Elezioni in Nigeria. Il risultato ancora incerto tra proteste e accuse di brogli

Sullo sfondo di una forte instabilitá, di una profonda crisi economica e sociale, di una corruzione radicata e diffusa e di insanabili divisioni etnico religiose, sabato 25 febbraio la Nigeria é andata alle urne per eleggere il nuovo presidente tra tensioni e proteste, assalti armati alle postazioni elettorali e pesantissimi disguidi nel nuovo sistema elettronico di identificazione, tanto che in alcune cittá e in alcuni stati della federazione è stato necessario prolungare le operazioni di voto anche al giorno successivo.

Ritardo nello spoglio elettorale 

Lo spoglio elettorale procede intanto con spaventoso ritardo, ma la vittoria di Bola Tinubu, candidato musulmano dell’ All Progressives Congress, il partito al governo, al momento appare scontata, nonostante la pesante sconfitta che il delfino del presidente uscente il generale Muhammad Buhari ha riportato proprio a Lagos, cuore pulsante e cittá stato piú grande del paese, della quale è stato per due mandati ( 1999 -2007) governatore, sua roccaforte e roccaforte dell’Apc. La capitale economica della Nigeria gli ha preferito  l’imprenditore cristiano ed ex governatore dello stato di Anambra, Peter Obi, leader del Partito Laburista, icona sui social di cambiamento, di futuro e di nuovo, che con il suo carisma è riuscito a conquistarsi milioni di follower tra i giovani, dato che non va sottovalutato in un paese in cui il 60% della popolazione ha meno di 25 anni.

In testa Tinubu 

Tinubu finora è in testa con il 44% dei voti, seguito dal leader dell’opposizione ed ex vicepresidente (tra il 1999 il 2007) Atiku Abubakar del Pdp, il partito del Popolo democratico con il 33% e Obi, con il 18%. Ma i numeri non sono sufficienti per la sua proclamazione a presidente. Per vincere un candidato deve conquistare non solo la maggioranza delle preferenze, ma anche un quarto dei voti espressi in 25 dei 36 stati piú’ quello di Abuja, la capitale. Altrimenti, la legge  prevede che si vada al ballottaggio entro 21 giorni dal pronunciamento della commissione elettorale nazionale. E in Nigeria, a causa del mancato trasferimento elettronico dei risultati del 70% dei 176 mila seggi elettorali sulla piattaforma dell’Inec,  sperimentata per la prima volta, non si dispone ancora dei dati elettorali di numerosi stati del nord e del sud est, dove il Pdp e i laburisti sono forti.

L’appello dell’ex presidente Obasanjo e il simbolo laburista rimosso 

Infuocate sono le polemiche e le accuse di brogli. Il Partito Laburista ha denunciato

su numerose schede elettorali. E persino  Olusegun Obasanjo, predecessore di Buhari alla guida del paese, é sceso in campo invitando il presidente a difendere la fragile democrazia nigeriana, ordinando che si  vada  nuovamente ai seggi laddove le operazioni elettorali si sono svolte in maniera opaca.

 

La crisi morde il “leone africano” 

  1. L’ affluenza alle urne sarebbe stata alta, almeno secondo quanto riferiscono i media locali,  ma non si conosce l’esatta percentuale di quanti degli 87 milioni di aventi diritto si siano recati ai seggi per scegliere tra  i 18 candidati in lizza il politico che avrà il difficile compito di rimettere in moto il “leone africano”. La Nigeria versa in una situazione particolarmente difficile,  afflitta com’è  da povertá, profonde diseguaglianze e da un forte rallentamento della  crescita, crollata dopo il 2014 a causa del calo del prezzo del greggio sulle cui entrate si fonda l’economia del paese che nonostante sia il principale produttore di petrolio dell’Africa Subsahariana, è paradossalmente costretto a importare l’80% del suo fabbisogno di carburante. Il governo non si è mai interessato di diversificare le risorse e ha trascurato welfare e infrastrutture, per realizzare le quali occorrerebbero, secondo gli analisti,  investimenti per 3 mila miliardi di dollari da qui fino al 2050.

Inflazione alle stelle e rischio terrorismo 

Ad aggravare lo scenario, prima la pandemia e poi la  guerra in Ucraina, che hanno provocato un forte aumento dei prezzi dei beni di prima necessitá con un’impennata dell’inflazione, che è schizzata al 21%, e della disoccupazione, salita al 33, 3%, dieci punti in piú in quattro anni. A tutto ció va ad aggiungersi una diffusa instabilitá e mancanza di sicurezza, che dal nord del paese, dove il presidente Buhari si è trovato costantemente a dover fare i conti con i jihadisti di Boko Haram e dell’Iswap, l’Isis locale, sta contagiando gli stati del centro e del  sud, dove il nuovo pericolo è rappresentato dai pastori nomadi fulani, (il termine Fulan significa “uomo libero”), impegnati nella sigla di inquietanti alleanze con gli islamisti, di cui sono i principali fornitori di quelle armi di fabbricazione russa, che viaggiano lungo le loro stesse rotte.

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