“La commedia umana”, un capolavoro di Ai Weiwei che ci riporta agli orrori della guerra

di Guido Talarico

La teoria della preveggenza degli artisti, quelli bravi, che vado ripetendo ad ogni pié sospinto, ha trovato nuova conferma nel lavoro di Ai Weiwei presentato a Roma alle Terme di Diocleziano.  L’opera, che si intitola La Commedia Umana, è un vero capolavoro, uno dei quelli in cui ci si imbatte una volta ogni tanto e che appunta anticipa e pone alla nostra attenzione un tema di drammatica attualità qual è la fragilità dell’esistenza umana. E’ un lavoro straordinariamente d’impatto per come è concepito, per come è allestito, per il materiale (è di vetro!) di cui è fatto, per il posto dove è esposto. Ma è un vero capolavoro perché è un drammatico e sontuoso inno alla debolezza umana, alla morte che ci circonda, al nostro cieco stare su questa terra distruggendola giorno dopo giorno.

Ed è poi, per l’appunto, un capolavoro che arriva sulla scena con un tempismo che solo i grandi geni posseggono, quella capacità anticipatoria che ha portato il maestro cinese a concepire ed avviare questo lavoro tre anni fa ma a presentarlo al mondo proprio mentre una guerra micidiale sta devastando l’Ucraina e l’animo dell’Europa.

Non poteva esserci lavoro migliore per ricordarci l’orrore della guerra che questa “Commedia umana” di Ai Weiwei. Quei corpi straziati, quei teschi neri, le ossa scarne, e qui e là qualche telecamera, qualche uccellino, qualche oggetto comune, sono un simbolo allegorico, potente che tocca le coscienze più di mille discorsi. Questo mondo nero fatto di frangibilissimo vetro di Burano che come un tetro mappamondo si erge sospeso nello spazio immobile di un sito antico come le Terne di Diocleziano sono una composizione estrema, bella e brutale allo stesso tempo.

Frutto, come dicevamo, di tre anni di lavoro, questa opera del maestro cinese è un monumento contorto, storpiato, doloroso e minaccioso al tempo stesso, ma è anche un lavoro che proprio attraverso il vetro richiama la leggerezza di corpi liberati dalla pelle, scarnificati, con le viscere esposte. E’ brutale, come brutale è l’obbrobrio che ogni giorno i media di tutti i generi ci rimandano dalla martoriata Ucraina, ma la sua leggerezza, la sua carica sorprendente, la sua bellezza complessiva alla fine ci rimandano alla vita. E’ uno spettacolare tunnel degli orrori che però contiene una luce, che indica una speranza.

Composta da oltre duemila pezzi di vetro nero soffiato a mano e fuso dai maestri vetrai di Berengo Studio di Murano, un’eccellenza assoluta mondiale per questo genere di produzioni, l’opera sembra alla fine un enorme lampadario dalle dimensioni colossali (oltre 6 metri di larghezza per circa 9 di altezza) che con le sue quattro tonnellate di peso cala sugli spettatori dal soffitto di una delle sale più belle e più antiche di queste terme spettacolari.

L’opera che, come ha spiegato lo stesso artista, è un manifesto che “tenta di parlare della morte per celebrare la vita” è del tutto coerente con la storia personale del suo autore. Ai Weiwei è infatti un attivista politico la cui opposizione al regime cinese nel 2011 gli costa una lunga detenzione in carcere, giustificata da una improbabile accusa di evasione fiscale. Non poteva che essere lui a farci vedere attraverso la leggerezza dei vetri di Burano le bassezze e le miserie umane.

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