soffermato sull’efficacia degli incentivi 4.0 sui quali – come Confagricoltura – abbiamo lavorato e puntato molto.

Andiamo avanti su questa strada, anche nel contesto della revisione in corso del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Al riguardo, sosteniamo le iniziative del governo per la revisione del PNRR. Anche altri Stati membri hanno richiesto cambiamenti. Per l’Italia, va detto, l’esercizio è più difficile perché siamo il primo paese beneficiario dei fondi del “Next Generation EU”. Da parte nostra, nel quadro della revisione in corso, abbiamo chiesto di aumentare gli stanziamenti a disposizione per i bandi che hanno avuto un riscontro largamente superiore alle attese. A partire dai contratti di filiera.

Sosteniamo in pieno l’iniziativa allo studio del governo di ripristinare le percentuali del credito di imposta “Transizione 4.0”. Oltre a tutto è un incentivo di facile gestione per la pubblica amministrazione e per gli imprenditori. Sulla questione delle energie rinnovabili, rinnoviamo al governo l’invito ad esplorare tutte le possibilità per estendere gli incentivi del secondo bando per l’agrisolare anche a coloro che avevamo aderito al primo. Penso che sia interesse comune quello di ottenere i migliori risultati possibili.

Le risorse del PNRR sono in larga misura a debito e vanno utilizzate al meglio per rafforzare la competitività di sistema, ma non dimentichiamo il capitolo essenziale delle riforme. Dobbiamo fare un salto di qualità in termini di efficienza della pubblica amministrazione. Dobbiamo migliorare i rapporti tra governo centrale e regioni. Dobbiamo semplificare i processi decisionali e operativi grazie alla digitalizzazione. Questo Paese, membro del G7, non può entrare in crisi perché non si riesce a contrastare con efficacia e tempestività la proliferazione dei cinghiali. Non può procedere a velocità ridotta, mentre la Xylella sta distruggendo l’olivicoltura pugliese e le fitopatie tagliano la produzione di vini in molte regioni italiane.

Rinnovo oggi agli agricoltori dell’Emilia-Romagna e delle altre regioni colpite dalle alluvioni la nostra totale vicinanza e la continuità dell’impegno per il sollecito ristoro dei danni subiti e per la messa a disposizione delle risorse finanziarie per la ripresa. Siamo sicuri che il generale Figliuolo farà un ottimo lavoro, ma deve poter contare con la massima sollecitudine su finanziamenti e strumenti adeguati.Le vicende dell’Emilia-Romagna confermano che la cura del territorio, la puntuale manutenzione delle infrastrutture sono fondamentali per la crescita economica, tanto più nel quadro del cambiamento climatico. Abbiamo accumulato troppi ritardi. Serve davvero e una volta per tutte un cambio di passo.

Come già sottolineato poc’anzi, il quadro di riferimento esterno è contraddistinto da grande incertezza, ma i principali organismi economici internazionali sono concordi nel ritenere che, superata la crisi, non torneremo alla situazione esistente prima della pandemia, quando l’inflazione non faceva paura, i tassi di interesse erano sul minimo storico e il credito abbondante per famiglie e imprese. L’aumento dei tassi da parte della Banca centrale europea genera forti preoccupazioni per la stabilità dell’Europa per la capacità competitiva degli Stati membri. Il rischio è che le misure adottate per contrastare la spinta inflazionistica possano innescare asimmetrie negative e durature sulla crescita.

Sulle imprese, in primo luogo. Veniamo da un periodo pluriennale durante il quale gli imprenditori hanno fatto ricorso al credito per finanziare gli investimenti finalizzati ad una maggiore competitività aziendale. Dalle innovazioni digitali, ai cambiamenti delle fonti energetiche in aggiunta al costante aggiornamento dei processi produttivi. Sulla spinta della politica monetaria in atto negli scorsi anni, quando il timore era quello della deflazione, è stato fatto un ampio ricorso ai tassi variabili. Oggi, il loro sostenuto aumento sta generando forte apprensione per la tenuta del conto economico e, di conseguenza, per la solvibilità delle imprese.

In questa situazione, il crollo della marginalità spinge le aziende ai margini del mercato. Per reagire, sono obbligate a trasferire i maggiori costi sul prezzo del prodotto finito, con il risultato di accrescere la spinta inflattiva. Nel corso della recente assemblea, i vertici dell’ABI hanno espresso la disponibilità a porre in essere un’iniziativa per la ristrutturazione dei debiti con l’allungamento delle scadenze e la riduzione dell’importo delle rate, in attesa di specifiche decisioni da parte dell’Autorità bancaria europea.

Abbiamo già espresso all’ABI il nostro apprezzamento e la piena disponibilità a collaborare, per passare il più rapidamente possibile alla fase operativa con pari efficacia sull’intero territorio nazionale. Anche i cittadini sono sotto pressione per il rialzo del costo del denaro. Le famiglie con una minore capacità di spesa stanno reagendo ai maggiori oneri con la diminuzione dei consumi, compresi quelli alimentari. Inoltre, tra digiuni a intermittenza e nuovi modelli alimentari, stiamo assistendo ad una preoccupante contrazione degli acquisti dei nostri prodotti di maggiore qualità. Sta affermandosi la ricerca sistematica del prezzo più basso che premia i discount e i prodotti a marchio del distributore.

L’aumento dei tassi d’interesse, poi, pesa anche sullo Stato, perché fa salire gli oneri per il finanziamento dell’elevato debito pubblico, riducendo così le risorse spendibili per famiglie e imprese nell’ambito delle prossime leggi annuali di bilancio. E’ una prospettiva molto critica, considerando che la portata degli aiuti di Stato sta diventando sempre di più un fattore di competitività sul mercato unico europeo. Prosegue, intatto, la guerra ai confini dell’Europa che sta determinando condizioni di forte instabilità sui mercati agricoli a livello globale. Per gli imprenditori agricoli risulta sempre più difficile leggere e interpretare gli andamenti e le prospettive, anche per il ruolo svolto dalla speculazione.

Basti guardare a quanto si sta verificando negli ultimi tempi per i “futures” dei cereali. I prezzi all’origine scontano un forte calo, mentre sui mercati a termine prevalgono gli orientamenti dei “trader”.  Oscillazioni di così ampia portata non sono sostenibili per le imprese. Rendono impossibile una corretta visione sulle prospettive dell’annata agraria. In ogni caso, viene fortemente ridotta, o addirittura annullata per taluni comparti, la capacità reddituale L’approvvigionamento di alcune materie di base – a partire da cereali e semi oleosi – continua ad essere condizionato dai rinnovi dell’accordo sulle esportazioni via mare dell’Ucraina. Dobbiamo assolutamente promuovere, in Italia e in ambito europeo, politiche di sostegno e sviluppo delle filiere che risultano strategiche per il nostro sistema agroalimentare.

Per ragioni strutturali, l’Italia ha bisogno di mercati aperti. Ecco perché guardiamo con preoccupazione ai cambiamenti che stanno caratterizzando il funzionamento del commercio internazionale. Il multilateralismo basato sulle regole dell’Organizzazione mondiale del commercio è in crisi. Sta imponendosi la competizione tra blocchi strategici. Sta per essere superata la fase di eccessiva dipendenza dal gas russo, ma stiamo già sperimentando i rischi di un eccesso di dipendenza – che sfiora il 70% in media – dalle materie prime cinesi essenziali per le transizioni energetica e digitale.

Il commercio internazionale non risponderà alle regole della libera concorrenza. Ogni parte punterà ad affermare, prima di tutto i propri interessi, sulla base di rapporti di forza. Anche il WTO ha indicato, di recente, che l’aumento dell’interscambio mondiale di beni e servizi è destinato a rallentare rispetto alla media degli ultimi anni. Siamo di fronte a problemi che nessuno Stato membro della UE è in grado di affrontare e risolvere da solo. Ma non possiamo permetterci di non avere una strategia italiana nell’ambito di una visione europea che stenta, purtroppo, ad affermarsi. Almeno per il momento.

Anche il settore agroalimentare ha bisogno di una strategia a lungo termine. Non possiamo più farne a meno, perché – come ho cercato di indicare – il contesto economico diventerà più sfidante. Abbiamo un governo forte di un’ampia maggioranza politica e le risorse finanziarie per recuperare il tempo perso. Rispondendo a una nostra richiesta, il governo ha deciso di costituire un Tavolo Agroindustriale. Da parte nostra, abbiamo già presentato un documento di proposte. Su alcune questioni abbiamo, tra le altre, richiamato l’attenzione. Rafforzamento della logistica e delle infrastrutture, per facilitare l’esportazione dei nostri prodotti. Nel trascorso decennio, sono quasi raddoppiate. E’ nelle nostre possibilità salire da 60 a 100 miliardi di euro l’anno. Con la crescita delle esportazioni possiamo far salire anche il tasso di autoapprovvigionamento fermo al 75%, producendo così nuova ricchezza e buoni posti di lavoro.

Diffondiamo sempre di più la conoscenza del legame stretto che esiste tra corretta alimentazione e salute. Rafforziamo le iniziative all’estero sul consumo moderato e consapevole di tutti i prodotti che caratterizza la “Dieta Mediterranea”.  In questo modo, l’algoritmo del “Nutriscore”, non potrà contrastare l’ulteriore affermazione dei nostri prodotti sui mercati internazionali. Un altro punto per noi sensibile è quello del rafforzamento delle filiere. Scontiamo la mancanza di un confronto strutturato con le altre parti del sistema agroalimentare.

Potremmo, insieme, fare molto di più per contrastare la caduta dei consumi e gestire il preoccupante disallineamento in atto tra prezzi all’origine in forte calo per i prodotti agricoli e prezzi finali al consumo. Alla grande distribuzione italiana, in particolare, chiediamo di studiare un’iniziativa per contrastare la caduta dei consumi dei prodotti destinati all’alimentazione. Altro tema di rilievo è quello del lavoro.  Lo scorso anno abbiamo raggiunto un accordo ragionevole sul rinnovo del contratto collettivo. Le relazioni con i sindacati dei lavoratori sono buone e siamo pronti per la stagione dei rinnovi territoriali.

Con la consueta responsabilità, ma intendiamo anche evidenziare alcuni aspetti che sono essenziali per la Confagricoltura. In primis, la valorizzazione del capitale umano. Ci avviamo verso l’affermazione di nuovi processi e modelli produttivi. La formazione diventa, quindi, essenziale.  D’intesa con i sindacati, grazie agli strumenti messi a disposizione dalla “bilateralità”, dobbiamo investire per far crescere la professionalità degli operai che sono il fulcro delle imprese.  Il nostro è un settore “labour intensive” e la Confagricoltura è l’associazione di riferimento dell’imprenditorialità agricola con il maggior numero di giornate lavoro. Vogliamo pertanto portare il nostro contributo costruttivo per un nuovo sistema contrattuale. Va rafforzata la centralità e la specificità del lavoro agricolo.

Non possiamo assistere passivamente alla diffusione di nuovi strumenti e all’accesso di nuove figure. Ad esempio, i contratti di appalto che, se da un lato, facilitano l’accesso al mercato del lavoro, dall’altro operano in quadro di piena opacità. In generale, va misurata la reale rappresentanza del lavoro. Va rilevato chi rappresenta le giornate effettivamente svolte all’interno delle imprese agricole. Non possiamo permetterci che il sistema salti a causa di spinte esogene. Le nostre imprese vogliono assumere e incontrano grandi difficoltà a trovare collaboratori, soprattutto stagionali. Puntiamo su un nuovo modello di incontro tra domanda ed offerta di lavoro in grado di rispondere a tutte le esigenze. Dei lavoratori e delle imprese. Non siamo interessati a una trattativa centrata solo ed esclusivamente sulla parte economica.

Ritorno ora agli aspetti prettamente produttivi. Ho chiesto alle Federazioni Nazionali di Prodotto di avere un prospetto sulle situazioni di settore in una fase congiunturale complicata, tra calo dei consumi e riduzione dei prezzi. Sono arrivate utili indicazioni, anche in vista dell’avvio delle discussioni, dopo la pausa estiva, sulla legge di bilancio per l’anno venturo. Ogni settore ha le proprie specificità, ma ho ritrovato nei testi che sono pervenuti alcune esigenze comuni. Difficoltà di reperimento della manodopera. Difficoltà nei rapporti con la grande distribuzione. Costo del lavoro superiore a quello dei nostri principali concorrenti, anche a causa del cuneo fiscale. Necessità di ristrutturazione dei crediti bancari. Limiti eccessivi all’uso di prodotti fitosanitari di fronte alle conseguenze del cambiamento climatico.

Durante la pandemia, l’Unione europea ha assunto fondamentali decisioni. L’acquisto centralizzato dei vaccini e il varo del “Next Generation EU” finanziato con l’emissione di debito comune. Ora è evidente la mancanza di una visione strategica per affrontare le nuove sfide. Nei giorni scorsi, la Commissione ha presentato la sua proposta per la revisione di medio periodo del bilancio pluriennale Ue fino al 2027. Agli Stati membri è stato chiesto di aumentare di 66 miliardi di euro le risorse finanziarie a disposizione. Alcune richieste sono giustificate, come nel caso dei maggiori aiuti all’Ucraina e degli oneri per la gestione dei flussi migratori. Altre, invece, sono difficili da accettare.

Sono stati chiesti maggiori fondi nell’ordine di due miliardi, per far fronte ai maggiori oneri amministrativi determinati dall’aumento dell’inflazione, ma nessun incremento di spesa è stato proposto per il bilancio agricolo. Come se il nostro settore fosse stato al riparo dall’inflazione. Non è stata neppure accolta la richiesta del commissario all’Agricoltura di aumentare almeno la dotazione della riserva di crisi della PAC che ammonta a 450 milioni di euro. Quasi duecento milioni di euro in meno – solo per fare un esempio – rispetto ai sostegni erogati nei giorni scorsi agli agricoltori spagnoli per compensare i danni della siccità.

Le proposte della Commissione vanno assolutamente riviste, perché è di tutta evidenza la contraddizione tra i crescenti obblighi imposti agli agricoltori e la carenza di fondi. Forse, si pensa di proseguire sulla strada degli aiuti nazionali che lo scorso anno, secondo i dati di Bruxelles, hanno raggiunto i 7 miliardi di euro. Sia chiaro, però, che il risultato finale sarebbe la crisi del mercato unico per la differente capacità di spesa tra gli Stati membri. A questo punto, vorrei fare alcune riflessioni sulla prospettiva dell’adesione dell’Ucraina all’Unione europea. Prima della fine dell’anno, sarà presentato un rapporto sui tempi e sulle modalità del negoziato.

Con l’adesione dell’Ucraina, la politica agricola dell’Unione dovrà essere rivista alle radici. E’ scontato. Quella attuale non sarebbe sostenibile, prima di tutto, sotto il profilo finanziario e della stabilità dei mercati. Basti pensare che nel giro di un anno, per effetto della sospensione dei dazi doganali, l’Ucraina è diventata il secondo fornitore di prodotti agroalimentari della Ue. Le importazioni sono passate da 7 a oltre 13 miliardi di euro, con un incremento che sfiora il 90%. E sono salite anche nei primi tre mesi di quest’anno, circa un miliardo e mezzo in più sullo stesso periodo del 2022. Il crollo in atto del prezzo dei cereali è in qualche misura da mettere in relazione con l’aumento dei flussi in arrivo dall’Ucraina. Nei primi tre mesi dell’anno, l’importo è aumentato di circa 540 milioni di euro.nIn occasione della conferenza sulla ricostruzione che si è tenuta, a Londra, a fine giugno, il governo di Kiev ha presentato un programma che prevede un forte aumento della produzione di cereali e semi oleosi. Da 100 a 150 milioni di tonnellate Un altro motivo per avviare per tempo la riflessione sulla nuova riforma della PAC.

Dicevo che la Commissione europea sembra aver smarrito la visione strategica manifestata durante l’emergenza sanitaria. Manca meno di un anno al voto per il rinnovo del Parlamento europeo a cui, nel mese di ottobre, farà seguito la nomina della nuova Commissione. Con il COPA, siamo impegnati al massimo per la tutela delle nostre imprese di fronte alle proposte avanzate dalla Commissione nel quadro del “Green Deal”. Grazie alle decisioni assunte dal nostro governo in seno al Consiglio della UE e alle iniziative degli amici europarlamentari sono stati già ottenuti sensibili miglioramenti rispetto ai progetti della Commissione. Dalla riduzione dei fitofarmaci, al recupero della natura, fino all’ulteriore estensione agli allevamenti della direttiva sulle emissioni industriali.

Vedremo quale sarà l’esito delle votazioni della plenaria del Parlamento europeo che è in corso. Il nostro obiettivo non è quello di difendere posizioni di rendita, considerate negative ed antistoriche dalla Commissione.  Vogliamo difendere il nostro diritto di imprenditori che rispondono alle esigenze del mercato che chiede più cibo a livello mondiale. Siamo orgogliosi di essere agricoltori imprenditori. Non vogliamo diventare agricoltori giardinieri. Sono troppe le proposte e gli orientamenti della Commissione che vanno nella direzione sbagliata. Penso al “Nutriscore” contro il quale, da soli, abbiamo intrapreso e vinto una battaglia di fronte all’Autorità garante della concorrenza e del mercato.

Penso all’etichetta irlandese sugli alcolici ingiustamente penalizzante per il consumo moderato e consapevole dei vini. Con gli amici di Confindustria (Federvini), abbiamo presentato un esposto alla Commissione per ottenere un cambio di rotta. Penso alle proposte sugli imballaggi che penalizzano l’Italia che, sulla pratica del riciclo, ha conquistato posizioni all’avanguardia in Europa. Prosegue, intenso, il nostro lavoro di contrasto insieme alle associazioni industriali di settore.

Una buona notizia è però arrivata nei giorni scorsi da Bruxelles, con la presentazione della proposta di regolamento sulle tecniche di evoluzione assistita. Forse, è finita l’epoca dell’ostracismo nei confronti della ricerca scientifica e delle innovazioni. La nostra è una storia di rivoluzioni nelle nostre imprese che hanno portato benessere e lavoro. Ora vogliamo essere messi nella condizione di produrre di più, con una minore pressione sulle risorse naturali e una crescente partecipazione del nostro settore alla “decarbonizzazione” dell’economia. Su queste basi, a nostro avviso, dovrà essere rivista la PAC dopo il 2027. Quella in vigore dall’inizio di quest’anno è chiaramente inadeguata.

Con un bilancio adeguato, la PAC deve tornare ad essere uno strumento di politica economica per continuare a garantire ai consumatori produzioni adeguate in termini di qualità e quantità. E a costi accessibili, insieme a un giusto reddito per gli agricoltori. Agli aspetti produttivi, va poi aggiunto il presidio e la cura del territorio che l’agricoltura assicura alla collettività. Senza il nostro lavoro, il dissesto idrogeologico sarebbe più grave. La vitalità socio-economica delle aree extracittadine dipende dai risultati delle nostre imprese. Le attuali risorse finanziarie assegnate alla PAC sono insufficienti. Meno dello 0,5% del PIL europeo.

Vorrei far riferimento, a questo punto, ad alcuni dati citati in un recente discorso dall’Alto Rappresentante della UE per gli Affari Esteri, Josep Borrell. Entro il 2050, la domanda di cibo al livello mondiale aumenterà del 60%. Il che comporterà un maggiore fabbisogno di acqua, proprio quando l’acqua diventerà meno disponibile. Sempre nel 2050, oltre un miliardo di persone non avrà accesso all’acqua in modo sufficiente.La produzione di cibo sicuro inciderà sempre di più sulla sicurezza, sulla stabilità politica, sulla coesione sociale. Questi temi saranno sicuramente al centro della presidenza italiana del G7 l’anno venturo.

Secondo i dati della FAO, il 65% della produzione agricola su scala mondiale deriva dalle aziende che hanno una dimensione superiore ai due ettari.Abbiamo di fronte sfide nuove e complesse, ma alcuni principi di fondo restano sempre validi. Sono le imprese che producono ricchezza e creano posti di lavoro.Vanno messe nella migliore condizione possibile, affinché possano esprimere il massimo in termini di produttività e competitività. In ogni circostanza e in ogni epoca, la crescita sociale ed economica si conquista con il progresso scientifico e con le innovazioni.

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