Una riflessione e qualche numero sul ruolo della donna nel settore cultura. Molti i miglioramenti ma la strada è ancora lunga
Nella settimana in cui la Francia passa alla storia approvando l’introduzione del diritto all’aborto in Costituzione e nel giorno in cui l’Irlanda vota al referendum per stabilire l’uguaglianza di genere, le donne italiane raggiungono un importante traguardo: l’8 marzo, su proposta del Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, l’ingresso in musei, parchi archeologici, complessi monumentali, castelli, ville e giardini storici e altri luoghi della cultura statali sarà completamente gratuito.
A onor del vero va detto che i momenti di dibattito, le manifestazioni, i talk, le mostre si sono moltiplicate negli ultimi anni e, anche nel 2024, il panel di eventi è più fitto di quello di un fuori fiera. Scanso alle polemiche, di questi tempi pare ancora inevitabile la necessità di discutere su quanto sia opportuno o meno celebrare quella che un tempo era chiamata più euforicamente festa della donna e che oggi ha assunto i toni più seri di Giornata internazionale della donna (o Giornata internazionale dei diritti delle donne).
8 marzo, domande e risposte sull’utilità della giornata
Non serve tornare indietro nel tempo per raccontare le origini dell’8 marzo o l’importanza del fiore dalle fattezze paffute che, in un momento determinato della propria vita, di certo ogni donna ha ricevuto in dono. Ma c’è davvero bisogno un appuntamento in calendario utile per parlare di parità di diritti? Basta una giornata per ricordarci quali sono i passi fatti e quelli che si devono ancora compiere?
Le domande sono sempre le stesse e le risposte divisive. C’è chi propone (come di recente Christian Raimo su minima&moralia) che venga abolita questa festività. «Questa semplificazione – la festa della donna, la festa, la donna – mi continua a lasciare perplesso, non per anticonformismo. Piuttosto, provo una sensazione simile a quella nei confronti della giornata della memoria». E c’è chi invece sostiene che, oggi più che mai, sia utile un momento per fare il punto sulla situazione.
Un po’ di numeri che riguardano il settore cultura
“Do Woman have to be naked to get into the Met Museum?” (“Le donne devono essere nude per entrare al Met Museum?”), argomentavano nel 1989 le Guerrilla Girls. E spesso si continua a fare appello a quei manifesti quando si parla di disparità di genere. I numeri sono certamente migliorati negli ultimi anni ma la situazione mostrata dai report più recenti dell’Osservatorio per la parità di genere del ministero non sono molto incoraggianti. Senza contare che, dopo il primo report, Celeste Costantino, a capo dell’organismo istituito nel 2021 per volontà di Dario Franceschini, ha abbandonato la nave dichiarando in un’intervista con Repubblica: «Da quando c’è il ministro Gennaro Sangiuliano, sulla parità di genere nel mondo della cultura non si è prodotto nulla. Nemmeno un incontro».
Tuttavia, da quella prima ricognizione fatta emergevano elementi di crescita interessanti. «L’invisibilità delle donne nel mondo dell’arte è infatti una realtà purtroppo evidente – si legge – Se guardiamo lo studio Presenza e rappresentazione delle donne artiste in Italia del 2017, emerge che nel nostro Paese nonostante il 66,7% degli iscritti alle accademie di Belle Arti sia donna, appena il 18% delle opere esposte nelle gallerie è stato realizzato da artiste. Un gap artistico di genere che si evince anche nella selezione delle istituzioni museali: qui solo il 19% delle mostre realizzate durante l’anno ha riguardato le artiste. E lo stesso vale per le aste e quindi per il mercato».
All’estero e in Italia
Quando si parla del settore da un punto di vista internazionale emerge un panorama drammatico in tutto il mondo ma in particolare l’Italia ne esce sconfitta. Secondo l’Università di Oxford, le opere d’arte delle donne vendono il 47,6% in meno rispetto a quelle degli uomini e che solo il 5% delle istituzioni culturali cerca di rispettare la parità. Secondo gli ultimi dati Eurostat relativi al 2022, i numeri dell’occupazione femminile sono saliti, a dispetto di un patrimonio culturale unico al mondo, il Bel Paese rientra tra quelle nazioni europee in cui dal 2019 si è registrata una progressiva diminuzione dell’occupazione totale nel comparto.
Passi avanti del mondo dell’arte
Non tutto forse è perduto, elementi positivi vanno messi in evidenza specialmente in ambito museale, dove i passi avanti vengono confermati dal lavoro dell’ex direttrice della Galleria Nazionale Cristiana Collu che negli anni di mandato messo sempre più al centro le donne scegliendo e valorizzando artiste all’interno di stanze dominate da opere maschili.
E che dire della Biennale di Venezia? Per la prima volta negli oltre 127 anni di storia dell’istituzione veneziana, nel 2022 l’edizione il Latte dei sogni curata da Cecilia Alemani, ha incluso una maggioranza preponderante di artiste donne e soggetti non binari. Stando ai dati, un buon 80% di artiste donne è stato incluso nella rassegna, quando, prima dell’ultimo ventennio non arrivavano neanche ad una percentuale del 10%. Una linea di emancipazione che proseguirà quest’anno con la Biennale di Adriano Pedrosa che si preannuncia come la prima biennale Queer della storia (ma questo è ancora un altro racconto).
Ancora va fatto l’esempio di musei dedicati esclusivamente alle collezioni di grandi artiste donna, come il National Museum of Women in the Arts (NMWA) di Washington che ha riaperto nel 2023 i battenti sotto una nuova veste contemporanea che incoraggia una comunicazione indirizzata alla conoscenza delle disparità di genere e dei personaggi femminili che hanno fatto la storia.
Gli ostacoli delle donne nel settore
Ancora partendo da una citazione: nel 1971 Linda Nochlin pubblica un saggio dal titolo provocatorio, Perché non ci sono state mai grandi artiste donne? Quando lo scrive non si sono ancora affermati gli women’s studies, le teorie femministe o queer, e gli studi postcoloniali, ma il testo è considerato uno dei punti di riferimento della storia femminista dell’arte. La Nochlin, con questo saggio denuncia i presupposti sessuali e sociali della categoria di “genio” artistico alla base della storia dell’arte, affermando il primato delle strutture sociali e istituzionali (in primis l’accesso alla formazione), nel determinare la realizzazione individuale e il successo artistico. Esamina quindi le barriere istituzionali e i pregiudizi sociali che hanno impedito alle donne di ricevere una formazione artistica pari a quella degli artisti maschi e di godere di uguali opportunità di carriera.
Suona familiare? Ad oggi, per quanto l’accessibilità all’educazione in materia di gender sia in occidente paritaria, la donna, al momento di intraprendere una carriera nel mondo dell’arte, incontra ostacoli che spesso la costringono a rinunce e limitazioni. In primis la maternità. Tante sono le artiste che affrontano questo tema ma pochissimi i provvedimenti messi in campo. The Glorious Mothers, ad esempio, è un gruppo (composto dalle artiste Sara Basta, Cristina Cusani, Mariana Ferratto, Francesca Grossi, Vera Maglioni, Caterina Pecchioli, Dafne Salis, Miriam Secco) che nasce durante il lockdown come gruppo di supporto e condivisione tra madri artiste è diventato poi luogo di confronto dell’esperienza genitoriale estesa alla ricerca artistica. Un progetto nato sulla stregua di fenomeni come quello della piattaforma inglese di Desperate Artwives, nata per sostenere e promuovere il lavoro di artiste “womxm” che sono anche madri dal 2011.
La rilettura delle storie alternative dell’arte
Oltre all’engagement di tante artiste e artisti, appaiono interessanti alcune vie di riscoperta e rivalutazione di figure femminili del passato fatte in ambito accademico ed espositivo. In una storia italiana in cui poche donne riescono a emergere dal marasma di nomi maschili che compongono i gruppi delle avanguardie e neoavanguardie, alcuni studiosi e curatori stanno portando alla luce i nomi di personaggi di rilievo rimasti per troppo tempo nell’ombra. «Negli ultimi dieci anni – ha spiegato in un’intervista per Inside Art Raffaella Perna, che insegna Storia dell’arte contemporanea all’Università di Roma La Sapienza – sono usciti una serie di saggi che hanno rimesso in discussione questo canone, più che altro lo hanno allargato, mostrando come in Italia ci fossero negli anni ’70 una serie di pratiche in dialogo aperto con il movimento poverista. L’esposizione curata nel 2022 da Valérie Da Costa al MAMAC di Nizza è un buon esempio di quanto sia importante valorizzare all’estero voci valide e meno conosciute del nostro passato e presente. Penso ad artiste come Marisa Busanel ma anche nomi che hanno avuto negli ultimi anni un’attenzione maggiore come Tomaso Binga, Mirella Bentivoglio e Ketty La Rocca».
La stessa Perna nel 2019 ha curato insieme a Marco Scotini a FM Centro per l’Arte Contemporanea, la mostra Il Soggetto Imprevisto. 1978 Arte e Femminismo in Italia, per colmare una lacuna nella storia dell’arte della penisola: negli ultimi decenni molti Paesi hanno dedicato precise indagini al rapporto tra arte e femminismo sul proprio territorio, mentre in Italia questa ricerca ancora mancava.
Oltre il gender, il mondo della cultura e i temi Lgbtqia+
Alle considerazioni fatte finora, se ne aggiunge un’altra che riguarda il senso della celebrazione della giornata della donna in un momento storico in cui le questioni di genere includono categorie che vanno ben oltre quelle prese in considerazione fino a tempi più recenti. I movimenti culturali transfemministi hanno sicuramente ampliato le prospettive, i linguaggi, le teorie e le ricerche sui temi di genere rimettendo in questione costruzioni sociali sull’identità. L’esempio del gruppo Il Campo Innocente, fatto di artist*, ricercat*, lavorator* dell’arte dal vivo è ben calzante perché che agisce attivando una forma collettiva di dialogo, ponendo l’attenzione sulle questioni della violenza, dell’abilismo, del sessismo, del colonialismo e della precarietà che ancora sopravvivono nel mondo dell’arte. Messaggi che nel 2020 con Cheap sono stati trasformati in poster diventando di fatto arte pubblica.