Etiopia: i ribelli tigrini avanzano, al loro fianco mercenari. Il premier Abiy per ora lasciato solo

di Guido Talarico

L’avanzata dei tigrini verso il cuore dell’Etiopia si sta consumando nel sangue e in uno scenario dove la disinformazione è uno strumento di lotta impiegato per confondere la comunità internazionale e condizionare le mosse che questa farà da qui a breve. Fonti etiopi, parlano di una avanza veloce in territori etiopi da parte dei tigrini, ma ancora lontani da Addis Abeba. La novità, e non di poco conto, è che i tigrini non sarebbero soli ma affiancati da mercenari di varie nazionalità. Un fatto gravissimo che, se confermato, getterebbe un’ulteriore sinistra ombra sul piano che il TPLF, il Fronte Popolare di Liberazione del Tigray, sta ordendo con il fine di rovesciare il governo etiope guidato dal Premio Nobel per la Pace, Abiy Ahmed, e riconquistare “manu militari” il potere perduto quattro anni fa. Un colpo di stato vero e proprio che riporterebbe l’orologio della storia indietro, riconsegnando una nazione di cento milioni di abitanti ad una minoranza che per venti anni l’ha già vessata e depredata.

Le notizie che arrivano oggi dalle zone di conflitto riferiscono di un eccidio ordito dalle milizie agli ordini del TPLF nelle zone di Combolcha e Dessie. Qui sarebbero state uccise a sangue freddo circa 130 giovani lavoratori eritrei e sgozzate centinaia di Amhara. Senza contare le migliaia di soldati tigrini mandati allo sbaraglio contro l’esercito etiope. Diverse fonti sul territorio riferiscono inoltre dell’arrivo, al fianco dell’esercito tigrino, di centinaia di mercenari siriani provenienti dalla Libia e di altrettanti nigeriani assoldati, pare, con il supporto egiziano.

A quanto riferiscono le nostre fonti queste milizie stanno avanzando in modo rapido e violento, senza risparmiare i civili, puntando al distretto di Mille, un’area sull’omonimo fiume dall’alto valore strategico. Mille è infatti uno snodo fondamentale per i collegamenti di tutta l’Etiopia con Gibuti e una sua caduta, ci spiegano da Addis Abeba, molto probabilmente costringerebbe Abiy a un negoziato. In uno scenario così complesso e così drammatico per il governo di Addis Abeba, con gli Stati Uniti e l’Europa che pur chiedendo un cessate il fuoco immediato appaiono nei fatti più vicini ai tigrini, l’unico aiuto militare ad Abiy al momento potrebbe arrivare dall’Eritrea. Come gli osservatori internazionali sanno bene, l’esercito etiopico fedele ad Abiy è molto debole visto che nei 20 anni di regime tigrino tutte le forze armate erano sotto lo stretto controllo del TPLF. Vedremo nei prossimi giorni se il Presidente Eritreo, Isaias Afewerki deciderà di mobilitare alcune sue divisioni per soccorre il vicino ed alleato Abiy.

Così, mentre in Etiopia è in atto una guerra civile che punta a balcanizzare la zona e a ridare spazio e potere alle élite tigrine, la comunità internazionale sta alla finestra cercando di stabilire a chi addebitare le colpe dei massacri che con drammatica frequenza si susseguono in un’area purtroppo sempre più ampia.

Le atrocità che avvengono soprattutto per mano tigrina non hanno fin qui avuto lo spazio mediatico dovuto. Ed il perché è noto: il TPLF ha da tempo infiltrato in varie ONG ed Istituzioni internazionali personale che sta a proprio servizio, e spesso a proprio libro paga, con l’obiettivo di disinformare l’opinione pubblica internazionale in modo da creare un contesto contrario e di condanna contro Abiy e il suo governo. Una tecnica consolidata che ha pagato e che ora, di nuovo, sembra dare i suoi frutti. Quel che pochi sembrano ricordare è una semplice verità e cioè che l’Etiopia, dopo 20 anni di tirannia del TPLF, dal 2018 ha un premier eletto e che questo premier in pochissimo tempo ha pacificato tutta l’area, attività per la quale ha anche ricevuto il nobel per la pace, dando a tutto il Corno d’Africa una prospettiva di pace di sviluppo.

Un percorso contro il quale nessuno avrebbe dovuto opporsi. Cosa che invece hanno fatto sin da subito le élite tigrine che, non rassegnandosi all’emarginazione politica, si sono ribellate al governo centrale. Il Tigray, forse giova ricordarlo, è soltanto una piccola regione dell’Etiopia. Ciò nonostante ha sempre giocato per difendere le proprie ambizioni egemoniche a costo di spaccare, brutalizzare e balcanizzare un’intera area. Un gioco sporco, brutale, di puro potere giocato molto anche a colpi di disinformazione che ha trovato il sostegno diretto ed indiretto dei tanti che hanno interesse ad avere un Corno d’Africa diviso, debole e lacerato: Stati Uniti ed Egitto in primis.

In questa nuova brutta pagina della storia delle democrazie africane, questa volta un ruolo potrebbero e dovrebbero averlo proprio tutte le nazioni che compongono il continente giovane. Addis Abeba è infatti la capitale dell’Unione Africana. Come Washington per gli Stati Uniti d’America o Bruxelles per l’Unione Europea. Dinnanzi all’avanzata militare di milizie tigrine sostenute da mercenari, tutti gli stati africani dovrebbero farsi sentire e dimostrare solidarietà al Presidente Abiy inviando magari contingenti militari che ristabiliscano ordine e pace in Etiopia. Se non lo faranno loro, arriveranno altri stranieri che pur di fare i propri affari manderanno al potere l’ennesimo burattino.

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