Cartabia alla Camera: “I parlamentari visitino le carceri. La violenza è una sconfitta per tutti”

di Mario Tosetti

Il problema delle carceri in Italia è un problema che attiene a carenze strutturali del sistema, dovute al sovraffollamento e alle condizioni in cui versa la popolazione carceraria. I fatti al carcere di Santa Maria altro non sono se non la punta dell’iceberg.  “Il governo ha visto, sa e non dimenticherà”, ha affermato Draghi a seguito della visita nel carcere di Santa Maria Capua Vetere. Nel suo intervento alla Camera anche la Ministra della Giustizia, Marta Cartabia  ha ribadito quanto dichiarato dal Premier e ha esortato i parlamentari “a visitare le carceri, a guardare i reparti delle donne, le situazioni di marginalità, quel mondo vario che non può essere affrontato nello stesso modo”.  Secondo la ministra toccare con mano lo stato delle carceri perchè è un pezzo della nostra Repubblica che non possiamo rimuovere dalle nostre coscienze”.

A Santa Maria Capua Vetere sono stati  finora  sospesi 75 agenti, altri sono ancora sottoposti alle indagini perchè non è stato dimostrato fossero presenti il giorno in cui si sono verificate le violenze, il 6 Aprile 2020. Dalle immagini riprese dalle telecamere di videosorveglianza emerge una violenza inaudita esercitata dagli agenti nei confronti dei detenuti  “Quei fatti sono la spia che c’è qualcosa che non va e che richiede azioni ampie e di lungo periodo perché non accadano mai più”, ha commentato il Gip che si occupa della vicenda assicurando  che verrà messa in piedi “un’indagine ampia per capire cos’è successo in tutti gli istituti dove la pandemia ha esasperato la situazione”.

Marta Cartabia, in relazione al tragico evento ha dichiarato: “Abbiamo visto tutti le immagini, un detenuto costretto a inginocchiarsi per colpirlo, uno in carrozzella colpito ripetutamente, tutto sono l’occhio della videocamera. Non era una reazione a una delle tante rivolte, era violenza a freddo”. La ministra parla dei diritti fondamentali, quelli tutelati dalla Carta Costituzionale e non può non evidenziare “una ferita gravissima alla dignità della persona che è la pietra angolare della convivenza civile, a difesa di tutti, specie di chi è più vulnerabile”. Oltre al ripudio di ogni forma di violenza la Cartabia ha qualificato come “gravi” i fatti verificatisi nella sezione Nilo. I reati compiuti e contestati agli agenti in servizio il 6 Aprile sono tanti e in concorso tra loro. Si tratta di  “delitti aggravati per aver agito con crudeltà, abuso di poteri, uso delle armi, con più di cinque persone coinvolte”. La ministra prosegue raccontando di aver chiesto al Dap – il Dipartimento delle carceri italiane che vede al vertice l’ex procuratore generale di Reggio Calabria Dino Petralia e il suo vice, l’ex pm di Palermo Roberto Tartaglia – quali provvedimenti abbia posto in essere appresa la notizia dell’episodio di violenza. Il Dap “ha cercato e ha chiesto notizie alla procura, ma senza nessun riscontro perché le indagini erano coperte dal segreto investigativo”, ha sostenuto di fronte ai parlamentari Marta Cartabia spiegando che, per questo motivo,  tutte le iniziative sono successive agli arresti.

La mistra della Giustizia, riprende le parole dette da Mario Draghi in occasione della sua visita al carcere di Santa Maria Capua Vetere. L’episodio è “una sconfitta per tutti. Al di là delle responsabilità penali personali, in quei fatti c’è qualcosa che ci riguarda tutti”, ha sostenuto la ministra e per coordinarsi in merito ad interventi futuri ha già incontrato tutti i rappresentanti sindacali e i provveditori regionali.  Le immagini riprese dalle telecamere e agli atti del giudizio, del resto, non sono equivocabili. “Emerge che la perquisizione era fuori dai  casi previsti dalla legge, senza il via libera del direttore del carcere, ci fu solo un provvedimento dispositivo orale, un ordine al telefono, ci fu un’azione a scopo dimostrativo per recuperare il controllo del carcere e per le aspettative del personale”, ha chiosato la Cartabia e riprendendo testualmente un’intercettazione ha aggiunto: “Era l’unico modo per riprendersi il carcere”.

Le misure assunte dal ministero e dal Dap sono note. Cartabia ha deciso di ribadirle in occasione del suo discorso alla Camera. Sono stati trasferiti i detenuti coinvolti, 75 agenti  sono stati sospesi dal servizio per 8 mesi, al pari del il provveditore regionale Fullone e il direttore reggente del carcere. Ma Cartabia si è posta anche un obbiettivo ulteriore, vale a dire  “capire la catena delle informazioni, come sia stata possibile una perquisizione senza un via libera scritto”. Per lei è doveroso “allargare la prospettiva, scoprire cosa è accaduto in altre carceri”, ma soprattutto “cercare le cause profonde di che cosa non ha funzionato”.  E’ stata a tal fine istituita, all’interno del Dap, una nuova commissione con compiti ispettivi che “visiterà tutti li istituti dove si sono verificati i gravi eventi del marzo 2020”. Il Dap, dice Cartabia, “deve indagare al suo interno deve scoprire cosa accade dietro quei muri perché i fatti di Santa Maria dimostrano che la capacità di indagine interna non c’è stata”. Il dichiarato intento è “evitare ulteriori violenze”, e qui Cartabia ribadisce che “ogni giorno” si confronta con la polizia penitenziaria.

Nel discorso della Cartabia, comunque, non emerge solo la condizione degradante in cui versano i detenuti ma si prende in considerazione anche la posizione degli agenti della polizia penitenziaria. La Cartabia ha ripreso,  in particolare, le parole di un agente che le ha detto: “Ho ascoltato i racconti del personale, quei fatti sono stati una ferita e un’umiliazione. Io non sono un picchiatore, sono lo stesso padre amorevole che ogni sera torna in famiglia, ma ormai faccio fatica a farmi credere”.  “I gravi fatti di intimidazione verso la polizia che non devono succedere”, ha incalzato quindi la Cartabia aggiungendo, “Perché gli agenti devono essere fieri della divisa che portano, e devono farlo con dignità e onore”.

La verità è che le condizioni in cui versano le carceri italiane sono veramente inumane e degradanti. A farne le spese i detenuti in primis, ammassati nelle celle senza servizi essenziali come l’acqua e, in secondo luogo, anche gli agenti. Si conta, infatti, un numero elevatissimo di agenti della polizia penitenziaria che decide di togliersi la vita.

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