Governo verso le dimissioni: al Senato c’è la fiducia, ma Draghi spinto da Conte e Salvini all’uscita

di Emilia Morelli

“Un governo d’alto profilo”, così era stato definito all’atto dell’investitura dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, l’esecutivo guidato da Mario Draghi. Lo ha ricordato il premier in apertura del suo intervento al Senato, un discorso in cui Draghi ha ripercorso i risultati raggiunti, ma in cui ha sottolineato che l’azione di governo si è sempre fondata sull’importante sostegno del Parlamento. “Ritengo che un Presidente del Consiglio che non si è mai presentato davanti agli elettori debba avere in Parlamento il sostegno più ampio possibile. Questo presupposto è ancora più importante in un contesto di emergenza, in cui il Governo deve prendere decisioni che incidono profondamente sulla vita degli italiani. L’amplissimo consenso di cui il Governo ha goduto in Parlamento ha permesso di avere quella “tempestività” nelle decisioni che il Presidente della Repubblica aveva richiesto. A lungo le forze della maggioranza hanno saputo mettere da parte le divisioni e convergere con senso dello Stato e generosità verso interventi rapidi ed efficaci, per il bene di tutti i cittadini”, ha detto Mario Draghi.

Il governo di Mario Draghi ha affrontato la fase più acuta della pandemia, contribuito alla ripresa economica, mostrato come l’Italia possa svolgere un ruolo di primo piano nei contesti internazionali quali l’Ue o il G7, ha redatto il Pnrr conseguito gli ambiziosi obiettivi proposti e “approvato riforme e investimenti senza precedenti nella storia recente”. Il governo guidato da Mario Draghi si è trovato a fronteggiare un’altra emergenza imprevista:la guerra in Ucraina, una guerra alle porte dell’Europa che ha sconvolto gli equilibri del mondo. Nonostante questo, il governo ha retto. Col supporto del Parlamento si sono forniti aiuti in Ucraina e si è notevolmente ridotta la dipendenza dal gas russo. Eppure, qualcosa è andato storto. Gli equilibri su cui si è fondata la maggioranza di unità nazionale si sono sfaldati. “Le riforme del Consiglio Superiore della Magistratura, del catasto, delle concessioni balneari hanno mostrato un progressivo sfarinamento della maggioranza sull’agenda di modernizzazione del Paese. In politica estera, abbiamo assistito a tentativi di indebolire il sostegno del Governo verso l’Ucraina, di fiaccare la nostra opposizione al disegno del Presidente Putin. Le richieste di ulteriore indebitamento si sono fatte più forti proprio quando maggiore era il bisogno di attenzione alla sostenibilità del debito. Il desiderio di andare avanti insieme si è progressivamente esaurito e con esso la capacità di agire con efficacia, con “tempestività”, nell’interesse del Paese”, ha ricordato Mario Draghi che ha continuato, “Come ho detto in Consiglio dei Ministri, il voto di giovedì scorso ha certificato la fine del patto di fiducia che ha tenuto insieme questa maggioranza. Non votare la fiducia a un governo di cui si fa parte è un gesto politico chiaro, che ha un significato evidente. Non è possibile ignorarlo, perché equivarrebbe a ignorare il Parlamento. Non è possibile contenerlo,
perché vorrebbe dire che chiunque può ripeterlo. Non è possibile minimizzarlo, perché viene dopo mesi di strappi ed ultimatum. L’unica strada, se vogliamo ancora restare insieme, è ricostruire da capo questo patto, con coraggio, altruismo, credibilità”.

Il presidente del Consiglio ha, poi, fatto riferimento alla grande mobilitazione, trasversale in tutti gli ambiti del Paese, che ha chiesto a Draghi di continuare a guidare il governo “whatever it takes”. Il premier ha, quindi, elencato i numerosi piani di intervento su cui il governo è pronto ad impegnarsi. Si è rivolto, allora, ai Senatori in Aula e ha affermato: “All’Italia non serve una fiducia di facciata, che svanisca davanti ai provvedimenti scomodi. Serve un nuovo patto di fiducia, sincero e concreto, come quello che ci ha permesso finora di cambiare in meglio il Paese. I partiti e voi parlamentari. Siete pronti a ricostruire questo patto? Siete pronti a confermare quello sforzo che avete compiuto nei primi mesi, e che poi si è affievolito? Siamo qui, in quest’aula, oggi, a questo punto della discussione, perché e solo perché gli italiani lo hanno chiesto. Questa risposta a queste domande non la dovete dare a me, ma la dovete dare a tutti gli italiani”.

Il discorso di Mario Draghi se da alcuni è stato accolto con un applauso da altri, come Matteo Salvini, è stato ascoltato con indifferenza, da altri ancora completamente travisato. Il centrodestra, dopo una girandola di riunioni e incontri tra Palazzo Madama e Villa Grande, ha fatto la sua “controproposta”: un “‘nuovo patto di governo” per un esecutivo “guidato ancora  da Mario Draghi, senza il Movimento 5 Stelle e profondamente rinnovato”. Una formula che evidentemente non poteva essere condivisa dal Premier che ha ribadito, in più occasioni, che non sarebbe stato pensabile un governo senza pentastellati.

Mario Draghi, durante la replica, è apparso ormai scuro in volto. Con tono fermo ha ringraziato quanti hanno sostenuto il governo, ha riletto le parti del suo discorso che erano state fraintese sottolineando l’assoluta assenza di richiesta di “pieni poteri”. Un rapido accenno a due riforme bandiera, tanto acclamate quanto per diversi aspetti fallimentari: il Reddito di Cittadinanza e il Superbonus. Infine, Draghi ha affermato: “Chiedo che venga posta la fiducia sulla proposta di risoluzione presentata dal senatore Casini”. La risoluzione presentata dal Pier Ferdinando Casini recita: “Ascoltate le comunicazioni del Presidente del Consiglio, il Senato le approva”. La richiesta del presidente del Consiglio ha fatto automaticamente decadere la risoluzione depositata dal centrodestra che ha accolto con stupore la scelta e ha fatto sapere che non avrebbe partecipato al voto. La stessa decisione è stata presa dal Movimento 5 stelle, il cui leader, Giuseppe Conte, ha seguito la seduta dagli uffici del gruppo al Senato. “Togliamo il disturbo ma ci saremo sempre quando si tratterà di votare provvedimenti utili”, ha annunciato la capogruppo M5s Mariolina Castellone.

La lunga giornata di Mario Draghi si è conclusa con la fiducia in Senato, una fiducia risicata e una maggioranza disgregata. Il governo ha ottenuto 95 sì e 38 no: i si sono arrivati da  Pd, Leu, Italia viva, Insieme per il futuro e Italia al centro mentre i senatori pentastellati si sono dichiarati “presenti non votanti” per non far mancare il numero legale e quelli di Lega e Forza Italia non hanno partecipato al voto.

A questo punto si prosegue con l’iter già previsto, ovvero il passaggio alla Camera, anche se c’è chi sostiene che Draghi abbia voluto prendersi una notte per riflettere,  appare ai più un gesto puramente formale che lo condurrà, entro la giornata di giovedì 21, al Colle per confermare le sue dimissioni. Il passaggio di  a Montecitorio non è imposto da alcuna norma, si tratta di un atto di cortesia istituzionale di Draghi considerato che non è stato ufficialmente sfiduciato al Senato. Poi si aprirà con tutta probabilità la via delle elezioni anticipate. “Mi pare – ha detto Meloni – si possa andare a votare tra due mesi. Noi siamo pronti, mi pare che anche il centrodestra oggi sia pronto”. Anche il Pd, che ha tentato fino all’ultimo di trovare una soluzione per salvare l’esecutivo, si dice pronto al voto: “Gli italiani – assicura il segretario Enrico Letta – dimostreranno nelle urne di essere più saggi dei loro rappresentanti”.

Salvo sorprese, le dimissioni del premier potrebbero essere rassegnate subito dopo l’apertura della seduta di Montecitorio e nei prossimi giorni il Presidente della Repubblica avvierà l’iter previsto dalla Costituzione: prima consulterà i presidenti delle Camere poi predisporrà il decreto di scioglimento delle Camere. Non prima della prossima settimana comunque. Per sciogliere le Camere infatti bisognerà tener conto del calendario: le elezioni si indicono con decreto del governo entro 70 giorni dopo lo scioglimento del Parlamento ma il 25 settembre, una delle date ipotizzate dai partiti per il voto anticipato, ricorre una festività ebraica quindi la data più probabile sarebbe domenica 2 ottobre.

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