Intervista a Massimo Bray: L’arte contemporanea raccontata dalla Treccani

di Carla Macrì

Massimo Bray, direttore editoriale dell’istituto della Enciclopedia italiana fondata da Giovanni Treccani, racconta ad Inside Art la direzione intrapresa dall’Istituto per promuovere e diffondere la conoscenza dell’arte contemporanea. Sfida volta da una parte a rendere fruibile per tutti lo studio di una materia assente dai programmi scolastici e studiata attraverso un approccio tendenzialmente eurocentrico nelle università italiane, dall’altra a edificare un ponte di dialogo tra gli artisti contemporanei e le istituzioni pubbliche. Fondato nel 1925 da quasi cento anni la Treccani sperimenta nuove strategie per sviluppare un sapere strutturato e certificato, da qualche anno ha ampliato i suoi strumenti organizzativi per garantire spazio all’arte contemporanea e ai suoi attuali protagonisti.

 

Enciclopedia Treccani

 

L’Istituto Treccani promuove tramite la sezione Treccani Arte l’arte contemporanea e il design proponendosi come centro di ricerca e sperimentazione. Quali sono i punti di forza e di criticità di questo progetto?

 Treccani Arte nasce come un nuovo ramo dell’Istituto, ma in realtà si tratta, come recita la sua tag line, di un «nuovo universo enciclopedico» nel senso che per la prima volta la missione enciclopedica dell’Istituto non si esprime solo nel classico intento descrittivo, di ricerca e di organizzazione della conoscenza nel campo dell’arte contemporanea, ma si integra con una concreta attività di promozione e sostegno delle eccellenze italiane in campo artistico, attraverso la produzione di mostre, multipli d’artista e pubblicazioni dedicate all’arte contemporanea italiana e internazionale.

Alfabeto Treccani, una collana di opere inedite a tiratura limitata, propone una ricognizione dell’arte italiana contemporanea a partire dalle ventuno lettere dell’alfabeto, ciascuna delle quali è rappresentata da artisti il cui nome comincia con la stessa. Le criticità che si rilevano quando ci si muove nell’ambito dell’arte contemporanea sono generalmente riconducibili a una certa chiusura del mercato ai non addetti ai lavori e a una carente preparazione del pubblico, che spesso manca degli strumenti per comprenderla ed apprezzarla. Spesso i programmi scolastici di educazione artistica si fermano al secolo scorso, e questo accade a volte anche nel mondo accademico, a meno che non si tratti di percorsi molto specifici di alta formazione; andrebbe invece incrementata la presenza dell’arte contemporanea a tutti i livelli di apprendimento.

 

Quali sono le iniziative organizzate dall’Istituto Treccani per promuovere l’arte contemporanea italiana?

 In primo luogo bisogna liberare l’opinione pubblica dal pregiudizio che l’arte contemporanea sia un interesse riservato esclusivamente agli intellettuali, ai critici di professione e ai ricchi collezionisti. Oggi più che mai, chiunque può interessarsi di arte contemporanea e imparare, anche grazie alle potenzialità messe a disposizione dalle nuove tecnologie, a conoscerla e ad apprezzarla nei musei, negli spazi pubblici o appunto attraverso esperimenti come le edizioni d’artista, che permettono di avvicinarsi al mercato dell’arte contemporanea anche con investimenti di moderata entità.

Tra le molte iniziative organizzate dall’Istituto in anni recenti, va senza dubbio citata Arte contemporanea, diretta da Vincenzo Trione e Valeria Della Valle e presentata al MAXXI lo scorso gennaio: è la prima enciclopedia dedicata all’arte contemporanea a livello internazionale e, in quattro volumi, con oltre 3.600 lemmi e più di quattrocento autori coinvolti, offre una raccolta ragionata del panorama artistico del XX e XXI secolo, proponendo una catalogazione non solo degli artisti, ma anche dei critici d’arte, dei contesti e dei luoghi in cui si crea e si promuove l’arte oggi.

La sfida, in questo caso, era «definire ciò che per sua natura è difficilmente definibile senza alterarne l’identità», e credo che questo grande progetto l’abbia vinta.

Vorrei anche citare brevemente un altro progetto firmato Treccani Arte che è Utopia, una raccolta di poster d’artista che ambisce a illustrare, per l’appunto utopicamente, gli oltre centocinquantamila lemmi del Vocabolario Treccani. Abbiamo invitato otto artisti (Elisabetta Benassi, Ettore Favini, Claire Fontaine, Piero Golia, Emilio Isgrò, Marcello Maloberti, Rä di Martino e Alessandro Piangiamore) a scegliere una parola che rispecchi il proprio lavoro e il proprio pensiero, e ad associare ad essa un’immagine rielaborata o appropriata, realizzata ad hoc o selezionata dal proprio corpus di opere. L’intento è quello di costruire progressivamente un mosaico del panorama artistico contemporaneo e allo stesso tempo celebrare la ricchezza della nostra lingua.

 

Marcello Maloberti, Àmen

Come mai la scena contemporanea italiana ha avuto grande successo soprattutto durante il periodo dell’arte povera, mentre oggi ha perso la sua influenza?

 È innegabile che, nel secondo Novecento, l’arte contemporanea italiana ha vissuto un’epoca d’oro grazie alla presenza di collettivi artistici forti e produttivi – penso ad esempio alla Scuola di Piazza del Popolo a Roma – a loro volta sostenuti da un ecosistema critico di rilievo e da un panorama intellettuale attento e consapevole. Il movimento politico-culturale del Sessantotto, in particolare, ha dato grande forza al panorama artistico di quegli anni.

Certamente lo stemperarsi delle ideologie, la polverizzazione mediatica dovuta alla crisi dei mass-media e anche l’attraversamento di una fase di “disimpegno” della comunità artistica e intellettuale hanno contribuito a cambiare i modi e i tempi di comunicazione dell’arte contemporanea italiana, soprattutto per quanto riguarda la sfera internazionale.

Gli spazi per il ricambio generazionale sono stati resi sempre più esigui dall’investimento sui nomi ormai affermati e le istituzioni stesse hanno creduto meno nelle nuove generazioni di artisti. Ma è una tendenza di cui negli ultimi anni si è già osservata un’inversione, che adesso deve essere mantenuta e anzi rafforzata.

Per i giovani artisti è essenziale l’esperienza di studio e lavoro all’estero, per consolidare una rete di rapporti con curatori, gallerie e musei; in questo senso è essenziale anche il sostegno delle istituzioni, per accrescere le interazioni tra i musei italiani e internazionali, anche attraverso l’attività essenziale svolta dagli Istituti Italiani di cultura all’estero.

Concordo infine con il ministro Franceschini quando sottolinea la necessità di fare rete, con l’obiettivo di garantire risorse e prospettive di lungo periodo, perché il consolidamento delle carriere è oggi più lento e occorre, soprattutto dopo le gravi difficoltà causate a questo settore dalla pandemia, sostenerlo in modo convinto e cooperando quanto più possibile tra istituzioni pubbliche e private, creando nuove sinergie ed espandendole anche al di fuori delle tradizionali direttrici per guardare oltre l’Occidente, alle economie emergenti e ai paesi in via di sviluppo.

 

Le facoltà di Storia dell’arte degli Atenei italiani spesso presentano un programma focalizzato sull’arte contemporanea europea e americana, con difficoltà si aprono ad altri punti di vista. Cecilia Alemani tra i temi che animano la 59. Esposizione di Arte a Venezia, ha scelto di riflettere anche sul post-colonialismo, permettendo di visitare opere di artisti africani e orientali e di conoscere l’arte contemporanea di paesi poco trattati dalle accademie italiane. Come si muove l’Istituto Treccani su questo tema?

 Dobbiamo certamente uscire dall’ottica eurocentrica che troppo spesso caratterizza, nel nostro continente, la riflessione sull’arte contemporanea, e che apre solo al Nord America e ancor più raramente si affaccia alla scena africana, sudamericana e dell’estremo Oriente, lasciando da parte soprattutto i paesi emergenti e quelli che escono dall’epoca coloniale. Oggi, in realtà, il panorama sta lentamente cambiando e si moltiplicano i segnali positivi, come appunto si evince dalle scelte della Biennale. Treccani Arte naturalmente pone un impegno cruciale nel decolonizzare l’immaginario dell’arte contemporanea, e lo fa in diversi modi. Tornando ad esempio all’enciclopedia Arte Contemporanea, possiamo notare come, non a caso, in ogni volume è pubblicata un’opera d’arte inedita ispirata all’idea di enciclopedia. Queste opere sono state realizzate da alcune delle maggiori figure dell’arte contemporanea di rilievo mondiale, che sono state appositamente chiamate a rappresentare, ognuna, uno specifico continente: Anish Kapoor l’Asia, William Kentridge l’Africa, Anselm Kiefer l’Europa e Joseph Kosuth l’America. A queste opere si aggiunge nel primo volume un portfolio di Shirin Neshat, artista che da sempre si muove tra mondi e linguaggi diversi. Anche in questo modo si può dare un respiro veramente attuale e sovranazionale a una pubblicazione di intento enciclopedico.

 

Il ministro della cultura Dario Franceschini ha dichiarato che negli ultimi sette anni è mancato un investimento accurato sulla creatività contemporanea. Qual è il modo migliore per indirizzare i sussidi del Pnrr verso investimenti che possano sostenere e rilanciare l’arte contemporanea italiana?

 Dicevamo prima dell’importanza di educare il pubblico a vedere l’arte contemporanea: questo è solo uno dei motivi per cui essa dovrebbe diventare parte integrante del paesaggio, e non solo di quello urbano. L’arte contemporanea infatti, attraverso le sue molteplici tecniche e declinazioni, può rigenerare il paesaggio stesso, può creare appartenenza e attrattività turistica. Pensiamo ai quartieri e ai borghi rivitalizzati attraverso la street art o ai festival che fanno interagire arte, artigianato e produzioni locali. Investimenti che possano rilanciare e sostenere l’arte contemporanea in Italia dovrebbero certamente passare da queste esperienze e arricchirle, renderle sempre più stabili e durature: grazie ai fondi del Pnrr, lo Stato e gli enti locali possono trasformarsi, loro per primi, in attrattori e promotori di arte pubblica, creando eventi appositi, ripensando musei già esistenti e dando linfa a nuovi spazi espositivi, e integrando nel tessuto urbano, dove sono in programma interventi di riqualificazione, anche interventi di arte contemporanea: non come semplice vezzo, ma con il preciso intento di accrescere il patrimonio collettivo ed educare i cittadini alla bellezza e al rispetto dei beni comuni.

 

Riguardo il conflitto Russo – Ucraino cosa pensa delle decisioni volte a isolare la cultura russa assunte da molte realtà culturali italiane ed europee?

 La cultura è il settore che tra i primi si è sentito chiamato in causa nel prendere posizioni, in Italia si è assistito a momenti profondamente simbolici: al San Carlo di Napoli, ad esempio, il commovente abbraccio di pace tra il soprano ucraino Liudmyla Monastyrska e il mezzosoprano russo Ekaterina Gubanova al termine di Aida, ci ha ricordato come l’arte e la cultura siano superiori ai confini, siano un linguaggio universale e di pace. Purtroppo, a tali gesti volti a rinnovare il dialogo e a costruire ponti, sempre più si stanno accompagnando anche reazioni che rischiano di far dimenticare l’inestimabile retaggio di arte e letteratura della Russia: alcune censure sono accadute anche in Italia, dove eppure abbiamo sempre tenuto fede alla ‘neutralità’ della cultura come principale veicolo di pace. Tuttavia in molti paiono essersene dimenticati. Così, mentre assistiamo sgomenti alla distruzione del patrimonio artistico e culturale ucraino, vediamo anche messi in discussione gli storici, radicatissimi rapporti tra la cultura europea e quella russa, con la diretta conseguenza che la nostra stessa identità comune, se proseguiamo per questa china, non farà che impoverirsi. La cultura non può essere isolata, è un linguaggio che per sua natura aspira a essere universale: dobbiamo tenere fermo questo principio, perché essa possa aiutarci a risolvere questa crisi e a riaprire i canali del dialogo e della diplomazia.

Rä di Martino, Filtro

 

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