Ponte Morandi, rinviate a giudizio 59 persone fisiche. Accolti i patteggiamenti di Autostrade e Spea

di Carlo Longo

Per la strage del ponte Morandi, in cui sono morte 43 persone a causa del crollo avvenuto il 14 agosto del 2018, la gup di Genova Paola Faggioni ha rinviato a giudizio 59 persone fisiche. La prima udienza è stata fissata per il 7 luglio 2022. “Siamo contenti, un grande lavoro della Procura. Adesso un primo giudice ha confermato la validità dell’accusa. È la giornata più importante di questi quattro anni”, ha detto ai cronisti di fronte all’uscita del Tribunale la portavoce del comitato parenti delle vittime, Egle Possetti. Accolti, invece, i patteggiamenti  per un importo di quasi 30 milioni di Autorstrade e Spea Engineering, la controllata che si occupava delle manutenzioni. Aspi e Spea eviteranno, così, le sanzioni interdittive cui sarebbero andate incontro con il processo ma dovranno pagare sanzioni pecuniarie pari a un milione e a 800 mila euro, mentre la concessionaria aveva stanziato a titolo di somma di denaro per il sequestro preventivo la somma di 26.857.433 euro che era l’importo corrispondente  al complessivo valore del progetto di retrofitting, vale a dire il rafforzamento, degli stralli delle pile 9 -che è poi crollata- e 10 approvato dal ministero delle Infrastrutture a giugno 2018 e mai realizzato,  e che secondo l’ipotesi accusatoria e la maxi-perizia disposta dal gip in sede di incidente probatorio avrebbe evitato il verificarsi del disastro. Autostrade ha anche risarcito in via extragiudiziale quasi tutti i familiari delle vittime del disastro: solo due famiglie (Possetti e Battiloro) hanno rifiutato l’accordo conservando il diritto a costituirsi parte civile nel giudizio.

L’udienza preliminare, che ha di fatto condotto al rinvio a giudizio degli imputati, è durata sei mesi. I pm Massimo Terrile e Walter Cotugno hanno esposto la loro tesi accusatoria nel corso di 11 udienze il cui senso può essere racchiuso nella frase simbolo della requisitoria: “Il Morandi era una bomba a orologeria. Si sentiva il tic-tac ma non si sapeva quando sarebbe esploso”. All’apertura dell’udienza preliminare i legali di alcuni imputati, tra cui l’ex amministratore delegato di Aspi Giovanni Castellucci, avevano ricusato la gup Faggioni, perché è lo stesso magistrato che a novembre 2020 aveva firmato gli arresti di Castellucci, dell’ex capo delle manutenzioni Michele Donferri Mitelli e dell’ex direttore centrale operazioni Paolo Berti nel procedimento parallelo sulle barriere fonoassorbenti pericolose. A parere delle difese non era garantita l’imparzialità del giudice, perché in quelle ordinanze era stato espresso in qualche modo un giudizio di responsabilità anche sul crollo del Morandi. Sia la Corte d’Appello di Genova che la Cassazione, però, avevano respinto la richiesta.

I reati per i quali è stato richiesto il rinvio a giudizio sono molteplici: omicidio colposo plurimo, omicidio stradale, crollo doloso, omissione di atti d’ufficio, attentato alla sicurezza dei trasporti, falso e omissione dolosa di dispositivi di sicurezza sui luoghi di lavoro. Tutti i reati, peraltro, sono connessi dal filo conduttore secondo cui secondo l’accusa di fatto gli imputati immaginavano che il ponte sarebbe potuto crollare ma non hanno fatto nulla per prevenire il disastro. Le indagini a supporto dell’accusa, svolte dalla Guardia di Finanza, sono durate oltre tre anni e sono passate attraverso due incidenti probatori: uno sullo stato del viadotto al momento della tragedia e il secondo sulle cause che hanno provocato il crollo. In particolare, a seguito della maxi perizia, si è giunti alla conclusione che a far crollare il viadotto sono state la scarsa manutenzione e l’assenza di controlli.

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