Elezioni Usa: il Covid, gli errori e i lutti di Trump. Cosa determinerà le presidenziali

di Benedetta Ciavarro

Nell’anno degli anni dei lutti americani, per Donald Trump ne arriva ora uno personale: la morte di Robert, l’adorato fratello minore (foto). Che ci tenesse moltissimo lo si capisce dalle parole di commiato: Non era solo mio fratello – ha detto il Presidente degli Stati Uniti – era il mio migliore amico. Mi mancherà moltissimo, ma ci rivedremo. Il suo ricordo vivrà nel mio cuore per sempre”. Un grande dolore che si aggiunge ad un problema gigantesco, il Coronavirus, che è globale ma che a Donald rischia di costare la rielezione. Prima dello scoppio della pandemia negli Usa, e siamo solo a sei mesi fa, Trump sembrava lanciato in una cavalcata inarrestabile, ora non è più così. Riguardiamo dunque i numeri e vediamo di capire cosa è successo e cosa probabilmente accadrà nei prossimi mesi.

Da fine giugno, i casi di Coronavirus negli Stati Uniti d’America continuano a salire esponenzialmente. Salgono i morti, sale la disperazione, la crisi economica peggiora di giorno in giorno. La gestione della crisi, guidata dall’amministrazione Trump, è stata contraddistinta da vari conclamati errori. Con oltre 159.000 morti, gli Stati Uniti risultano ad oggi essere il paese con il maggior numero di decessi legati al COVID-19. Luglio registra il record di casi nel paese, oltre 1,9 milioni, e diventa per loro il mese peggiore da inizio pandemia. E, si badi, il virus, come sappiamo, ha cominciato il suo mefitico cammino altrove. In Cina prima, poi in Europa. Il che elimina l’alibi della sorpresa.

Ma quali sono i motivi che hanno portato gli USA a rimanere incastrati in una situazione sanitaria così infelice e indubbiamente peggiore di quella del resto dell’Occidente? La maggioranza degli analisti ritiene che la causa principale di tale disastro sia figlia di un messaggio politico inadeguato dell’amministrazione e del presidente stesso.  Robert Redford, direttore dei Centres for Disease Control and Prevention (CDC) negli USA, oltre a fondare la task force che si è occupata di consigliare e gestire la crisi del coronavirus, è stato tra i più stretti consulenti del presidente Trump durante la pandemia. In una recente intervista a The Economist, Redford ha sostenuto che le ragioni della recente insorgenza di nuovi casi sono da ricercare principalmente sugli spostamenti dei cittadini dagli stati del Nord agli stati del Sud. In particolare, Redford si riferisce all’incremento di positivi in Florida, Texas, Arizona e California nel mese di luglio. A marzo, ovvero quando la situazione negli Stati Uniti è velocemente peggiorata, la popolazione era stata soprattutto colpita negli stati del Nord Est di New York, New Jersey e Connecticut.

Questa spiegazione, però, non sembra del tutto esaustiva. John Prideaux, giornalista per The Economist, suggerisce che il problema potrebbe risiedere nelle azioni dei cittadini degli stati poco colpiti a inizio pandemia, che troppo velocemente hanno riaperto le attività al pubblico, sottovalutando le linee guida sanitarie. Ma soprattutto, Prideaux menziona un problema fondamentale: un presidente che mostra pubblicamente di non seguire le principali direttive degli esperti e della sua stessa amministrazione non è sicuramente un esempio virtuoso per la popolazione.

Inizialmente, gli Stati Uniti hanno affrontato difficoltà con le quali, bene o male, molti paesi si sono dovuti confrontare. La mancanza di attrezzature mediche quali ventilatori e dispositivi di protezione individuali è stata presto denunciata sia dagli operatori sanitari che dalle forze dell’ordine. Inoltre, l’opposizione (politica) del CDC all’Organizzazione Mondiale della Salute (OMS) ha rallentato ulteriormente la capacità del paese di effettuare i test sulla popolazione. I primi test, forniti proprio dalla CDC, sono risultati non funzionanti. Di conseguenza, il governo ha autorizzato le compagnie farmaceutiche private a produrre test, promettendo al paese di essere già in grado, entro marzo, a effettuare il test su almeno cinque milioni di abitanti. I laboratori incaricati di implementare la diagnostica vengono invece colti alla sprovvista, creando ritardo nell’esecuzione dei test. Purtroppo, il 30 marzo nemmeno un milione di Americani si era sottoposto al test.

Se il problema dei test avrebbe potuto essere evitato da una maggiore collaborazione con l’OMS, gli eventi successivi dimostrano che fin troppi elementi, durante la pandemia, sono stati politicizzati. Innanzitutto, ricordiamo che quest’anno segna la fine del mandato del Presidente Trump. A novembre si terranno, come è noto, le elezioni presidenziali che vedranno competere Donald Trump per il partito Repubblicano (affiancato da Mike Pence) e Joe Biden per il partito Democratico, affiancato come candidata vicepresidente dall’afroamericana Kamala Harris, una brillante giurista in passato sostenuta dallo stesso Trump. La competizione elettorale, tipicamente dura, si è ulteriormente inasprita durante la fase pandemica, diventando alquanto estrema grazie ai toni di Trump e i suoi seguaci. Il presidente ha indossato una mascherina in pubblico per la prima volta l’11 luglio durante una visita all’ospedale militare Walter Reed. In quell’occasione, ha dichiarato che le mascherine hanno “un tempo e un luogo”. Nei mesi precedenti, per ottenere maggiore consenso dal suo elettorato, egli aveva ripetutamente sostenuto la libertà individuale di non indossare mascherine, con la tesi che non fossero una soluzione integrale, e che potessero anche causare problemi.

L’amministrazione di Trump ha ripetutamente politicizzato la crisi usando le scelte dei governatori per criticare il Partito Democratico. Difatti, il Presidente ha spesso ripetuto durante le sue interviste di aver messo tutte le armi necessarie per la risoluzione della crisi nelle mani dei governatori degli Stati Uniti, sostenendo poi che alcuni si sono comportati bene ed altri no. Ad aprile Trump ripostato sui social i messaggi di protesta contro i governatori Democratici degli stati del Michigan, Minnesota, e Virginia, sostenendo implicitamente che anche lui era contro le restrizioni imposte per favorire il distanziamento sociale. Uno degli scontri più duri scontri è stato quello con Andrew Cuomo, il governatore dello stato di New York, che, per nulla intimidito, ha espressamente chiesto a Trump di lasciare da parte la politica e occuparsi piuttosto della vita delle persone.

Come se non bastasse, il 25 Maggio, a Minneapolis in Minnesota, il video dell’arresto e della barbara uccisione di George Floyd fa il giro del mondo. Le immagini, che mostrano quattro agenti arrestare e maltrattare un uomo afroamericano, finiscono su tutti i media internazionali. Moti d’indignazione si alzano in tutto il mondo. L’avvenimento segna l’inizio di un potentissimo movimento di manifestazioni internazionali contro il razzismo e l’abuso di potere delle forze dell’ordine (Black Lives Matter). Un dramma che non aiuta a rasserenare il paese ma anzi complica una situazione già molto delicata e tesa proprio per le forti contrapposizioni tra le due parti politiche e perché accade in un momento in cui proprio a causa della pandemia gli assembramenti di persone e quindi le manifestazioni sono vietate. Trump, piuttosto che calmare le acque, si schiera con le forze dell’ordine e condanna i protestanti, scatenando di conseguenza maggiore indignazione e la rabia nei manifestanti più estremisti.

Anche al comportamento dei cittadini americani, non proprio e non sempre responsabile, va assegnata una parte della responsabilità per l’incremento di casi di COVID-19. In occasione del Memorial Day a fine maggio, tanto per fare un esempio emblematico, gli americani si sono riuniti senza fare caso alle norme sanitarie, facendo così crescere ancora la curva dei contagi. In quei giorni sono stati molti ad attraversare il paese, creando veri e propri flussi migratori di virus. Eppure, come ha dichiarato il sindaco di Austin, Steve Adler, molti abitanti rifiutano di portare la mascherina usando come giustificazione proprio le parole del Presidente. Potrebbe sembrare una banale scusa per sfuggire alle proprie responsabilità, ma purtroppo non è la prima volta che i cittadini, per seguire le parole del Presidente, hanno comportamenti rischiosi. Durante una conferenza stampa tenutasi il 25 Aprile, Trump ha suggerito di usare le iniezioni di disinfettante in corpo per combattere il COVID-19. La conseguenza di questo suggerimento è stata che nei giorni successivi l’uscita di Trump numerosi centri sanitari hanno ricevuto chiamate da persone interessate a tentare l’empirica quanto inefficace soluzione suggerita da Trump.

Le azioni del governo Trump hanno così trasformato una gravissima crisi sanitaria nell’ennesima diatriba politica nazionale, dimostrando che, anche di fronte nella lotta tra la vita e la morte, c’è chi è incapace di mettere da parte gli interessi personali e le lotte di potere. Non vi è dubbio che una crisi e una recessione economica della portata di quelle che stiamo vivendo rappresentano rischi vitali equiparabili per una gran parte della popolazione americana e mondiale. Il che però dovrebbe portare a soluzioni condivise che seguano i pareri delle massime autorità mediche internazionali. Ma così non è stato. Trump si è rifiutato quasi sistematicamente di seguire i consigli degli esperti, prestando invece maggiore ascolto agli umori viscerali del suo elettorato. Una scelta evidentemente dettata dalle imminenti elezioni che tuttavia si sta dimostrando fallimentare e disastrosa per la prima potenza economica mondiale. Alla base di questi comportamenti sembra esserci non solo un forte interesse elettorale e un disinteresse per la salute dei cittadini americani, ma anche una spropositata presunzione. La presunzione di capire meglio e sapere di più, non soltanto rispetto ai propri avversari politici, ma anche rispetto al resto del mondo e alla comunità scientifica. In questi mesi, Trump ha continuato a fare riferimento al coronavirus come ad un “virus cinese”: un tentativo inutile e dannoso di creare distanza dalla pandemia, un espediente non riuscito di addossare solo ed esclusivamente ad altri (Cina in testa) le responsabilità del male.

La speranza dei democratici e di tutti gli oppositori del biondo più noto di Washington è che questa volta gli elettori americani non restino di nuovo vittime della retorica populista di Trump. I sondaggi mostrano come il suo tasso di popolarità, soprattutto a causa della sua gestione della crisi, sia in continuo calo. Tutti questi morti e la crisi economica che morde soprattutto quelle regioni del Midwest tanto care al presidente in carica lasciano pensare che lo slogan “American first” un tempo vincente sia oggi un’arma spuntata e non più utilizzabile. Anche perché, come hanno ricordato vari leader democratici non senza ironia, se mettere per primi gli americani porta a questi risultati vuol dire che il guidatore è incapace. Resta da vedere se i sondaggi di oggi saranno rappresentativi delle scelte dei cittadini durante le elezioni o se il Presidente riuscirà anche questa volta a ricostruire un’immagine abbastanza credibile di sé e a ribaltare i pronostici. Al momento la maggior parte degli osservatori lo giudicano in severo ritardo nella corsa alla rielezione. L’unica circostanza che potrebbe riaprire i giochi elettorali è il vaccino. Mettere fine alla pandemia è infatti l’unica variabile in grado di riportare l’orologio degli umori americani a prima dell’arrivo del Covid: quando l’economia marciava, le armi si vendevano, il disegno trumpiano di un nuovo commercio mondiale cominciava a delinearsi. Un’ipotesi difficile ma non irrealizzabile. Trump ha dunque oggi soltanto un nemico, il tempo. Più tardi arriverà il vaccino, minori saranno le sue possibilità di essere rieletto. E’ la corsa folle di un elettorato variegato e suggestionabile, che elegge un presidente per pochi decimali. Vedremo già alla ripresa di settembre quale piega prenderanno la pandemia e, soprattutto, i mercati. Dopo la morte del caro fratello Bob, Donald ora sarà probabilmente chiamato ad elaborare ancora altri lutti politici, sostituendo collaboratori e licenziando ministri in quella giostra pseudodecisionista che lo ha reso celebre e che piace tanto ai suoi fan. Sapendo che se non riuscirà ad invertire rapidamente la rotta il prossimo licenziato sarà lui.

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