
di Corinna Pindaro
Nel 2020 il rapporto deficit/Pil dell’Italia rilevato dall’apposita indagine Istat è del 9,6%, contro il 9,5% stimato dal Def, Documento Economia e Finanza redatto dal Ministero del Tesoro. Più basso delle stime e quindi migliore delle previsioni, invece, risulta essere il rapporto debito/Pil, certificato dall’Istat a 155,6% contro le stime precedenti che lo davano a 155,8%. I dati si apprendono sulla base dei Conti economici nazionali 2018-2020 pubblicati dall’Istituto nazionale di statistica secondo cui si individua un deficit primario, consistente nella differenza tra le entrate e le uscite dello Stato prima del pagamento degli interessi sul debito pubblico, pari al 6,1% del Pil per un importo di circa 50 miliardi di euro. In netto miglioramento rispetto all’anno della pandemia in cui il disavanzo è stato il frutto di un calo di 57 miliardi di euro delle entrate con uscite per 47 miliardi.
La pressione fiscale complessiva, secondo quanto rilevato dall’Ista, è stata pari al 42,8%, in crescita rispetto al 42,4% del 2019, inferiore rispetto a quanto stimato dal Def che prevedeva il 43,1%. L’aumento è motivato dall’Istat con “la minore flessione delle entrate fiscali e contributive(-6,7%)” rispetto a quella del Pil.
Le imposte sono scese del 6,7% mentre Prodotto interno lordo è crollato dell’8,9%, esattamente come anticipato dalle stime. Una “contrazione di entità eccezionale“, la definisce l’Istat, dovuta soprattutto al crollo della domanda interna, “mentre la domanda estera e la variazione delle scorte hanno fornito contributi negativi molto più limitati. Dal lato dell’offerta di beni e servizi si confermano le forti contrazioni del valore aggiunto in agricoltura, nelle attività manifatturiere ed in alcuni comparti del terziario”.
Il reddito disponibile delle famiglie consumatrici nel 2020 è calato del 2,9% in valore e del 2,6% in termini di potere d’acquisto con una diminuzione media dei prezzi al consumo dello 0,2%. Una marcata flessione dei consumi privati (-11%) ha determinato, per altro verso, il raddoppio della propensione al risparmio delle famiglie passata dall’8 al 15,6% del reddito disponibile.
L’anno segnato dalla pandemia ha visto un crollo degli investimenti fissi lordi del 9,2%, dei consumi finali nazionali del 7,8%, dell’export pari al 14,0%. Gli investimenti fissi lordi, secondo i dati riportati, per le imprese non finanziarie sono decresciuti dell’11,6%, il tasso d’investimento rilevato è al 21% rispetto al 21,5% rilevato nel 2019. La quota di profitto, consistente nel rapporto tra risultato lordo di gestione e valore aggiunto lordo ai prezzi base, è in aumento attestandosi al 43,0% a fronte del 42,5% dell’anno precedente. Il valore aggiunto in volume dell’insieme dell’economia ha segnato un calo dell’8,7%, con un -6,3% nell’agricoltura, silvicoltura e pesca, -10,9% nell’industria, -6,4% nelle costruzioni e -8,3% nei servizi, dove l’unico incremento si registra nei servizi di informazione e comunicazione (+1,8%). Il calo più significativo ha colpito il settore che raggruppa commercio all’ingrosso e al dettaglio, riparazione di autoveicoli e motocicli, trasporto e magazzinaggio, servizi di alloggio e di ristorazione (-16,6%).
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