L’Italia si ritira dall’Afghanistan, la cerimonia dell’ammaina bandiera

di Mario Tosetti

Dopo quasi venti anni l’Italia si ritira dall’ Afghanistan. Ad Herat giunge  il ministro della Difesa Lorenzo Guerini,  in occasione del saluto finale ai militari e la cerimonia dell’ammaina-bandiera alla base di Camp Arena, consegnata alle forze di sicurezza locali. Le operazioni di rimpatrio di uomini, che erano 800 a inizio anno, e mezzi si concluderanno a breve.

“So bene che non è un momento facile. Dopo due decenni d’attività la Nato ha deciso di chiudere questa esperienza. Ma sosterremo l’Afghanistan nel difendere i successi raggiunti”, commenta così il Ministro della Difesa. Dal 15 Maggio il processo di ritiro è stato accelerato “Ormai è solo una questione logistica. Stiamo andando veloci. Sino a poche settimane fa avevamo decine di migliaia di metri lineari di materiali da essere imballati e messi sugli aerei. Ora ne restano meno di mille”, dichiara il generale Luciano Portolano, che coordina la logistica per il Comando Operativo Interforze, lasciando intendere che anche gli ultimi circa 800 paracadutisti della Brigata Folgore al comando del generale Beniamino Vergori, assieme alle unità di supporto dell’Aviazione potranno lasciare il Paese addirittura prima del 4 luglio.

Durante l’ammaina-bandiera il generale Enzo Vecciarelli, capo di Stato maggiore della Difesa, ha ricordato con commozione i militari morti nella missione in Afghanistan e ha detto: “Oggi sono 53 le lacrime che non verranno mai dimenticate dall’Italia intera”.

Il Ministro Guerini riafferma il valore che ha rivestito la missione: “C’è da chiedersi cosa sarebbe stato di questo Paese se non fossimo intervenuti. Grazie a noi la società afghana è progredita. Ce ne andiamo dopo aver ottenuto risultati importanti per la sicurezza internazionale e per la libertà del popolo afghano. Ci sono stati progressi nei diritti delle donne, nella vita democratica, ora si tratterà di aiutare a difenderli”. A suscitare preoccupazione adesso è la situazione in Africa, dove la presenza militare italiana sta crescendo nel tentativo di contrastare le nuove minacce jihadiste.

La cerimonia dell’ ammaina-bandiera segna la fine della missione italiana nel Paese. Anche l’Italia, come gli altri Paesi che stanno ritirando le loro truppe, si apprestano a porre in essere i programmi per il reinsediamento di interpreti afghane e altri dipendenti di truppe o ambasciate straniere minacciati di ritorsioni dalle forze talebane. In particolare è  l’appello di Human Rights Watch rivolto agli Stati Uniti, ma in generale a tutti i Paesi che stanno per lasciare il Paese.

“Gli afghani che hanno lavorato con truppe o ambasciate straniere affrontano enormi rischi di ritorsioni da parte dei talebani “, dichiara Patricia Gossman, direttore associato per l’Asia di Human Rights Watch, aggiungendo “I Paesi con le truppe in partenza dovrebbero impegnarsi ad assistere chi si trova ad affrontare un pericolo per aver lavorato per loro”. I talebani, in una dichiarazione del 7 giugno, hanno affermato che interpreti e altri ex collaboratori delle forze straniere non corrono alcun rischio, purché “mostrino rimorso per le loro azioni passate”.

A gennaio, fa sapere Hrw, gli insorti talebani però hanno ucciso un interprete che lavorava per gli Usa da 12 anni ed era in attesa del visto. Altri ex interpreti hanno affermato di aver ricevuto minacce di morte. Dal primo giugno, il dipartimento della Difesa degli Usa ha iniziato a valutare opzioni per evacuare gli afghani ritenuti a rischio per il loro lavoro con le forze Usa, ma l’amministrazione Biden non ha ancora autorizzato alcun piano urgente e circa 18mila richiedenti afghani sono in attesa di una decisione sulle loro domande di visto speciale per immigrati negli Stati Uniti.

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