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S&P alza il rating dell’Italia. Giorgetti: “Grazie alla nostra serietà”

S&P promuove l’Italia alzando il rating a BBB+, riconoscendo stabilità e impegno nei conti pubblici. Tuttavia, le incertezze globali e le fragilità interne minacciano la crescita

S&PL’agenzia di rating Standard & Poor’s (S&P) ha rivisto al rialzo il giudizio sull’Italia, portandolo da BBB a BBB+ con outlook stabile. Un segnale positivo, che premia il percorso di stabilizzazione delle finanze pubbliche e l’impegno nella gestione del debito, pur mantenendo il Paese in una fascia ancora moderatamente rischiosa. Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha accolto il giudizio come una conferma della serietà dell’approccio adottato dal governo nella politica di bilancio, sottolineando la volontà di proseguire su una linea improntata a responsabilità e prudenza, soprattutto in un contesto economico globale instabile.

Le ragioni dietro la decisione di S&P

Secondo S&P, l’Italia ha compiuto progressi significativi nella gestione delle finanze pubbliche a partire dalla pandemia. La stabilità politica è stata un ulteriore elemento di fiducia per l’agenzia americana, che ha riconosciuto la resilienza dell’economia italiana. Nonostante i dazi internazionali possano rappresentare una sfida, l’impatto sull’economia nazionale appare contenibile grazie a investimenti pubblici in aumento e a politiche fiscali espansive da parte della Germania.

L’agenzia ha anche messo in evidenza la capacità del Paese di bilanciare le proprie debolezze strutturali, come l’elevato debito pubblico e le difficoltà demografiche, con i suoi punti di forza: un’economia solida e diversificata, un consistente risparmio privato e l’appartenenza all’Unione Europea.

Crescita timida e deficit in risalita

Nonostante il miglioramento del rating, i segnali economici restano contrastanti. Il primo trimestre del 2025 ha mostrato una leggera crescita del PIL (+0,25%), dopo un semestre stagnante. Una ripresa dovuta principalmente alla tenuta dell’occupazione, al rialzo delle retribuzioni e a un incremento nei consumi. Tuttavia, le tensioni legate ai dazi e l’aumento delle spese per la difesa rischiano di compromettere questa fragile ripartenza.

Il Documento di finanza pubblica (Dfp) presentato alle Camere evidenzia un deficit al 3,3% per l’anno in corso, superiore alla soglia del 3% prevista dalle regole europee. Giorgetti ha ammesso che, senza l’attuale crisi commerciale, l’Italia avrebbe potuto uscire in anticipo dalla procedura per disavanzo eccessivo. Inoltre, il debito pubblico ha subito un incremento, salendo al 136,6% del PIL rispetto al 135,3% registrato a fine 2024.

Le criticità delle politiche fiscali e del Pnrr

Il governo ha dovuto rivedere alcune delle sue promesse. Il taglio dell’Irpef per il ceto medio è scomparso dal piano, mentre l’attenzione si concentra ora sul sostegno alla natalità e alle famiglie. Il Dfp mette nero su bianco anche due fallimenti: la misura Transizione 5.0, con prenotazioni per appena 500 milioni su 6,3 miliardi disponibili, e il concordato preventivo biennale, che ha visto l’adesione di solo il 13% degli autonomi interessati.

Segnali contrastanti tra inflazione, salari e dazi

La situazione resta complessa anche sul fronte del potere d’acquisto. Secondo Bankitalia, sebbene i salari siano cresciuti del 4% nel 2024, il recupero rispetto al 2021 è ancora lontano. Inoltre, il 37% dei lavoratori è in attesa del rinnovo del contratto, con tensioni particolarmente forti nel settore metalmeccanico.

L’inflazione mostra segnali di ripresa, con l’Ufficio parlamentare di bilancio che la prevede in crescita al 2% nel primo trimestre del 2025. I consumi interni, di conseguenza, restano deboli.

Sul fronte delle esportazioni, l’Italia potrebbe resistere meglio del previsto all’impatto dei dazi statunitensi. Una quota significativa dei beni venduti negli Stati Uniti è rappresentata da prodotti ad alta qualità, difficili da sostituire, e molte aziende hanno margini sufficienti per assorbire i costi aggiuntivi.

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