I moniti continui del Capo dello Stato sulla difesa dell’art. 21 ci ricordano che oggi è imprescindibile tenere presente che la maggior parte dei cittadini forma le proprie opinioni attraverso quello che legge su internet
di Guido Talarico
Come è messa l’Italia sul fronte dell’informazione? Non molto bene. I segnali in questa direzione sono molteplici e crescenti. Non ultimo l’ennesimo monito lanciato dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella dopo il pestaggio del cronista de La Stampa a Torino, avvenuto per mano di alcuni attivisti di Casa Pound. Il Capo dello Stato, partendo dall’Art. 21 della Costituzione (“Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”), è tornato sull’argomento ricordando che l’informazione è “documentazione dell’esistente, senza obbligo di sconti. Luce su fatti sin lì trascurati”.
Torino è certamente un brutto episodio ma appartiene a quelli di tipo evidente. Se malmeni un cronista mentre fa il suo lavoro è certo che l’aggressione diventa un caso condannato da tutti. Vi è però una cattiva informazione, spesso pessima, che dilaga quotidianamente ma di cui si ha meno contezza. E’ quella che imperversa sul web. Un’informazione raramente verificata, apparentemente poco visibile, furbamente sofisticata e attrattiva, troppo spesso dannosissima. E soprattutto dominante.
Ecco qualche numero che aiuta a comprendere la magnitudo del problema. In Italia abbiamo più di 43 milioni di persone regolarmente attive sui social network. Vale a dire il 71,6% della popolazione totale italiana e l’80,2% della popolazione di età pari o superiore ai 13 anni. Per contro sul fronte della stampa tradizionale abbiamo numeri risibili ed in continuo calo. I dati dell’Osservatorio sulle comunicazioni relativi all’intero 2023 dell’Agcom ci dicono che rispetto al 2022 scendono del 10% (a 1,2 milioni) le copie cartacee vendute giornalmente, mentre restano stabili gli acquisti dei formati digitali (in media circa 210 mila copie al giorno).
Sui social – e solo su questi, quindi escludendo quell’immenso universo fatto di blog e piccoli siti di informazione – ci sono 43 milioni di utenti, sui giornali 1.2. Parlare attraverso giornali è dunque ormai diventato un modo elitario di fare comunicazione. Si parla ad una bolla di “pari” trascurando che là fuori c’è un mondo che va ad informarsi altrove. Per fare esempi novecenteschi potremmo dire che i giornali (compresi i Tg) sono come i vecchi circoli sociali, mentre il web è la piazza. E in democrazia, si sa, è la piazza che vince.
E allora i continui moniti di Mattarella “sull’adulterazione della realtà”, sulla difesa della libertà di stampa e d’informazione vanno visti allungando lo sguardo sul web. La storia indica questa direzione, anche se non tutti sembrano essersene ancora accorti. Il futuro della democrazia e del Paese si assicura garantendo che l’opinione dei nostri concittadini si formi su un’informazione indipendente, qualitativa e verificata e non che sia esposta alle subdole campagne di opinione che i populisti di turno, un qualsiasi gruppo industriale o anche una forza straniera possano ordire ai danni del nostro interesse nazionale nel silenzio totale.
Perché anche questo va detto: il web non è solo vasto e aperto a tutti, ma è anche scarsamente controllabile. Con pochi fondi si possono realizzare campagne che producono audience strabilianti e lo si può fare anche senza lasciare tracce evidenti. Solo monitoraggi professionali sono in grado di produrre analisi di una certa precisione, il resto passa tutto sotto traccia. Le capacità di un costituzionalista e di uno statista come Mattarella indicano un tema e una strada. Ora tocca a quella che un tempo si chiamava classe dirigente (se ancora esiste) e alla società civile dare seguito.
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