di Mario Tosetti
In Libia a meno di dieci giorni dalle elezioni presidenziali, fissate per il 24 dicembre, nella tarda serata del 15 dicembre una milizia armata ha circondato la sede del governo a Tripoli e l’ufficio del premier, Abdul Hamid Dbeibah, riuscendo anche ad entrare nel ministero della Difesa.
Mohammed al Menfi, presidente del Consiglio presidenziale, ha immediatamente richiesto l’intervento delle forze di sicurezza ed è stato trasferito, insieme ad altri membri del Consiglio, in un luogo sicuro. Secondo quanto riferito dai media libici a determinare le tensioni, presenti tra le varie milizie armate del Paese, sarebbe stata la decisione di Menfi si sollevare il comandante del distretto militare di Triboli, Abdel Basset Marwan, vicino a potenti milizie locali, e di nominare al suo posto il generale Abdel Qader Mansour.
A seguito del drammatico accaduto le elezioni presidenziali sono quindi particolarmente a rischio. “Chiuderemo tutte le istituzioni statali e non ci saranno elezioni” ha annunciato il leader della Brigata al-Samoud, Salah Badi, nella lista nera del Consiglio di sicurezza dell’Onu dal 2018 per aver più volte tentato di rimuovere dal potere l’allora Governo di unità nazionale di Fayez al Sarraj e per aver condotto azioni armate nella capitale causando vittime civili.
Le elezioni, dopo dieci anni dalla caduta di Muammar Gheddafi, apparivano già in pericolo dopo l’annuncio dell’Alta commissione elettorale libica del rinvio a data da destinarsi della pubblicazione della lista dei candidati presidenziali e bloccando di fatto la campagna elettorale. La competizione elettorale si sarebbe dovuta svolgere tra Khalifa Haftar, il figlio del colonnello Seif al Islam Gheddafi, il premier Dbeibah, insieme con al presidente del parlamento di Tobruk Aqila Saleh, all’ex ministro dell’Interno Fathi Bashagha e al già vicepremier Ahmed Maitig. Sembra, però, sempre più probabile che il voto slitti al 2022, lasciando la Libia in uno stato di incertezza.
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