Atteso un chiarimento da parte del Segretario democratico Elly Schlein per capire se l’inciucio calabrese è un incidente di percorso o un cambio di atteggiamento verso le forze centriste
di Ennio Bassi
Sembrava fosse il Partito Democratico, invece era Forza Italia. Con questa battuta, che evoca un vecchio film di Massimo Troisi, a Catanzaro si commenta il salto della quaglia del neo sindaco Nicola Fiorita. In un classico rimpasto agostano: escono dalla giunta i rappresentanti indipendenti simbolo della società civile e delle liste civiche.
Vanno via Bonaventura Lazzaro, un noto medico e storico presidente del Circolo Culturale Placanica, Aldo Casalinuovo, affermato avvocato penalista, già presidente della Camera Penale, autorevole candidato a sindaco alle ultime elezioni e autore di un responsabile passo indietro volto proprio a favorire la vittoria del centro sinistra, ed esce infine Nino Cosentino, un dirigente sportivo di lungo corso. Al loro posto Fiorita ha deciso di fare entrare Giorgio Arcuri, consigliere eletto con il centrodestra e l’avvocato Giusy Pino, entrambi in quota Talerico, un consigliere regionale di centrodestra che al ballottaggio aveva già favorito l’ascesa di Fiorita. A questi poi ha aggiunto Nunzio Belcaro, membro del movimento civico di “Fiorita Cambiamento”, attuale consigliere comunale. Per quanto possa apparire strano che dopo appena un anno il sindaco senta la necessità di fare uscire dalla sua giunta quei soggetti rappresentanti della società civile che tanto aveva esibito in campagna elettorale come simbolo positivo di indipendenza, competenza ed apertura, c’è da dire che è stato coerente.
Aveva promesso un “cambiamento” ed eccolo qui. Incassata la vittoria elettorale, via gli indipendenti e dentro i colleghi di centrodestra. Che gli elettori, dopo 20 anni di Sergio Abramo e di centro destra, avevano votato Fiorita, autorevole esponente del Partito Democratico, nella speranza di avere un cambiamento politico nella gestione della città capoluogo di regione è un dettaglio trascurabile. Gli elettori – è prassi ben nota a quanti si affidano ad elezioni democratiche per la gestione della cosa pubblica – sono importanti fino al momento del voto. Poi non servono più fino all’appuntamento successivo.
Dunque, nessuno scandalo: i palazzi del potere politico sono costruiti col cemento a presa rapida dei rimpasti. Così come è viva nella memoria di tutti la sferzante uscita di Prezzolini che ci ricordava come “la coerenza è la virtù degli imbecilli”. Quindi lasciamo da parte l’etica, come siamo abituati ormai a fare troppo spesso quando si tratta di politica, e proviamo a capire perché un intellettuale colto e sempre attento a suo profilo morale come Fiorita, che nel Pd ha sempre giocato il ruolo del “duro e puro”, abbia deciso di cimentarsi nel salto della quaglia degno dei democristiani più noti.
Qui le cose sembrano più complicate. I numeri per governare, benché risicati, ce li aveva, tant’è che è andato avanti finora. Voleva comunque allargare la maggioranza per una maggiore sicurezza di gestione? Poteva farlo in mille altri modi. Ha constatato che non poteva più andare avanti, che qualcosa si era rotto nella sua maggioranza? Poteva dimettersi. Invece ha fatto fuori i rappresentanti della società civile richiamando in servizio il centro destra e così dichiarando “urbi et orbi” che anche per il Pd la politica dell’inciucio rimane una prassi praticabile.
Rimane ancora la domanda: perché lo ha fatto? Lasciando perdere voci feroci che si rincorrono (prezzi da pagare a qualcuno?), forse una possibilità è che Fiorita stia guardando con interesse al grande centro, al quale, anche a causa della morte di Berlusconi, tutti prestano rinnovata attenzione. Quel sacro Graal della politica dove si dimenano in tanti, a cominciare da Renzi e Calenda. E’ li che mira il professor Fiorita? O è forse soltanto un tema di poltrone? Meglio col centro destra che a casa… Difficile dirlo. Forse qualcosa di più lo scopriremo dalle attese dichiarazioni del Segretario del Pd Elly Schlein che dovrà spiegare in quale direzione sta andando il suo partito, se Catanzaro è un infausto incidente oppure se può essere considerata un laboratorio anche a livello nazionale per aperture a quell’area centrista fin qui vituperata.
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