Giustizia, Meloni invoca una norma ad hoc che disciplini i reati di criminalità organizzata: “C’è il rischio di lasciare impunite gravi condotte”

La premier ha annunciato l’arrivo di un dl che chiarisca quanto emerso dall’orientamento della Cassazione. Secondo Meloni c’è il rischio di lasciare impunite condotte condotte delittuose

di Emilia Morelli

Dopo la polemica sull’abolizione del concorso esterno in associazione mafiosa, lo scontro tra politica e magistratura accusata di interferenze, anche Giorgia Meloni è intervenuta  in tema di giustizia. La premier ha annunciato l’arrivo di un decreto legge che chiarisca definitivamente cosa si debba intendere per “reati di criminalità organizzata”.

La presidente del Consiglio, di concerto con il Guardasigilli Carlo Nordio, in apertura al Cdm ha invocato una norma chiarificatrice della sentenza della Cassazione dalla quale, a suo avviso, possono sorgere dubbi interpretativi con il rischio di lasciare impunite alcune condotte illecite.

Meloni ha letto in Cdm i passaggi della sentenza che, a suo parere, sono idonei a creare ricadute negative. Nel dettaglio la sentenza della Suprema Corte ha statuito che “possono farsi rientrare nella nozione di delitti di “criminalità organizzata” solo fattispecie criminose associative, comuni e non, con la conseguenza che devono escludersi dal regime per essi previsti i reati di per sé non associativi, come un omicidio, per quanto commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’articolo 416-bis del Codice penale ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dal suddetto articolo”.

Secondo Meloni il fatto che un omicidio commesso con le modalità mafiose o al fine di favorire un’associazione criminale non possa essere equiparato ai delitti di criminalità organizzata presta il fianco a lasciare impunite condotte gravemente delittuose.  “La sentenza ha ad oggetto il regime delle intercettazioni ambientali, ma afferma principi di carattere generale. E principi del genere si prestano a provocare ricadute molto pesanti per il nostro sistema e per la pubblica sicurezza”, ha affermato la presidente del Consiglio.

“Il nostro sistema giudiziario penale prevede una distinzione tra reati di criminalità organizzata e altri reati. Per i reati di criminalità organizzata  è consentito un uso più esteso e incisivo degli strumenti di indagine, considerata la difficoltà di rintracciarne le prove. È inoltre previsto un maggior rigore nella concessione dei benefici penitenziari, considerata la loro pericolosità e pervasività sociale”, ha sottolineato la premier.

Invero, però, la Cassazione sul punto ha una giurisprudenza consolidata che non è possibile ridurre alla sola sentenza citata da Meloni.  Nel verdetto 34895/2022, i giudici di legittimità hanno asserito: “all’esito dell’analisi del complesso e variegato panorama offerto dalla giurisprudenza e dalla dottrina circa la nozione di “criminalità organizzata si ritiene di dover confermare quella precisata con la richiamata decisione delle Sezioni Unite, perché consente di cogliere l’essenza di un delitto di “criminalità organizzata” e nel contempo di ricomprendere tutti í suoi molteplici aspetti, nell’ottica riconducibile alla ratio che ha ispirato gli interventi del legislatore in materia, tesi a contrastare nel modo più efficace quei reati che – per la struttura organizzativa che presuppongono e per le finalità perseguite – costituiscono fenomeni di elevata pericolosità sociale. Principio confermato ancora di recente dalle Sezioni Unite, le quali hanno affermato che per procedimento di criminalità organizzata deve intendersi “quello che ha ad oggetto una qualsiasi fattispecie caratterizzata da una stabile organizzazione programmaticamente orientata alla commissione di più reati”.

Il riferimento è da intendersi verso la sentenza delle Sezioni Unite Scurato nella quale si legge -tenuto conto dei principi della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo- “per reati di criminalità organizzata devono intendersi non solo quelli elencati nell’articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale, ma anche quelli comunque facenti capo a un’associazione per delinquere, ex articolo 416 del Codice penale, correlata alle attività criminose più diverse, con esclusione del mero concorso di persone nel reato”.

Le radici della sentenza che ha fatto storcere il naso alla premier affondano, quindi, in questa sentenza del 2016 delle Sezioni Unite in cui è stata ristretta la nozione di criminalità organizzata ai soli reati associativi, anche non mafiosi, con l’esclusione del concorso di persone nel reato anche se aggravato.

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