Colombia verso il ballottaggio, sinistra avanti nelle elezioni

Il candidato di sinistra Gustavo Petro ha saputo trasformare l’indignazione in voti e scegliersi come vice Francia Márquez, rappresentante de “los nadie” con 750mila preferenze alle primarie. Il 19 giugno è atteso il ballottaggio

di Fabio Bozzato

Per la prima volta nella storia della Colombia un candidato di sinistra potrebbe diventare Presidente. E al suo fianco una vice afro, femminista e radicale. Tutti hanno atteso il 29 maggio, primo turno delle presidenziali: nel Paese sono inquiete le élite sociali, economiche e politiche di destra e di centrodestra che hanno sempre saldamente tenuto il potere. E c’è fermento nelle città più liberali, nelle regioni della “Colombia profonda”, nella società civile vivacissima che pure irrora le vene di questo paese a dispetto della vulnerabilità cui è esposta. Finora tutto ciò che si richiamava alla “sinistra” è sempre rimasto ostaggio della guerriglia e del fantasma che rappresentava. Ora qualcosa si è davvero rotto: questo cambio di registro nella strana, contraddittoria e vitale democrazia colombiana è forse il frutto più evidente degli accordi di pace del 2016. La smobilitazione delle Farc, la guerriglia più antica e forte della regione, ha aperto infatti uno spazio politico inedito che si è visto riempirsi con le grandi mobilitazioni sociali tra il 2019 e il 2021 prima e con nuove rappresentazioni politiche ora, agglutinate attorno alle figure di Gustavo Petro, candidato presidente e Francia Márquez, la vice.

La violenza di questi anni, con la scia di omicidi di leader sociali e attivisti per i diritti umani (48 solo nei primi tre mesi del 2022, ne ha contati Indepaz, l’Istituto di studi per lo sviluppo e la pace) e le scorribande sanguinose di pezzi di Farc dissidenti, paramilitari e Eln (l’altra guerriglia attiva), tutto questo non ha spento l’ansia di riscatto di una parte di quella Colombia rimasta finora ai margini. D’altra parte, gli accordi di pace, rimasti in gran parte volutamente incompiuti, sono di per sé un programma di politiche così avanzate, dalla distribuzione della terra ai diritti civili e sociali, da diventare il punto di riferimento di ogni mobilitazione. Le élite al potere, un tramato di clan familiari, latifondisti e imprenditori, con le loro alleanze e i loro dissidi, gli affari puliti e quelli macchiati da corruzione e narcotraffico, quell’impasto si trova per la prima volta davvero esposto. Per avere un’idea, è preziosa la ricostruzione persino visiva che il portale di giornalismo investigativo Cuenta publica ha realizzato in vista delle elezioni.

Disoccupazione, violenza e mobilitazioni sociali

Secondo un sondaggio Invamer del marzo di quest’anno, la maggior preoccupazione dei colombiani ben più della violenza, sembra essere la mancanza di lavoro, la corruzione e l’alto costo della vita. Un Paese che registra un tasso di disoccupazione del 14% e per un 43% è occupato solo in lavori informali, dopo due anni di pandemia è come una teiera in ebollizione.

Lo si è visto nelle mobilitazioni sociali, culminate l’anno scorso nel lungo Paro Nacional, che per mesi ha riempito le strade di ogni città colombiana. Tutte le vulnerabilità e tutti i motivi di indignazione si sono condensati in un esercizio civico che ha costruito nuove reti sociali, associazioni di vicinato, gruppi di mutuo soccorso, ollas comunitarias (le mense di strada) e incrociato richieste che finora erano rimaste isolate. Il punto di rottura più eclatante lo si è avuto a febbraio di quest’anno, quando la Corte costituzionale ha depenalizzato l’aborto: la spinta del forte movimento femminista ha rotto un tabù in una società molto conservatrice e in un mondo politico ostaggio e megafono del fondamentalismo religioso.

Tutto questo non si traduce automaticamente in voti: nelle elezioni legislative del 13 marzo i partiti di destra e centro destra, pur ridimensionati, hanno mantenuto la maggioranza dei seggi, tanto è forte il loro controllo elettorale nei territori. Eppure, per la prima volta fa irruzione al Congresso e al Senato un battagliero gruppo di sinistra e progressista, la coalizione Pacto Historico, come mai si era visto. Nel 2018, alla sua prima sfida presidenziale, Gustavo Petro era riuscito a fare eleggere solo 3 senatori: ora ne ha 19, che arrivano a 35 con gli alleati, su un totale di 107. “Anche se Petro non guidava lo sciopero, ha saputo valorizzarlo in tre modi – dicono Paula Doria, Nicole Bravo e Manuela Galvis, autrici di un’inchiesta per il prestigioso portale La Silla Vacia – Uno: è riuscito a trasformare l’indignazione in voti; due: ha sfruttato la rete capillare di organizzazioni di quartiere e di attivisti che finora lui non aveva; tre: ha messo in lista figure emerse dalle manifestazioni”.

Alle primarie dentro le singole coalizioni, tenute lo stesso giorno delle legislative, Gustavo Petro ha trascinato 4,5 milioni di voti. Economista, già sindaco di Bogotà, e un passato da guerrigliero del gruppo M19 (la cui smobilitazione ha permesso di scrivere la Costituzione del 1991) è l’uomo da battere il 29 maggio. Lui spera di vincere al primo turno, ma è un’impresa che è riuscita nel 2002 e nel 2006 solo a Álvaro Uribe Vélez, il deus ex-machina della politica colombiana degli ultimi 20 anni.

L’avversario di Petro, Federico Gutiérrez, ex sindaco di Medellin, ha raccolto alle primarie 2 milioni di preferenze. I verdi e la coalizione di centro, che quattro anni fa avevano fatto un exploit, sono rimasti a 600 mila voti sotto il nome di Sergio Fajardo. Ai loro fianchi, si è fatto largo in questi mesi, Rodolfo Hernández, un battitore libero, ricchissimo imprenditore che gioca da solo in nome del populismo.

Chi è Francia Márquez

In realtà la vera sorpresa politica è Francia Márquez, che ha rastrellato alle primarie del Pacto Historico ben 750 mila preferenze, il trampolino che ha rotto le titubanze iniziali di Gustavo Petro e l’ha portata nel suo ticket presidenziale. È lei l’immagine più eclatante del terremoto simbolico e politico di questa Colombia. Quarantenne, afro-discendente, originaria di un piccolo paese della regione del Cauca, proveniente da una famiglia poverissima di agricoltori e minatori, si è fatta conoscere per le battaglie ambientali e sociali. Lei racconta di essere rimasta incinta a 16 anni del primo dei due figli, dovendo abbandonare la scuola e lavorando come domestica. Quando ha cominciato a battersi contro una grande idroelettrica che minacciava di distruggere la sua comunità, ha ripreso gli studi, laureandosi in legge. Ha marciato alla testa di un corteo di sole donne fino a Bogotà e nel 2018 si è guadagnata il Goldman Prize, il Nobel per l’ambiente, oltre a una scia di minacce. A sentirla, così diretta, empatica, semplice e sofisticata, è una boccata di ossigeno.

Come ha scritto sul The Washington Post Dora Montero, la Presidente di Consejo de Redacción, una piattaforma di giornalisti d’inchiesta, “Francia ha portato al centro del dibattito pubblico non solo il razzismo, ma anche il classismo, la marginalità, la povertà strutturale e i leader emarginati”. Nei suoi discorsi Francia Márquez ha la capacità di intrecciare le rivendicazioni femministe e Lgbt+ con il diritto alla terra, l’antirazzismo e la povertà, i saperi ancestrali e il futuro tecnologico, l’ecologismo e la democrazia. Lei evoca “los nadie”, i nessuno rimasti nel buio della Colombia, “calpestati da uno Stato razzista, patriarcale e classista”, ripete. Il suo slogan è “que la dignidad sea costumbre” (che la dignità sia consuetudine). Per Rosa Bérmudez, sociologa dell’Università del Valle, “Francia è anche una donna aspra, le sue risposte sono taglienti. La vita l’ha messa in questa condizione. È una donna che esprime tutta la violenza che ha dovuto affrontare”.

Nessuno fino ad ora si era spinto a tanto nel denudare la struttura coloniale che plasma ancora l’anatomia di questo Paese. Francia Márquez rappresenta il sommovimento lento e tenace che ha scosso la Colombia. Non è scontato che lei e Gustavo Petro possano farcela il 29 maggio o al secondo turno. E nel caso ci riuscissero si troverebbero catapultati alla guida di un paese fratturato in mille rivoli di disuguaglianze e ferite e con un parlamento dove non avrebbero la maggioranza. Per questo avranno bisogno di una grande intelligenza nel tessere alleanze e tenersi in piedi. Ma allo stesso tempo nessuno, tra chi si sentiva onnipotente in Colombia, potrà non fare i conti con loro.

Testo e foto pubblicati per gentile concessione di Eastwest, magazine di geopolitica diretto da Giuseppe Scognamiglio www.eastwest.eu

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