Chi orienta gli interessi reali dell’Europa e degli Stati Uniti nel Tigray?

Una ricostruzione delle vicende politiche internazionali che rischiano di destabilizzare il Corno d’Africa

di Guido Talarico

Dopo l’attacco al comando settentrionale (che mirava a destabilizzare l’Etiopia e a riprendere il controllo di Addis Abeba, per mettere così in pratica gli obiettivi dichiarati del TPLF, cioè l’indipendenza del Tigray, lo smantellamento dello stato Amhara e lo scoppio della guerra etnica in Etiopia) la risposta militare dell’esercito etiope è riuscita a ristabilire l’ordine e lo stato di diritto nella regione del Tigray con l’obiettivo di creare le prospettive di pace e stabilità in tutta la regione garantita dai rispettivi governi. Tuttavia, proprio mentre i popoli di Etiopia, Eritrea e Somalia stavano iniziando a prepararsi per un nuovo capitolo di pace, stabilità e sviluppo, è partito un complotto, neanche tanto segreto, che ha come obiettivo la destabilizzazione della regione. Una trama che come primo punto prevede di rovesciare il Primo Ministro e premio Nobel per la pace, Abiy Ahmed.

Fonti di Bruxelles e Washington spiegano che la nuova amministrazione americana guidata da Susan Rice, che è stata per molti anni consulente del TPLF e che quindi non appare neutra nella vicenda, sembra aver messo in atto una strategia per destabilizzare il governo esistente in Etiopia utilizzando una grande campagna di disinformazione finanziata principalmente dalle centinaia di milioni di dollari che il TPLF è riuscito ad accumulare in 27 anni di governo in Etiopia.

Questa campagna, trasmessa, c’è da ritenere in maniera più o meno ignara, da grandi media come CNN, BBC, Al Jazeera, France 24, New York Times e altri media influenti, e favorita, in modo più o meno consapevole, da alcune ONG, mira a drammatizzare la situazione umanitaria nel Tigray accusando le forze dell’esercito etiope ed eritreo di tutti i possibili abusi. L’obiettivo è creare le basi per un intervento umanitario come in Iraq e in Libia e cambiare il corso della storia nella regione con il rischio di ripetere i gravi errori commessi in quei paesi. Gli americani sembrano non aver imparato le recenti lezioni dal passato, o almeno non sembrano totalmente consci di quello che stia realmente accadendo nel Corno d’Africa. Invece di riconoscere che la guerra nel Tigray è finita con la sconfitta dell’esercito irregolare e destabilizzante del TPLF e di lavorare con la nuova realtà in atto, l’UE e gli USA sembrano decisi a salvare il TPLF, negando i suoi atteggiamenti eversivi e anzi tentando di farlo passare per vittima. Voler rimettere al potere i responsabili dei peggiori crimini in Etiopia al posto di un premio Nobel per la pace è difficile da capire e da accettare soprattutto se questa strategia viene da chi si presenta come campione dei diritti umani, avendo una lunga tradizione positiva in tal senso. Salvare il TPLF per metterlo al potere a tutti i costi sembra invece fin qui essere il leitmotiv a Washington e Bruxelles.

Per raggiungere questo obiettivo, fin qui hanno tentato ogni carta: prima proponendo sanzioni al Consiglio di Sicurezza senza successo grazie alla forte opposizione di Cina e Russia in particolare, e poi creando una strategia comune tra il ministro degli esteri dell’UE Borrel e il segretario di Stato Blinken per fare pressione sull’Etiopia e cercare di indebolirla con ogni mezzo. Questa strategia comune pare preparata dal consigliere di Borrel, Rondos, che si vanta di avere una grande influenza su Blinken, ha preso forma con la nomina dell’inviato speciale Felkman, molto vicino a Susan Rice, incaricato di raggiungere i seguenti obiettivi: 1)  Sbarazzarsi del premier Abiy con l’aiuto dell’UE e sostituirlo con un leader del TPLF. 2) Aiutare l’Egitto nella disputa della diga in cambio di un sostegno attivo contro Abiy attraverso il Sudan.

Nonostante il mandato esplorativo dell’inviato speciale Felkman di visitare la regione per ascoltare tutte le parti, le sue dichiarazioni alquanto ostili prima della sua partenza tradiscono la determinazione dell’amministrazione americana di intervenire direttamente per riportare il TPLF al potere in Etiopia. Senza capire che qualsiasi intervento da parte loro, avrà conseguenze catastrofiche non solo in Etiopia ma in tutto il Corno d’Africa e oltre. Non capire che destabilizzare Abiy, presidente eletto e rappresentante della maggiore etnia dell’Etiopia, oggi significa creare una situazione di destabilizzazione permanente che è peggio di Libia, Siria e Iraq messi insieme, con guerre etniche decennali e decine di milioni di rifugiati e tanti criminali in libera circolazione. L’amministrazione Biden, che pure in altre aree geografiche si sta muovendo con grande coraggio e lungimiranza, rischia di lasciare un’eredità molto pesante se non si prende il tempo di capire bene tutte le questioni in ballo nel Corno d’Africa. Non a caso la Cina è all’erta, pronta ad intervenire. Andando avanti così e se non ci saranno ripensamenti, alla fine l’Africa sarà forse costretta a scegliere non secondo la sua reale vocazione ma perché spinta nell’unica direzione possibile da politiche suicide di pochi funzionari che non tengono conto dell’interesse strategico reale degli Stati Uniti e dell’Europa e tantomeno della vita delle popolazioni locali.

(Associated Medias) – Tutti i diritti sono riservati