Autonomia differenziata, per ogni euro in più al Nord il sud paga il triplo

Se le Regioni più ricche, quelle che generano più tasse di quanto spendano, decidessero di trattenere una parte delle risorse attualmente destinate al bilancio nazionale, le Regioni più povere ne risentirebbero pesantemente

In un Paese come l’Italia, dalle finanze fragili e con un’economia del Mezzogiorno che rappresenta meno di un quarto di quella complessiva, l’implementazione dell’autonomia differenziata solleva numerosi dubbi. Se le Regioni più ricche, quelle che generano più tasse di quanto spendano, decidessero di trattenere una parte delle risorse attualmente destinate al bilancio nazionale, le Regioni più povere ne risentirebbero pesantemente. Questo squilibrio potrebbe causare un deficit nei trasferimenti fino a tre volte e mezzo superiore rispetto ai tagli iniziali. In tal caso, l’intervento statale per compensare tali perdite rischierebbe di azzerare il suo avanzo primario, un parametro cruciale per il rispetto delle regole europee.

Un Progetto Complicato

Il progetto delle Regioni del Nord di trattenere maggiore ricchezza sui propri territori appare complesso e rischioso. Tentare di attuare questo progetto potrebbe mettere a rischio il welfare del Mezzogiorno o la stabilità dei conti pubblici italiani, entrambi esiti potenzialmente disastrosi. Secondo una simulazione dell’Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani dell’Università Cattolica, le conseguenze economiche dell’autonomia differenziata potrebbero essere significative. Attualmente, in sette regioni del Nord e del Centro, il gettito fiscale supera le spese di 95,9 miliardi di euro, mentre nelle altre regioni, principalmente del Sud, le spese eccedono il gettito di 64,2 miliardi di euro. La differenza tra queste cifre contribuisce a un bilancio primario positivo pari all’1,8% del PIL nazionale. Tuttavia, con l’autonomia differenziata, questi flussi potrebbero cambiare drasticamente.

Simulazioni e Scenari Futuri

Nel 2017, il Veneto aveva chiesto di trattenere i nove decimi del gettito fiscale del proprio territorio, una richiesta estrema che, se replicata da tutte le Regioni, costerebbe al bilancio nazionale cinque punti di PIL. Uno scenario meno estremo ma comunque significativo prevede che le Regioni del Nord trattengano il 2% della loro ricchezza lorda regionale. Questo ridurrebbe il saldo primario dallo 1,8% allo 0,4% del PIL, un peggioramento che avrebbe un impatto permanente.

Impatto sul Mezzogiorno

Per compensare tali perdite, lo Stato potrebbe decidere di ridurre i trasferimenti al Mezzogiorno, aggravando ulteriormente le disuguaglianze economiche. Dato che l’economia del Centro-Nord rappresenta il 78% del PIL nazionale e quella del Sud solo il 22%, ogni punto di PIL trattenuto dalle Regioni più ricche peserebbe tre volte e mezzo di più per quelle più povere. Anche se solo Lombardia e Veneto, che da sole rappresentano una gran parte del residuo fiscale, decidessero di trattenere risorse, le conseguenze sarebbero gravi.

Critiche e Preoccupazioni

La questione centrale è chi dovrebbe pagare il conto dell’autonomia differenziata. Non solo le opposizioni, ma anche molti governatori e sindaci del Sud, insieme a imprenditori, hanno espresso preoccupazioni per le disparità che la legge Calderoli potrebbe esacerbare. Inoltre, il meccanismo proposto prevede una verifica annuale dell’allineamento tra il fabbisogno di spesa delle Regioni e il loro gettito fiscale, un processo che potrebbe risultare complesso e generare ulteriori tensioni nei conti pubblici.

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