Il museo delle arti Carrara inaugura un nuovo percorso museale. Ce ne parla la direttrice Laura Barreca

di Carla Macrì

Il sodalizio tra il museo delle arti Carrara e la città di Carrara esplica il proprio potenziale nella nuova programmazione culturale del mudaC che affonda le radici in una concezione museale aperta e comunitaria. Come afferma la direttrice del museo Laura Barreca: «Il concetto di inclusività significa rinnovare il patto di collaborazione con il territorio affinché il museo non rimanga sganciato dal luogo in cui si trova». E il mudaC in questo senso intende promuovere una visione volta a rendere il museo un bene appartenente alla comunità, un luogo preposto alla creazione di relazioni, dove i progetti si sviluppano insieme agli abitanti appartenenti a pubblici diversi, non semplicemente agli studiosi o agli artisti.

Quali esigenze vi hanno spinto a riallestire la collezione permanente e a lanciare un nuovo programma culturale?
«L’ex centro arti classiche era un’istituzione culturale del comune di Carrara, noi abbiamo pensato che questo spazio avesse bisogno dopo tanti anni di essere riallestito e ricostituito in molte delle sue parti a partire proprio dal nome del museo. Si chiama “museo” perché possiede una collezione permanente, “delle arti” perché le arti contemporanee sono plurali. Quindi è stato importante restituire un identificazione corretta all’istituzione in modo che il nome stesso rappresentasse un nuovo punto di partenza. L’idea è stata quella di ricostituire il rapporto spazio-opera-pubblico, rivalorizzando il dialogo con l’architettura storica del convento di San Francesco abitato dal museo. Ad esempio abbiamo dato maggiore visibilità all’opera “Senza nome” di Jannis kounellis che si trova nel chiostro del convento.  Dal 2019, da quando sono alla direzione scientifica del museo, come prima cosa ho valutato insieme all’assessorato alla cultura del comune di Carrara la possibilità di ridare un ordine museografico all’interno della collezione. Il mudaC ospita diverse collezioni, una riguarda il periodo dal ’57 al ’73 e dal 2006 al 2010, poi presenta una collezione di arte contemporanea le cui opere provengono da donazioni o da residenze e infine accoglie la collezione delle lastre di marmo realizzate tra il 2004 e il 2005 da artisti di fama internazionale che con tecniche diverse hanno lavorato il marmo. L’intero nucleo collezionistico è stato riallestito in modo coerente al primo piano del museo, poiché il mudaC è composto dal piano terra e dal primo piano. Il precedente allestimento aveva occupato tutti gli spazi, risultava difficile il tipo di fruizione. Il riallestimento intende garantire una maggiore fruibilità in modo più coerente e razionale, quindi con lo studio STARTT di Roma, con il comune di Carrara e con l’azienda Gemeg, importante azienda del territorio, abbiamo riallestito il tutto. Al pian terreno lo spazio è stato reso disponibile per le mostre temporanee e al primo piano ci sono i nuclei collezionistici. Inoltre abbiamo recuperato importati bozzetti di opere conservate nei depositi come quelli realizzati da David Tremlett, Carol Rama, Aldo Mondino, Mario Ceroli. Tutte opere che segnano la creatività degli artisti che hanno attraversato la città di Carrara e la sua produzione. Ciò a dimostrazione del fatto che il museo possiede una storia e anche delle opere importanti che documento le tecniche e i linguaggi contemporanei dalla seconda metà del ventesimo secolo fino ad oggi».

Quindi il mudaC rappresenta un punto di contatto tra la storia dell’arte di Carrara e l’arte contemporanea, che tipo di dialogo intercorre tra queste due realtà?
«Carrara è sempre stata una città d’arte, da quando Michelangelo prelevava il marmo dalle cave con cui ha realizzato le più importanti opere, ci sono stati Canova e Thorvaldsen, artisti che hanno segnato la vita della città. Molte di queste opere attualmente si trovano nella pubblica collezione dell’Accademia di Belle Arti di Carrara, si tratta di una relazione millenaria in continuo divenire perché oggi negli atelier ci sono artisti di livello internazionale che continuano a produrre le proprie opere utilizzando la sapienza artigiana di chi opera nel campo della produzione artistica. C’è forte sperimentazione tecnologica ma anche una sorta di salvaguardia dei saperi artigianali, degli scalpellini senza i quali questa sperimentazione non potrebbe avvenire».

Quest’evoluzione riguarda anche l’utilizzo del marmo in rapporto ai diversi linguaggi del contemporaneo?
«Certo, il rapporto con il marmo si rinnova continuamente perché è una materia viva che sollecita la creatività degli artisti contemporanei in cerca delle potenzialità che offre. Ci sono artisti che lo lavorano utilizzando video e film come Yuri Ancanari che ha realizzato il film “il capo” presente nella nostra collezione, in cui indaga il processo legato alle attività di utilizzo del marmo. Fabio Viale per esempio ha realizzato una barca interamente di marmo capace di galleggiare, evidenziando l’importanza della sperimentazione di tipo fisico, poiché ha dimostrato qualcosa che potrebbe sembrare impossibile ossia far galleggiare il marmo. Il suo scafo è stato realizzato anche con macchine a controllo numerico, ciò evidenza sperimentazioni importanti per artisti che utilizzano sia strumenti tradizionali che nuova tecnologia. Grazia Toderi ha assottigliato la superficie della lastra fino a renderla quasi evanescente e sul retro ha applicato un neon sfruttando la trasparenza offerta dal marmo».

Il riallestimento è stato accompagnato da una nuova visione museale volta a rendere il mudaC un’istituzione formativa e inclusiva.
«Si, il mudaC è un museo di comunità fondato sui principi ispiratori della “Carta di Carrara”. Nel 2021 mi sono occupata del coordinamento nazionale delle città creative Unesco con cui abbiamo scritto una carta condivisa fra le 11 città creative italiane volta allo sviluppo sostenibile e alla rigenerazione del territorio attraverso arte e artigianato, quindi questi elementi rappresentano i due modelli di sviluppo sostenibili. In quanto museo siamo l’organo strumentale e possiamo incidere sui modi in cui si può realizzare un’istituzione culturale sostenibile che guarda al benessere della comunità alimentando una visione meno invasiva, che non sfrutta il territorio ma lo valorizza. Perciò daremo vita alla Project Room dal titolo “Hands at work” mani a lavoro che servirà a valorizzare le eccellenze e il Genius Loci nonché la folta comunità di artigiani che vivono e lavorano a Carrara e rappresentano il patrimonio immateriale e materiale. Il museo deve poter essere anche questo, non contenitore ma dispositivo di relazione con la comunità. La nuova programmazione culturale parte da questa base».

(Associated Medias)- Tutti i diritti sono riservati