Etiopia: il Premier Abiy va al fronte e chiama alle armi il paese contro i ribelli del TPLF

di Ennio Bassi

Il primo ministro etiope e premio nobel per la pace Abiy Ahmed è  sceso in campo in prima persona dicendosi pronto ad andare al fronte di guerra per guidare i suoi soldati che combattono i ribelli tigrini, nel conflitto voluto dai vertici del Fronte di liberazione popolare del Tigray (TPLF) che dura da un anno e minaccia la stabilità delll’intero Cordno d’Africa.
“A partire da domani – ha detto Abiy su Twitter – andrò personalmente al fronte per guidare le forze di difesa. Chi vuole essere tra i giovani etiopi che saranno acclamati dalla storia, si alzi oggi per il suo paese. Incontriamoci al fronte”. Un appello accorato e drammatico che di per se fa capire la gravità della situazione.

La chiamata alle armi di Abiy è arrivata mentre il gruppo ribelle  tigrino  continua la sua marcia di avvicinamento verso la capitale Addis Abeba.
Un appello arrivato anche dopo il vertice del comitato esecutivo del Partito della Prosperità al potere riunitosi lunedì scorso per discutere del conflitto, che si trascina da un anno.
Dopo la riunione, il ministro della Difesa Abraham Belay ha detto ai massmedia che le forze di sicurezza avrebbero intrapreso “un’azione diversa”, un’espressione sibillina rimasta senza altre spiegazioni. “Non possiamo continuare così, questo significa che ci sarà un cambiamenti – ha detto Belay – quello che è successo e sta succedendo alla nostra gente, gli abusi compiuti da questo gruppo distruttivo, terrorista e rapinatore, non possono continuare”.
Abiy aveva inviato le truppe nella regione più settentrionale del Tigray in Etiopia per rovesciare il TPLF nel novembre 2020, spiegando che la mossa era dovuta e veniva in risposta agli attacchi del TPLF ai campi dell’esercito.
Aveva anche promesso una rapida vittoria che invece non è arrivata, anzi alla fine di giugno il TPLF si era riorganizzato e aveva ripreso la maggior parte del Tigray, compresa la sua capitale Mekele, spingendo l’esercito federale a ritirarsi in gran parte dalla regione.
Da allora il TPLF si è spinto nelle vicine regioni di Afar e Amhara, provoicando scontri tremendi che hanno visto la sofferenza delle popolazioni locali e allarmato la comunità intertnazionale.
Il  TPLF ha anche formato un’alleanza con altri gruppi di insorti tra cui l’Esercito di Liberazione Oromo (OLA), che è attivo nella regione dell’Oromia che circonda Addis Abeba.
I timori di un’avanzata dei ribelli sulla capitale hanno spinto diversi paesi, tra cui gli Stati Uniti e il Regno Unito, a ritirare il personale diplomatico non essenziale. Questi paesi stanno anche esortando i loro cittadini a lasciare l’Etiopia finché i voli commerciali sono ancora disponibili.
Un atteggiamento quello di alcuni governi occidentali molto criticato da Addis Abeba che lo considera immotivato e deciso solo con fini strumetali volti ad indebolire la colazione e la premiership di Abiy.
L’inviato speciale dell’Unione Africana per il Corno d’Africa ,delegato a gestire questa crisi che ha per protagonista o, se vogliamo, vittima, proprio la capitale dell’UA, Olusegun Obasanjo, è molto più cauto rispetto a Stati Uniti ed Europa e sta mettendo molta energia e tutta la sua autorevolezza per avviare una mediazione che porti ad un cessate il fuoco. Un impegno forte che però al momento non ha portato a soluzioni concrete.

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