Caro-affitti: il referendum tedesco apre una riflessione sulla situazione francese e italiana

di Emilia Morelli

Il 26 settembre i berlinesi sono stati chiamati a votare cumulativamente per le elezioni generali del Bundestag, per le elezioni della capitale tedesca e per un rivoluzionario referendum che mira a espropriare gli appartamenti residenziali posseduti dalle grandi società immobiliari: una nazionalizzazione a favore del social housing per calmierare il caro-affitti e per affrontare la carenza abitativa che colpisce le classi meno agiate.

Il referendum, in particolare, verteva sulla possibilità di espropriare circa 240 mila immobili sfitti di proprietà di colossi del real estate tedeschi, 113 mila dei quali erano tutti riconducibili all’azienda Deutsche Wohnen. Il nome scelto dal comitato promotore del referendum  annunciava la ferma volontà di invertire la rotta: “Deutsche Wohnen und Co. enteignen, Spekulation bekämpfen!“ che letteralmente vuol dire “Espropriare Deutsche Wohnen e company, combattere la speculazione!”. All’indomani del referendum il risultato è stato chiaro. Oltre un milione di persone, circa il 56% del totale, si è detta a favore della nazionalizzazione delle case. Il risultato del referendum non è vincolante, si tratta di un voto consultivo che per diventare legge necessita di apposita deliberazione del Senato berlinese. Impone, comunque, alla prima donna sindaco di Berlino, Franziska Giffey , di porre in essere azioni chiare per rispondere alla volontà espressa dalla consultazione anche se che  in prima battuta, sull’iniziativa, si era detta scettica concordemente alla linea politica del suo partito, l’Spd, .

La Giffey ha già affermato che non ha intenzione di sottrarsi ai risultati emersi dal quesito referendario affermando: “Bisognerà approvare una legge, ma bisognerà anche assicurare che sia costituzionale”. Si tenga presente, comunque, che il quesito referendario era posto proprio sulla base dell’art 14 della Carta Costituzionale tedesca che testualmente dispone: “La proprietà impone degli obblighi. Il suo uso deve al tempo stesso servire al bene comune. L’espropriazione è ammissibile soltanto per il bene della collettività. Essa può avvenire solo per legge o in base ad una legge che regoli il modo e la misura dell’indennizzo”. La questione degli affitti è un problema molto sentito dai berlinesi. Gli unici partiti a essersi spesi in favore del referendum sono la Linke (sinistra radicale) e i Verdi, oltre alle associazioni degli inquilini e ai principali sindacati, mentre la Cdu, i liberali dell’Fdp e l’estrema destra dell’AfD hanno fatto campagna per il no. C’è inoltre un problema finanziario: le autorità di Berlino stimano fra i 29 e i 36 miliardi di euro di costi per gli espropri, anche se i sostenitori del referendum ritengono che basterebbero fra i 7,3 e i 13,7 miliardi di euro. Si consideri, dall’altro lato, che per i cittadini si tratta di un problema insormontabile. Nel 2017 Berlino ha registrato un aumento del 20,5% dei prezzi immobiliari, stimato il più alto al mondo, e continuando a mantenere tutti gli alloggi oggetto del referendum sfitti si consente di mantenere alto lo standard della domanda e quindi di tenere alti i prezzi. Vi è, poi, un problema sostanziale: a Berlino circa l’80% delle persone residenti vive in affitto e per quanto riguarda i tedeschi oltre la metà non risiede in una casa di proprietà. Si capisce facilmente l’importanza del tema e le preoccupazioni espresse dai promotori del referendum i quali affermavano: “Non vogliamo diventare come Londra e Parigi, dove le persone normali con uno stipendio normale non possono più permettersi di vivere in città”.

Il referendum a Berlino ha aperto lo scenario per un dibattito che valica le frontiere tedesche, il tema del caro-affitti è infatti molto sentito tanto in Francia quanto in Italia. A Parigi la domanda di affitti supera di gran lunga l’offerta anche se il problema non è strettamente connesso ai locali sfitti come a Berlino, quanto piuttosto alla crescita del numero di affitti stagionali o di breve periodo. Sebbene vi sia stata la proposta di fissare un tetto massimo al prezzo di locazione ad oggi a Parigi circa la metà di monolocali e bilocali costano più di quanto dovrebbero, creando evidenti difficoltà ai residenti della capitale francese.

L’Italia non è assolutamente esente dalla vicenda patologica del caro-affitti e assume caratteri non difformi da quelli berlinesi. A Milano il costo della camera singola è il più alto d’Europa con un prezzo che in media si aggira sui 530 euro mentre un monolocale nella città meneghina costa sui 900 euro al mese. Tali costi, così elevati, non hanno risentito della pandemia e il sindaco uscente, Giuseppe Sala, ha glissato il problema non facendone menzione nella sua campagna elettorale.  A Roma, in più occasioni, gli studenti si sono trovati a manifestare contro la scarsa disponibilità di alloggi e il prezzo particolarmente elevato seppure, nella disponibilità della Regione Lazio vi sono diversi immobili che potrebbero essere riconvertiti a dormitori e determinare un abbassamento della domanda di stanze in appartamento e quindi del prezzo. “Ad oggi nella Capitale ci sono solo 2100 posti alloggio per un numero di idonei -per fasce di reddito- che si aggira ogni anno tra i 6mila e i 7mila. La regione Lazio da molti anni possiede ben 3 stabili, ex Civis al Foro Italico, Mandrione, vicino Arco di Travertino e Boccone del Povero a Tor Vergata, che non vengono ristrutturate e non sono quindi messe a bando, togliendo circa 400 alloggi che potrebbero ospitare altrettanti studenti. Anche di più se pensiamo a stanze doppie”, avevano spiegato gli studenti. Nella capitale, comunque, il problema investe non solo gli appartamenti ma anche i locali commerciali. “Da oltre 10 anni, l’intero viale ha visto un impoverimento commerciale, causato non solo dall’eccessiva apertura di centri commerciali e dalla crisi economica ma anche dalla gestione di Enasarco, Inps e del Comune di Roma, che stanno triplicando gli affitti. Ormai ci sono vie dove la metà delle attività sono chiuse” aveva spigato Alessandro Luparelli, portavoce del comitato Cinecittà Bene Comune, in occasione di una recente manifestazione nel quartiere Don Bosco. Anche città più piccole, come Perugia o Torino risentono del caro affitti con costi di locazione particolarmente elevati. Ecco, quindi, che la ferma determinazione  espressa dai cittadini berlinesi accende i riflettori su un problema che anche nel nostro bel paese necessita di una risposta immediata.

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