Crisi: Mattarella chiama Draghi per costruire il governo dei migliori. Conte addio, politica alle strette

di Guido Talarico

La rapida convocazione di Mario Draghi al Quirinale da parte del Presidente Sergio Mattarella certifica il fallimento della politica e testimonia la drammaticità delle ore che stiamo vivendo. Due criticità che si intersecano, con la seconda, la crisi parlamentare, che mette in luce tutta la pochezza della prima, la classe dirigente, e costringe Mattarella a dover spiegare, illustrando punto per punto, come la situazione da un lato impedisce di andare alle urne dall’altro richiede sforzi coesi e fuori dall’ordinario per consentire al Paese di rimettersi in moto.

Gravità della crisi e inconsistenza degli attori che costringono ancora una volta il Capo dello Stato a doversi lanciare in un appello alla responsabilità dei parlamentari nel sostenere un governo di unità nazionale. L’alternativa – ha spiegato Mattarella – sarebbero solo elezioni anticipate, che però lascerebbero il Paese in balia della crisi ed esposto alla pandemia. In altri termini una strada pressoché impercorribile.

Insomma, Mattarella ha fatto quel che doveva e lo ha fatto nel modo più rapido possibile, ma al tempo stesso formale e rispettose delle regole della democrazia: ha prima ascoltato informalmente il premier uscente, Giuseppe Conte, poi ha dato un mandato esplorativo a Roberto Fico, presidente della Camera, seconda carica dello stato, e rappresentante del primo partito di maggioranza relativa. Constatato il fallimento di questi due tentativi e l’impossibilità di trovare una nuova maggioranza parlamentare, Mattarella pochi minuti dopo l’uscita di Fico dal palazzo ha annunciato l’intenzione di dare vita ad un Governo di unità nazionale. Pochissimi minuti dopo le dichiarazioni di Mattarella alla stampa è uscito il portavoce del Quirinale, Giovanni Grasso, per annunciare la convocazione di Mario Draghi per mercoledì alle 12.

Una rapidità che dimostra quanto il Quirinale avesse già le idee chiare sul probabile fallimento prima di Conte e poi di Fico ed anzi fa capire che il Colle doveva già aver preparato l’arrivo di Draghi. Ma anche questo dimostra l’efficacia del nostro Presidente e la sua determinazione a non perdere un minuto di tempo.

Vincitori e Vinti

Vincitori francamente se ne vedono pochi. Se si eccettua Mattarella, che, come abbiamo scritto ha gestito al meglio la crisi, rispettando la prassi costituzionale ma facendosi trovare pronto nel momento del fallimento di questa maggioranza, l’unico altro vincitore può essere giudicato Matteo Renzi al quale va l’indiscusso merito di avere dimostrato nei fatti che senza di lui non si poteva  andare avanti e soprattutto di avere messo in moto una battaglia politica che alla fine forse regalerà all’Italia il governo dei migliori. Ma potrebbe essere una vittoria di Pirro: l’ex sindaco di Firenze alla fine ha realmente fatto gli interessi del paese, dimostrando nei fatti la debolezza del Governo Conti e l’insipienza della coalizione giallo rossa che lo sosteneva, ma potrebbe pagare a caro prezzo questa vittoria. Il passaggio da simpatico giamburrasca, ad eterno guascone fino a diventare l’emblema del politico inaffidabile è assai breve. Matteo ha armato e diretto da par suo questa crisi, portando il paese da Conte a Draghi, che è come dire passare dalla cucina di un candidato di Master Chef alla ristorazione del maestro Cannavacciuolo. Ma se questo è bene per l’Italia, non è detto che lo sia per lui e per la sua Italia Viva. Il rischio di essere percepito soltanto come un distruttore, per di più interessato, è altissimo.

Ma il vero vinto è Zingaretti. Da odiato e odiante nemico del Movimento 5 Stelle è andato volentieri al governo con loro, portatovi solo e soltanto dal segretario di ItaliaViva. Da lì in poi ha fatto tutto quello che non doveva fare pur di levarsi dai piedi l’odiato Renzi e ha cercato, fallendo alla prova dei fatti, di blindare Conte nel tentativo di avviare nel tempo un “take-over” amichevole dei 5Stelle. Una strategia dettata irritualmente da Goffredo Bettini che puntava prima a distruggere Renzi e poi a rosicchiare, anche grazie a Conte, elettori ai grillini. Un errore dietro l’altro che alla fine hanno dimostrato quanto errata fosse la strategia del Pd. Dei Grillini neanche a parlarne: hanno gestito tutta la crisi restando divisi e il più sottotraccia possibile certi che alla fine la crisi non ci sarebbe stata. E invece ne escono duramente ridimensionati ed esposti al forte rischio della scissione.

Le opposizioni invece ripetono da un anno lo stesso disco. Ad eccezione di un Berlusconi perennemente in cerca di opportunità, Lega e Fratelli d’Italia ripetono da sempre lo stesso refrain. Al voto! Al voto! Al voto! Ma come abbiamo visto difficilmente Mattarella in questo contesto arriverà a sciogliere le camere, una situazione facile da capire ma che non ha spostato Salvini e Meloni dalle loro posizioni.

E Draghi che farà?

Il punto è ora cosa farà Draghi e se ce la farà a raccogliere una maggioranza qualificata. Di certo non sarà facile. Pochi minuti dopo l’uscita del suo nome, a destra e a sinistra sono usciti distinguo e precisazioni. Il tutto alquanto critico rispetto non al suo nome ma alla sua possibilità di mettere insieme un governo forte, qualificato e credibile. Chi conosce Draghi sa che è un uomo determinato. E si capisce anche che da Mattarella non è arrivato come un pero caduto dall’albero ma come persona ben informata dei fatti. Ma su tutti i ragionamenti politici e anche sulle capacità dell’ex Presidente della Banca Europea prevarrà, c’è da starne certi, gli interessi di bottega dei singoli deputati, la cui maggioranza è certa di non essere rieletta: Sono questi, i peones bipartisan, che alla fine impediranno al prossimo governo di cadere. Sono loro che potranno costruire un percorso di blindatura mobile che mantenga Draghi sempre a galla. Con loro naturalmente Renzi, Berlusconi e un po’ di centristi e ampie fasce del Pd e dei 5Stelle.

Draghi dal canto suo non può che dare vita ad un governo molto alto, giocato sulle competenze, sulle attitudini risolutorie, sulla credibilità. Chiederà al parlamento italiano quello che ha chiesto alle banche europee al tempo del “What evet it takes” cioè di votare il governo dei migliori. Un Governo delle eccellenze che sia in grado al tempo stesso di affrontare crisi economica, pandemia e sviluppo. E chi ci sarà in questo Governo guidato da Draghi? Difficile da dire oggi. Molto dipenderà dalle scelte che faranno i partiti, ma certo ci saranno persone che singolarmente verranno a dare una mano. Ci si attende una compagine di governo a forma di task force, guidata in larga parte da tecnici e pronta ad aggredire la crisi. Ma, lo ripetiamo, tutto è ancora in alto mare. Il dado è tratto, ma i giochi non sono ancora fatti.

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