Francesco Schiavone detto Sandokan si è pentito, il boss dei Casalesi ha deciso di collaborare

Al momento, il contenuto dei primi resoconti è riservato. Tuttavia, come è consuetudine per i collaboratori di giustizia, durante i primi colloqui solitamente si confessano i delitti di maggior rilievo. Tra le rivelazioni di Schiavone, potrebbero esserci conferme sulla sua ascesa al vertice del clan dei Casalesi e sull’omicidio di Antonio Bardellino, e i legami con la politica casertana e non

Francesco Schiavone, conosciuto come “Sandokan”, leader di uno dei gruppi criminali più spietati nel panorama della criminalità organizzata, quello dei Casalesi, ha deciso di pentirsi e collaborare con la giustizia.

La notizia giunge pochi giorni prima del trentesimo anniversario dell’omicidio di don Peppe Diana. Probabilmente la sua scelta di collaborare con le autorità giudiziarie è avvenuta recentemente, dato che è trapelata l’informazione del suo trasferimento nel carcere dell’Aquila per motivi medici. Sembrerebbe che abbia chiesto un incontro con i magistrati della Direzione Nazionale Antimafia – attualmente guidata dal procuratore Giovanni Melillo – per iniziare i primi colloqui in merito alla collaborazione con la giustizia.

Nato settant’anni fa a Casal di Principe, è detenuto dal 11 luglio 1998, quando è stato trovato in un bunker in un’abitazione nel centro di Casal di Principe, in via Salerno, insieme alla moglie e ai due figli.

Deve scontare diverse condanne all’ergastolo. Al momento è detenuto nel regime del 41 bis da quasi 26 anni. Principalmente accusato nel maxi processo Spartacus di sei omicidi, sta scontando altre condanne definitive all’ergastolo per almeno altri 5 omicidi.

La sua carriera criminale è iniziata in giovane età, prima ancora dei diciotto anni, quando era autista del boss Umberto Ammaturo e successivamente autista e guardia del corpo di Antonio Bardellino. Si ribellò contro di lui insieme ad altri capi dei clan casalesi, prendendo il comando del gruppo criminale dopo la scomparsa del capo. La morte di Bardellino è uno dei misteri che probabilmente la sua collaborazione con le autorità giudiziarie contribuirà a risolvere. Dai suoi racconti potrebbero emergere anche altri casi irrisolti e rivelare complicità e rapporti con il mondo imprenditoriale e politico che ha sostenuto i gruppi criminali di Casal di Principe per anni.

Il suo primo arresto come latitante avvenne in Francia, a Nizza, nel 1989, quando Schiavone era già considerato uno dei capi dei Casalesi insieme a Iovine e Bidognetti. Dopo essere stato rilasciato per decorrenza dei termini in attesa dell’estradizione dal tribunale di Santa Maria Capua Vetere, riprese il controllo del clan dall’estero. Tornato in Italia, dopo un’assoluzione, scontò solo 3 mesi di reclusione nel 1992 prima di scomparire dai radar dopo che suo cugino Carmine Schiavone iniziò a collaborare nel 1993. Fu poi catturato nel 1998 a Casal di Principe, la sua città natale.

Al momento, il contenuto dei primi resoconti è riservato. Tuttavia, come è consuetudine per i collaboratori di giustizia, durante i primi colloqui solitamente si confessano i delitti di maggior rilievo. Tra le rivelazioni di Schiavone, potrebbero esserci conferme sulla sua ascesa al vertice del clan dei Casalesi e sull’omicidio di Antonio Bardellino, avvenuto in Brasile nel 1988, delitto che gli permise di prendere il comando dell’organizzazione camorristica.

Tra i segreti di Sandokan potrebbero emergere anche legami con la politica e con l’imprenditoria di Caserta e provincia.

Libera Campania: “Schiavone parli del traffico di rifiuti”

“Ora speriamo che il signor Schiavone, tramite il suo ravvedimento, contribuisca a svelare i molti misteri che avvolgono il territorio casertano e gli affari intrattenuti storicamente dai Casalesi anche in altre parti d’Italia. Mi riferisco non solo al traffico di droga e alle attività di racket e usura, ma soprattutto al traffico illecito di rifiuti, in cui i Casalesi sono stati protagonisti per anni, inventando di fatto il ruolo dell’ecomafioso. Un fenomeno ancora avvolto dal mistero, con legami con una parte del panorama politico e imprenditoriale italiano. Il signor Schiavone potrebbe aprire un varco non solo su persone, fatti e crimini, ma anche su storie che coinvolgono il nostro Paese e soprattutto la Campania, una regione che ha subito lungamente l’inquinamento”. Queste le parole del rappresentante di Libera Campania, Mariano Di Palma, a LaPresse.

Il suo ravvedimento, sottolinea Di Palma, “non è il primo nella famiglia Schiavone, confermando che il percorso intrapreso dalla magistratura produce risultati. Quando un capo di clan cade e decide di collaborare, si apre uno spiraglio sulle connessioni territoriali e sugli affari del clan, indebolendo ulteriormente la storia criminale che ha influenzato il territorio”.

Di Palma evidenzia anche il ruolo “dell’antimafia sociale, che ha riutilizzato i beni confiscati e ha reso la memoria di don Peppe Diana un faro per illuminare i territori, insieme alla magistratura che ha colpito duramente il sistema piramidale dei Casalesi. Sebbene ci sia una maggiore debolezza dei clan nel Casertano, rimane comunque un sistema di clientele, corruzione e infiltrazioni significative. Pertanto, non bisogna abbassare la guardia, nonostante il progressivo indebolimento dei Casalesi”.

La sorella di don Diana

“Il ravvedimento di Francesco Schiavone arriva un po’ tardi, ma è comunque importante, perché dimostra che anche queste persone hanno una coscienza”. Così, attraverso l’Ansa, Marisa Diana, sorella di don Peppe, il sacerdote ucciso dal clan dei Casalesi il 19 marzo 1994, il cui trentennale è stato commemorato con numerosi eventi e manifestazioni fino alla scorsa settimana, commenta la decisione di Sandokan di collaborare con la giustizia.