Manolo Valdés, l’arte senza confini

Di Cesare Giraldi

Osservare le opere di Manolo Valdés è un esercizio che permette di compiere un viaggio immaginario negli ultimi quattro secoli di storia dell’arte. La sua sublime dialettica artistica, infatti, porta con sé riferimenti a interpreti illustri vissuti in un passato più o meno lontano, da Velázquez a Rubens e Zurbarán, ma che è stata forgiata anche dalle sue esperienze più recenti, che lo hanno visto prima tra i protagonisti della pop art spagnola con il gruppo Equipo Crónica, nato nel 1965, spina nel fianco del regime franchista, poi dalla fine degli anni Ottanta, nella sua fase newyorkese, concentrato sulle sculture dal tratto figurativo e visionario, alcune delle quali monumentali, che accompagnano la sua produzione fino ai giorni nostri. E che gli sono valse tanti riconoscimenti, come la partecipazione alla Biennale di Venezia nel 2000 in rappresentanza della Spagna, insieme a Esther Ferrer, l’ingresso in alcune delle collezioni più prestigiose del mondo, come quella del Metropolitan Museum of Art di New York, del Centre George Pompidou di Parigi, del Reina Sofia di Madrid, nonché l’organizzazione di personali in tutto il mondo. La sua ultima esposizione in Italia risale al 1995, ma dopo 25 anni il Museo di Palazzo Cipolla di Roma ha deciso di organizzare il suo grande ritorno, con la mostra Manolo Valdés. Le forme del tempo, che ha aperto i battenti il 17 ottobre e resterà visibile fino al 10 gennaio, realizzata in collaborazione con la galleria Contini. Una settantina di opere, direttamente dallo studio dell’artista e da importanti collezioni private, fra quadri e sculture in legno, marmo, bronzo, alabastro, ottone, acciaio e ferro, alcune delle quali di grandi dimensioni, danno conto del percorso creativo di Valdés dai primi anni Ottanta ad oggi.

Il dialogo con gli artisti del passato, tuttavia, è lampante e caratterizzante. Come se l’immagine prelevata dall’artista dalle memorie barocche si fosse trasformata recependo i mutamenti dei periodi successivi, fino ad approdare in una nuova veste davanti a noi, con i buchi e le lacerazioni della materia impressi da questo lungo viaggio nel tempo. Non a caso il curatore della mostra Gabriele Simongini osserva: «L’opera-matrice, di capitale importanza per l’inesausto andirivieni di Valdés nel labirinto della storia dell’arte, è Las Meninas di Velázquez, soprattutto per quell’intreccio fra realtà ed illusione, per quel gioco con la verità e con le apparenze, che costituiscono il cuore di quel capolavoro e del barocco spagnolo ma anche del lavoro stesso di Valdés. L’artista riesce, quasi per magia, a conferire una tridimensionalità scultorea a figure e personaggi prima “condannati” alla bidimensionalità della tela – continua – ed opera un continuo ribaltamento di ruoli nei valori plastici attribuiti alla pittura con la sua strabordante matericità e in quelli pittorici dati spesso alla scultura tramite l’importanza del colore, nonché nella sorprendente “materializzazione” plastica del disegno in opere di notevoli dimensioni ma dall’estrema leggerezza visiva e poetica».

 

Nei soggetti da lui richiamati torna frequentemente il tema della donna, in continuità con Matisse e Picasso. Una donna celebrata in tutta la sua dignità e autorevolezza, non solo come simbolo di armonia e bellezza, ma anche come immagine di forza e audacia, come emerge dalle donne a cavallo e dalle espressioni per nulla dimesse di alcuni suoi ritratti femminili. Un tratto che segna l’evidente confine tra il riferimento agli stili dal passato e la rielaborazione della figura sulla base della sua sensibilità contemporanea. Quella di Valdés è una continua ricerca di sintesi tra epoche e artisti diversi, un autentico viaggio nel tempo che con la sua tecnica riesce a sublimare. Non a caso il Prof. Avv Emmanuele F.M Emanuele, presidente della Fondazione Terzo Pilastro Internazionale, che organizza la mostra, ne è rimasto affascinato e ha scelto di ricominciare proprio con lui l’attività espositiva di Palazzo Cipolla dopo il lockdown: «Le opere di Valdés, siano esse dipinti o sculture, sono percorse da una forza e una vitalità dirompenti, trasmesse dalla sapiente lavorazione che l’artista fa dei materiali più vari, fino a comunicare allo sguardo quasi una sensazione tattile. Del suo lavoro apprezzo, in particolare, l’attitudine ad attingere in maniera del tutto trasparente e naturale al repertorio artistico del passato per reinterpretarlo in chiave contemporanea, a conferma della mia convinzione che l’arte è un fluire ininterrotto, un dialogo costante tra i grandi di ieri e di oggi, e che non ha dunque senso racchiuderla in periodi rigidi ed impermeabili tra loro. Dare spazio ad eventi come questa mostra è ancora più importante in questo drammatico momento storico, afflitto dall’emergenza sanitaria e dalla conseguente grave crisi economica e sociale che ci ha colpiti, alla quale mi prodigo per dare risposta anche attraverso l’arte e la cultura, nella speranza di contribuire ad alleviare la penosa condizione esistenziale in cui si trovano i nostri concittadini».