La Mongolia nella morsa di Russia e Cina

Lo stop dell’Ue all’import del gas dalla Federazione impone a Mosca un cambio di strategia con l’accelerazione dei progetti di pipeline verso l’Asia come Power of Siberia 2

di Matteo Meloni

I rapporti tra realtà geopolitiche ruotano sempre più attorno al gas, specie all’indomani della nuova cortina di ferro che si è abbattuta in Europa con l’invasione della Russia in Ucraina. Mosca si è dimostrata capace di dirottare i flussi dalla Federazione verso le nazioni interessate al suo gas, come la Cina, che tramite la pipeline Power of Siberia 1 riceve già importanti quantitativi dal 2019. A guardare la mappa geografica risulta strategica la posizione di una nazione apparentemente taciturna, ma che può rappresentare un fondamentale tassello nell’architettura energetica russa e nelle sue politiche verso la Repubblica popolare.

Parliamo della Mongolia, nazione che negli ultimi anni ha acquisito valore anche negli ambienti Ue con l’apertura, nel 2017, dell’Ambasciata dei Paesi membri nella capitale Ulan Bator. È proprio il planisfero a evidenziare come la nazione sia letteralmente nella morsa di Russia e Cina, dovendo mettersi nei panni di una realtà che necessariamente deve dialogare col gigante asiatico e con la nuova, riottosa Federazione guidata da Vladimir Putin. L’idea di una pipeline trans mongola capace di trasportare gas è stata ripresa nel 2018 nel corso dell’Eastern Economic Forum, trovando compimento con lo studio di fattibilità avviato nel 2019 da Gazprom e Erdenes Mongol.

A marzo 2022 si è giunti all’avvio della fase di progettazione del Soyuz-Vostok, continuazione del Power of Siberia 2. Con una capacità pari a quella del Nord Stream 2, attualmente sospeso, Power of Siberia 2 dovrebbe trasportare 50 miliardi di metri cubi annui, portando in Cina la produzione estratta nella Penisola Jamal, originariamente destinata ai mercati europei. Lo farà attraversando la Mongolia, che diventerebbe così decisiva nel progetto di unificazione delle reti gasifere russe, accontentando al contempo le autorità cinesi.

Il Primo Ministro mongolo Oyun-Erdene Luvsannamsrai ha recentemente dichiarato al Financial Times che il suo Paese attende l’avvio della costruzione del Power of Siberia 2 entro due anni. Il progetto diventa di fondamentale importanza per Mosca, che così andrebbe a recuperare quanto rimarrà invenduto in Europa. “Lo studio di fattibilità è terminato, crediamo che la costruzione inizierà nel 2024”, ha dichiarato Luvsannamsrai. Il Primo Ministro ha inoltre commentato la particolare posizione della Mongolia, sostenendo che nonostante sia in mezzo a due superpotenze è stata capace di lavorare con entrambe le nazioni. Luvsannamsrai ha aggiunto di non aver ricevuto pressioni da Mosca per accelerare la deliberazione alla costruzione della pipeline.

Ulan Bator è stata pesantemente colpita dalla crisi economica causata dalla pandemia: le tasse per il passaggio del gasdotto aiuterebbero a rimpinguare le casse mongole. Ma non è tutto oro ciò che luccica: l’interconnessione con Mosca e Pechino risulterebbe in maggiore dipendenza dalla Russia e dalla Cina. Il rischio è che la Mongolia si esponga ricevendo dalla Federazione un prestito per la realizzazione dei lavori, da ripagare proprio con le stesse tasse di passaggio. Allo stesso tempo, Ulan Bator potrebbe ricevere nuove pressioni dal Partito comunista per la presenza della comunità buddhista tibetana. Un passaggio delicato per la nazione asiatica, vicina politicamente a Stati Uniti e Unione Europea, ma obbligata al dialogo con due vicini ingombranti, in uno dei tanti momenti storici decisivi per la regione asiatica.

Testo e foto pubblicati per gentile concessione di Eastwest, magazine di geopolitica diretto da Giuseppe Scognamiglio www.eastwest.eu