Eritrea: Asmara spinta a chiudere la scuola italiana, storia di una relazione perduta

 

di Guido Talarico

La chiusura della scuola italiana di Asmara, in Eritrea, che con 1200 studenti è forse la più grande che l’Italia abbia all’estero, può apparire come una piccola cosa. Un incidente di percorso, una questione locale, frutto d’incomprensioni, o al più di disguidi. Quanto meno è stata percepita così dalla stampa italiana ed internazionale, tant’è che l’episodio è passato sotto silenzio o visto come un capriccio delle Autorità locali. Ma così non è. L’intervento del governo eritreo, che revoca la licenza e così chiude definitivamente la scuola, è un atto formale che di fatto allenta, forse definitivamente un’esperienza importante ma che negli anni è finita per diventare sempre più difficile e specchio del rapporto sterile fra i due paesi. La ricostruzione dei fatti è tutto sommato semplice. La pandemia da Coronavirus irrompe anche in Eritrea, il Governo adotta tempestivamente le necessarie misure per contrastarla, ma la scuola italiana, su iniziativa della Preside, avallata dall’Ambasciata italiana, fa di testa propria e chiude la scuola senza né concordare e neppure informare preventivamente le competenti autorità asmarine.

Con due lettere inviate a poche ore dalla chiusura, Preside e Ambasciatore comunicano al ministero degli esteri eritreo che la scuola italiana chiudeva a causa del virus e questo in un momento in cui in Eritrea non c’erano ancora casi accertati. Arrivederci e grazie. Poco importa che la competenza è locale, dimenticato il rispetto della sovranità nazionale. Poco importa che il 90% degli studenti è eritreo, pochissimo importa che la gestione della scuola è disciplinata da un accordo bilaterale tra i due paesi che, su iniziative di questo genere richiede il rilascio di pareri preventivi ed approvazioni da parte delle autorità eritree. Ed evidentemente ancora di meno è importato che un paese come l’Eritrea avesse tutto il diritto di stabilire quali strade seguire per combattere la pandemia, posto che oggi, alla luce dei fatti e a detta anche del New York Times, questa è una delle nazioni africane che ha saputo meglio combattere il virus e assistere la popolazione. La chiusura unilaterale della scuola italiana per il virus, benché in spregio alle normative vigenti e al rispetto di un minimo galateo istituzionale, potrebbe anche essere derubricata a mero incidente dovuto ad insipienza gestionale se non venisse, come dicevamo, a chiusura di una stagione di politica estera che ha reso l’Italia sempre più distante dall’Africa, anche in quei territori dove pure vi sono radici e legami antichi come certamente è il caso dell’Eritrea. Noi siamo stati più volte ad Asmara. Abbiamo visitato sia la scuola elementare che il liceo. Abbiamo parlato con i professori e abbiamo potuto vedere le bellissime ed antiche cartine geografiche di tutto il Corno d’Africa di inizio 900 fatte da italiani e conservate con cura e direi miracolosamente in una biblioteca del liceo. Abbiamo visto anche l’entusiasmo di centinaia di ragazzi orgogliosi di essere in quella meravigliosa scuola e di poter parlare italiano. Un orgoglio che non nasce ovviamente dalle malefatte dell’epoca coloniale, che rimangono impresse nella memoria di tutti, ma che trova nutrimento in quello di buono che gli italiani hanno fatto in decenni di permanenza in Eritrea. Una permanenza che durò fino alla fine degli anni 60. Le infrastrutture edilizie ed urbanistiche, ancora di grande fascino, i mestieri tramandati per generazioni, le competenze professionali ed anche imprenditoriali rimaste nel DNA di molti eritrei. Asmara è come tutti la chiamano ‘ la Piccola Roma’ e l’Eritrea è il paese dove la presenza della cultura del fare italiano è la più ricca d’Africa. Eppure, tutto questo, come direbbe il replicante di ‘Blade Runner’  Rutger Hauer rischia di andare ‘perduto nel tempo come lacrime nella pioggia’. Nel corso dei nostri viaggi ci avevano già raccontato di alcuni spiacevoli episodi, dove alcuni rappresentanti del corpo insegnante italiano si sono resi protagonisti di gesti che hanno contribuito ad avvelenare il clima con le autorità e la popolazione. Polemiche, insofferenze, gesti e parole fuori luogo.

Ma la scuola ha vissuto in passato altre vicissitudini e volontà di chiusura da parte italiana anche per motivi di tagli e risparmi alla spesa pubblica. Un progetto miope che fu subito contrastato per fortuna e accantonato. Gli artefici di quel progetto potranno oggi cantare vittoria. Ma dobbiamo tutti essere coscienti che la chiusura della scuola italiana non è un episodio secondario, tutt’altro. E da considerarsi un fatto grave perché testimonia come la politica estera italiana in Eritrea, come del resto in larghe parti dell’Africa, anche quelle più care all’Italia è gestita a dir poco senza una visione strategica. Da quanto abbiamo potuto ricostruire, la scelta ferma del Governo di Asmara di chiudere la scuola italiana è anche un modo di dire basta a questa politica. Una reazione frutto di un’esasperazione motivata da anni di continui atti non certo amichevoli, per non dire ostili, compiuti dai vari rappresentanti italiani inviati in Eritrea e da un disinteresse ed un ostracismo che si è sentito durante i 20 anni di guerra contro l’Etiopia e che di fatto sono continuati anche dopo. La storia ha dimostrato che l’Eritrea era dalla parte del giusto e la comunità internazionale alla fine ha riconosciuto questa verità, favorendo trattati di pace e cooperazione e, ad esempio assegnando il Premio Nobel della Pace al Primo Ministro etiopico Abiy che ha voluto condividerlo con il Presidente Eritreo Isaias Afwerki.  Ma l’Italia non ha preso la palla al balzo, non ha colto le opportunità della pace e delle aperture. Bisogna rendere atto al Premier Giuseppe Conte ad essere andato subito ad Asmara per ristabilire i rapporti, promettendo una ripresa delle relazioni commerciali ed imprenditoriali fra i due paesi. Sono seguite altre visite di rappresentanti di imprese ma poi non è successo granché anche a detta degli imprenditori che abbiamo incontrato, per l’azione non proprio incoraggiante dell’ambasciata italiana di Asmara. Così tutto è rimasto nell’enunciazione di buoni propositi, di quel “verremo, svilupperemo, faremo“, che dura lo spazio di un intervento pubblico e che, tristemente caratterizza tal volta il modo di fare italico all’estero. Forse, come abbiamo detto, le dimensioni di questo episodio possono apparire modeste. Ma quello che c’è dietro che è ben più grave. La scelta di Asmara di revocare la licenza alla scuola italiana è un segnale di insofferenza e di condanna verso l’atteggiamento dei rappresentanti del governo italiano che va ben oltre l’ultimo episodio. Tocca ora al Ministro degli esteri Luigi di Maio, riuscire a ricucire e a ristabilire una reazione più proficua. A questo punto è una sfida in salita, alquanto difficile da recuperare. Vedremo come se la giocherà. Per ora la notizia è che una delle più grandi scuole italiane all’estero è chiusa. Un peccato per l’Italia, per gli eritrei e per gli insegnanti che pur lamentandosi, stavano lì a 7.000 euro al mese.

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