L’Anno del Bue: dopo il Covid la sfida con la Cina per una “comunità mondiale dal destino condiviso”

di Stefano Beltrame

Secondo il calendario lunare cinese, il 12 febbraio cade l’inizio del nuovo anno dedicato al Bue. Il pensiero corre subito al capodanno scorso, l’anno del Topo, celebrato a Roma con un grande concerto al Parco della Musica, alla presenza dei due Ministri della Cultura italiano e cinese e con un pubblico di oltre mille persone. Era il 21 gennaio e non c’era ancora la percezione dell’ondata pandemica in arrivo e di cosa avrebbe significato. A Wuhan non era ancora scattato il lockdown. Non vi era ancora allarmismo, ma una impercettibile inquietudine sì. Nei saloni dell’Auditorium quella strana influenza-polmonite che circolava a Wuhan era uno degli argomenti di discussione. Qualcuno già si chiedeva se fosse saggio, nel dubbio, radunarsi in così tante persone…

E’ passato solo un anno, ma sembra che sia passata un’intera era geologica. Il mondo non è più lo stesso. Con il senno di poi, da quell’assembramento romano per capodanno cinese non è derivato alcun focolaio. La calma prima della tempesta. Poco dopo, le relazioni tra la Cina ed il resto del mondo sono salite su di un incredibile ottovolante. Il covid ha avuto un impatto sulle elezioni americane ed anche i rapporti tra gli stessi Paesi europei in seno all’Unione si sono fatti più di un giro sulle montagne russe. L’anno del Topo ha rosicchiato via molte certezze che sembravano incrollabili ed ora molti si chiedono se nell’anno del Bue torneremo ad arare i campi ed a seminare per un futuro migliore.

L’ottovolante ci ha fatto girare la testa, ma il tempo è volato via velocissimamente nonostante il forzato immobilismo dei lockdown. Ma se la testa smette di girare e recuperiamo lucidità e prospettiva, la prima cosa da osservare è che, in realtà, i fondamentali del nostro rapporto con la Cina non sono affatto cambiati. Forse alcuni di noi hanno perso delle illusioni amorevolmente coltivate nel tempo, ma sfide ed opportunità sono rimaste largamente le stesse.

Certo ci siamo finalmente resi conto del peso e dell’importanza della Cina e della nostra corrispondente necessità di conoscerla e capirla meglio. Se la Cina è il Paese emergente del XXI secolo, ed il covid ci ha dimostrato che lo è veramente, ci dovrebbe essere una generale consapevolezza di come funzionano il suo sistema politico, la sua economia, la sua internet (che non è propriamente la stessa che abbiamo noi in Occidente). Dovremmo conoscere almeno l’ABC della sua Storia.

In Italia ci sono degli ottimi sinologi – tra cui anche il nuovo Rettore di Ca Foscari, Tiziana Lippiello- , ma la sinologia non è ancora uscita dal recinto delle materie specialistiche per diventare familiare al grande pubblico. La Cina è ancora concepita come un Paese lontano e misterioso, ma così non è. Lo ricorda spesso il Prpf. Stefano Cammelli citando un episodio degli anni ’70, quando Nixon andò in Cina per incontrare Mao Zedong e riannodare un rapporto congelato fin dalla guerra di Corea. La visita fu preparata da Zhou Enlai ed Henry Kissinger. Quando l’americano disse di essere onorato per l’accoglienza ricevuta in un Paese così misterioso il cinese lo corresse: la Cina non è misteriosa, bisogna solamente studiarne la Storia.

CONVIVERE CON LA CINA NEL XXI SECOLO

Parlando alle Nazioni Unite nel 2015, il presidente cinese Xi Jinping ha avanzato la visione di una community of common destiny che include la Cina e tutto il resto del mondo. Questo discorso non ha forse avuto l’im­mediata risonanza che Pechino si attendeva, ma il punto è proprio que­sto: come può il resto del mondo convivere con la Repubblica Popolare accomodando in via pacifica la sua incredibile espansione economica? Come può il mondo rapportarsi al nuovo Celeste Impero senza che nel­la nostra coscienza collettiva vi sia un minimo di conoscenza della Sto­ria del Paese e una narrativa finalmente libera da quei paraocchi ideo­logici che per troppo tempo ne hanno sfuocato le immagini e falsato le prospettive?

Negli ultimi quarant’anni la Cina ha conosciuto una fase di crescita economica ininterrotta a tassi strabilianti che ha fatto uscire dalla povertà ottocento milioni di persone, ha rivoluzionato l’economia globale e fa già oggi della nuova Cina (Zhongguo, il “Regno di Mezzo”, come i cinesi si vedono e si definiscono da sempre) la nazione centrale del Ventunesimo secolo. Così come in fondo era stato nella Storia fino al Settecento, quan­do la prima rivoluzione industriale ha fatto decollare l’economia occi­dentale (prima quella inglese, poi quella tedesca e degli altri Paesi eu­ropei nell’Ottocento, quindi quella americana nel Novecento). Il baricentro economico del mondo, che per trecento anni si era spostato a ovest, sta ora ritornando a est.

Con lungimiranza (che deriva anche dalla tradizione di pianificazione del Partito comunista), la Cina di Xi Jinping si sta chiedendo come pos­sa migliorare i rapporti con il resto del mondo. E il resto del mondo fa­rebbe bene a fare altrettanto: ascoltando (e cercando di capire) quello che Pechino dice e dialogando mettendo a fuoco quello di cui si sta parlan­do, qual è la posta in gioco.

La rivoluzione industriale europea ha portato all’età dell’Imperialismo, con tutto quello che ne è seguito. Il fatto che un’espansione economica inin­terrotta per ben quarant’anni, come quella cinese di oggi, non sia senza pre­cedenti nella Storia ce lo ha puntualmente ricordato un amico tedesco. An­che la Germania ha conosciuto una crescita molto simile nei quarant’an­ni compresi tra la riunificazione del 1871 e la Prima guerra mondiale del 1914 (il Secondo Reich). Vero. Il precedente storico è interessante e per­tinente perché, in effetti, dopo quel boom la Germania si è sentita, in un certo senso, padrona del mondo: economicamente più avanzata e tecno­logicamente superiore a tutti e desiderosa di un suo spazio vitale. Come sappiamo il concetto di Lebensraum (“spazio vitale”) è successivo, ma la Germania guglielmina elaborò la sua Weltpolitick (“politica mondiale”) im­periale, costruì una flotta per sfidare la potenza dominante del tempo (l’Im­pero britannico), realizzò progetti ferroviari che stravolgevano gli equi­libri strategici del Medio Oriente (la mitica ferrovia Berlino-Baghdad, de­stinata a sboccare nel Golfo Persico, inducendo l’Impero britannico a pro­teggere l’indipendenza del Kuwait dai potenti vicini del Nord). Sappia­mo come finì la storia. La Germania divenne una minaccia per tutti e riu­scì a far riappacificare i suoi nemici che, alleati, riuscirono infine a scon­figgerla in due riprese. Fortunatamente, in questi cento anni che ci sepa­rano dalla Grande Guerra il mondo è cambiato in meglio. Ora ci sono le Nazioni Unite, il G20, il G7, il WTO che vegliano affinché non si ricreino sistemi protezionisti, come il sistema delle preferenze imperiali inglesi de­gli anni trenta o le ambizioni nazionalistiche di “avere posti al sole”, spa­zi vitali o aree di co-prosperità. Le sfide che la comunità delle nazioni deve affrontare sono molte e molto impegnative (dal terrorismo al cambiamento climatico, passando per la crescita demografica e le migrazioni), ma nel complesso lo scenario internazionale non è mai stato tanto favorevole. La crescita cinese degli ultimi quarant’anni non ha quindi causato neanche lontanamente le tensioni e i conflitti del secolo scorso.

Fortunatamente, la prima rivoluzione industriale (l’introduzione del vapore) è stata seguita da altre due (l’introduzione dell’elettricità e la ri­voluzione informatica) e siamo agli albori della quarta: l’integrazione in­dustria-informatica con l’“internet delle cose”, di cui la Cina vuole esse­re protagonista. La terza rivoluzione industriale, che ha avuto tra i suoi protagonisti gli Stati Uniti, è stata molto importante da diversi punti di vista. Da un lato ha contribuito a far implodere il blocco sovietico (in ri­tardo nell’applicazione del controllo digitale sui propri prodotti industriali), dall’altro ha favorito la globalizzazione e il superamento dei nazionali­smi autarchici. La diffusione della tecnologia ha quindi avvicinato i po­poli e favorito una ridistribuzione della ricchezza nel mondo e lo sviluppo di Paesi come la Cina. La globalizzazione ha, a sua volta, prodotto nuo­vi squilibri e ingiustizie sociali.

Ora anche la quarta rivoluzione industriale modificherà gli assetti in­ternazionali e la Repubblica Popolare si sta seriamente impegnando per essere all’avanguardia. Il discrimine tecnologico tra chi è digitalizzato e chi non lo è, e il controllo orwelliano dei big data (in cui la Cina è già oggi più avanti rispetto agli altri) prefigurano nuove sfide, ma la Cina (che ha già conquistato i mercati di mezzo mondo con i suoi prodotti, sta inve­stendo in Africa e in Asia Centrale in infrastrutture, e sta accumulando forti surplus commerciali) intende espandersi in maniera pacifica.

In questo scenario internazionale così impegnativo la Cina ci offre una visione del futuro mondiale come la costruzione di una community of com­mon destiny, una comunità mondiale dal destino condiviso. Come ri­spondono l’Italia, l’Europa a questa visione? Certamente è nell’interesse di tutti che l’espansione cinese resti convintamente pacifica. Sicuramente è nell’interesse cinese che la propria estensione globale non provochi reazioni anafilattiche razziste o nazionalistiche, come è già successo tante altre vol­te in passato nei loro confronti in Asia, in America e in altri continenti. Il presidente Xi Jinping, parlando al forum di Davos del 2017, ha detto che occorre vigilare affinche non vi sia un ritorno al protezionismo. Questo Pechi­no l’ha ben capito e il grande sforzo di soft diplomacy che accompagna la Belt and Road Initiative (BRI, la nuova via della seta) ne è una prova.

Come rispondere quindi a questa visione di un futuro condiviso, ma con caratteristiche cinesi? Sul piano culturale un primo passo è anche quel­lo di cercare di capire il nuovo Regno di Mezzo partendo dalla sua Storia.

UNA NECESSARIA INTERMEDIAZIONE CULTURALE: LA DIMENSIONE E LA LINGUA

Capire il contesto cinese è difficile per molte ragioni, le principali sono forse due: la lingua e la dimensione. Ma ce n’è anche una terza, di natura ideologica, a lungo ignorata e riemersa solo ora con il diffondersi della pandemia in tutto il mondo.

La difficoltà linguistica è intuitiva. La lingua cinese non ha una scrit­tura alfabetica, ma scrive e ragiona per ideogrammi. Il salto dimensionale non è invece intuitivo, eppure il diverso rapporto di scala rappresenta una difficoltà altrettanto importante della disuguaglianza culturale-linguistica. Chi non viene in Cina a vedere con i propri occhi difficilmente riesce a ren­dersi conto di questo differenziale quantitativo. Mutuando il concetto dal­la fisica, il rapporto di massa tra le popolazioni non è comparabile. Se gli italiani sono, diciamo, sessanta milioni e i cinesi, per semplificare, un mi­liardo e mezzo (ufficialmente 1,3 miliardi) il rapporto di massa è di 1/25.

La Cina è quantitativamente diversa. Non è un Paese, ma un conti­nente. Molte province sono più grandi di nazioni europee. La sola città di Shanghai ha un PIL paragonabile a quello della Norvegia. La sola pro­vincia dello Jiangsu ha un’economia paragonabile a quella della Corea del Sud. Governare la Cina non è come governare un qualsiasi altro Pae­se e questo discrimine quantitativo vale anche per la Storia. Non ci deve spaventare, ma va sempre tenuto a mente.

Sulla Cina esiste una letteratura sterminata con opere enciclopediche, monografie, diari, racconti di viaggio, saggi ecc. Anche per uno specia­lista non è facile raccapezzarsi e si finisce spesso, per forza di cose, a rap­presentare delle visioni parziali. Uscendo dall’ambiente specializzato il gran­de pubblico ha una comprensione della Cina ancora più limitata e fram­mentata. Per cercare di ovviare a questa difficoltà si possono adottare al­cuni accorgimenti per semplificare la narrazione. Si possono cercare dei punti di contatto storici od ideologici che aiutano a comprendere ed a mantenere le proporzioni cronologiche e sociali. Il Partito comunista, ad esempio, è stato fondato nel 1921 in entram­bi i Paesi. La storia di una moglie che cerca di salvare la vita del marito prigioniero si ritrova nella vicenda di Edda Mussolini e Galeazzo Ciano a Verona nel 1944, ma anche con Chiang Kai-shek e la moglie nel 1936 a Xi’an. Edda Mussolini che in Cina aveva uno come spasimante il signore della guerra della Manciuria, il giovane Zhang Xueliang e così via.

La difficoltà della lingua è certamente più intuitiva, ma l’idioma è, in realtà, solo la punta dell’iceberg delle differenze semantiche che sepa­rano l’Occidente dal mondo cinese. Il fatto che il cinese moderno abbia una scrittura non alfabetica comporta conseguenze che vanno ben oltre la comunicazione corrente. Se la scrittura distingue la Storia dalla Prei­storia, Occidente e Cina hanno subito preso due strade concettuali diverse e ancora oggi l’intermediazione culturale resta un problema serio.

Fortunatamente, queste due strade – alfabeto v. caratteri cinesi – si sono ora almeno in parte incrociate grazie al sistema di traslitterazione ufficiale Pinyin e, soprattutto, grazie alla rivoluzione informatica, che ha dotato ogni telefonino di app di traduzione. Oggi un ragazzo cinese scri­ve al telefono in caratteri cinesi utilizzando una tastiera alfanumerica come se fosse la cosa più naturale del mondo. L’apprendimento della lingua resta tuttavia molto difficile e questo è un limite alla comprensione in­terculturale, che percorre tutta la storia delle relazioni con l’ex Celeste Impero.

In verità le vicende storiche tra Cina e Europa sono piene di incom­prensioni, pregiudizi ideologici e falsi miti – vecchi e nuovi – che a tem­po debito sarà bene analizzare. Nella seconda metà del secolo scorso, ad esempio, molti giovani studenti europei, e non solo, si sono infatuati del mito di una Cina romanticamente idealizzata nello sforzo verso una Ri­voluzione permanente. Tale visione ideologica è stata tuttavia discono­sciuta dagli stessi cinesi, alle prese con ben altre esigenze. A questo sto­rico malinteso ideologico al tempo della Rivoluzione culturale ha corrisposto oggi un fenomeno che appare specularmente contrario. Fino all’esplosione della pandemia, in Occidente erano in molti a sostenere, che la Cina non fosse più veramente comunista. La Repubblica Popolare si considera invece assolutamente tale e si considera anzi cu­stode di un corpus ideologico marxista-leninista tuttora vivo. Tanto vivo da tenerlo costantemente aggiornato nel tempo, includendovi gli elementi ideologici del “socialismo con caratteristiche cinesi” e il pensiero delle nuove leadership che si susseguono. Chissà se l’anno del Bue si distinguerà nella coltivazione di una migliore comprensione della Cina facendo dimenticare i troppi anni di bufale del passato. Auguri a tutti noi per il nuovo capodanno cinese.

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