Pubblichiamo in italiano e inglese l’analisi di Nidal Shoukeir , professore di Comunicazioni strategiche e Relazioni governative a Parigi sul profondo cambiamento in atto nei rapporti tra Washington e i suoi antichi alleati nel Golfo dopo l’inizio della guerra tra Israele e Gaza
di Nidal Shoukeir
I recenti scontri nel Mar Rosso tra i ribelli Houthi, sostenuti dall’Iran, e gli Stati Uniti hanno legittimamente generato preoccupazioni sulle politiche di Washington nella regione, sollevando numerosi interrogativi sull’influenza americana, in particolare perché alcuni sostengono che le manovre delle “milizie Houthi” hanno sbilanciato gli Stati Uniti, un attore significativo, in quest’area strategicamente vitale e sensibile a livello globale.
Prima di questi eventi, abbondavano discussioni tranquille sulle politiche statunitensi nella regione. Particolarmente degno di nota è stato il chiaro orientamento dell’amministrazione del presidente Joe Biden nei confronti della Repubblica islamica dell’Iran e del gruppo Houthi affiliato, a scapito dei partner del Golfo, in particolare del Regno dell’Arabia Saudita e degli Emirati Arabi Uniti.
Nessuno negli Stati del Golfo dimentica che una delle prime decisioni dell’amministrazione Biden è stata quella di rimuovere le “milizie Houthi” dalla lista dei terroristi americani, in un momento in cui i loro droni e missili balistici prendevano di mira le città saudite e degli Emirati. Riyadh e Abu Dhabi ricordano anche come il presidente Biden abbia annullato e rinviato gli accordi sugli armamenti firmati con loro mesi prima dall’amministrazione repubblicana del presidente Donald Trump, e come l’amministrazione democratica abbia rifiutato di sostenerli nella guerra nello Yemen. Ma, cosa ancora più importante, nel Golfo è ancora viva la memoria della corsa dell’amministrazione Biden verso Teheran e dei suoi tentativi di rilanciare il dossier nucleare ad ogni costo, senza consultarli o nemmeno considerare le loro preoccupazioni sulla sicurezza, che Washington avrebbe dovuto salvaguardare.
Quello che sta acccadendo nel Mar Rosso, il coinvolgimento diretto degli Stati Uniti e la necessità di prendere di mira gli Houthi hanno senza dubbio portato in primo piano la questione, rompendo il silenzio di lunga data che la circonda.
La confusione americana nella gestione del dossier sulla navigazione marittima nel Mar Rosso è apparsa con evidenza negli ultimi giorni. Il contesto dei recenti eventi ha mostrato che Washington, “la superpotenza”, non è in grado di influenzare Teheran o le “milizie Houthi” ad essa affiliate, alle quali, secondo alcuni, l’amministrazione Biden avrebbe anzi dato la “legittimità” di cui avevano disperatamente bisogno. Inoltre, l’attuale amministrazione democratica sembra incapace di garantire sostegno politico e militare alla coalizione internazionale che guida sotto il nome di “Prosperity Guardian”, tra le esitazioni internazionali e regionali e il rifiuto di qualsiasi importante stato del Golfo di aderirvi.
Chiaramente, la scena odierna nella regione è molto diversa da quella dell’autunno del 2020, quando Joe Biden fu eletto presidente degli Stati Uniti. Le politiche del presidente democratico, in particolare la strategia di ritiro della sicurezza dalla regione, hanno spinto gli Stati del Golfo verso nuovi accordi un po’ distanti da Washington.
Il problema principale oggi è che questa amministrazione democratica, che ha perso gran parte della sua credibilità nel Golfo, appare contraddittoria e disconnessa dalla nuova realtà. Oggi tenta, in uno scenario drammatico, di convincere gli Stati del Golfo, che hanno scelto di muoversi nella direzione opposta sia in termini di contrasto agli Houthi che alla minaccia iraniana nella regione, a compiere passi, che essi stessi avevano fino a poco tempo fa invano indicato, scontrandosi con Washington.
Chi guarda oggi con attenzione vede chiaramente che la regione sta vivendo una realtà nuova e diversa, ricca di rapidi cambiamenti e trasformazioni, all’insegna di realismo, indipendenza, fiducia in se stessi e allontanamento dal traino di Washington e dai suoi allineamenti regionali e internazionali. Lo scenario attuale si basa principalmente sull’eliminazione dei problemi, sulla costruzione di ponti e sulla diversificazione delle partnership con molti paesi, compresi quelli in competizione con Washington come Russia e Cina, in particolare quest’ultima, che negli ultimi anni è penetrata in modo significativo e strategico nella regione.
Ma soprattutto, in questa nuova realtà, la presenza americana nella regione del Golfo non appare al meglio. La divergenza di posizioni tra l’amministrazione Biden e gli Stati del Golfo, in particolare Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, ha raggiunto una fase complessa che non può più essere nascosta. Si può dire che il dossier sulla navigazione nel Mar Rosso è solo un piccolo aspetto della montagna di controversie tra le due parti, il cui culmine comincia ad emergere.
La disparità tra le capitali del Golfo e Washington è ampia e profonda e sta arrivando ad uno stadio di interessi contrastanti. Ciò è apparso evidente attraverso posizioni contraddittorie su diverse questioni regionali e internazionali fondamentali come la guerra a Gaza, la guerra in Ucraina, i partenariati con la Cina, l’orientamento verso l’“Organizzazione di Shanghai” e l’”alleanza BRICS”, le politiche petrolifere e persino il rapporto con Teheran.
Pertanto, la domanda che si pone oggi è: dove stanno andando le relazioni Golfo-Stati Uniti? E in quale contesto si può collocare questa contraddizione di posizioni? Si tratta semplicemente di un cambiamento naturale legato alle variabili attuali della regione, o avviene nel contesto del “regolamento dei conti” del Golfo con l’amministrazione del presidente Biden, o si tratta davvero, come dicono alcuni, di una “rivoluzione del Golfo” contro l’eredità e l’influenza americana nella regione?
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