MATTIA TURCO: STORM OF LIGHT AND FIRE STONES

STORM OF LIGHT AND FIRE STONES

di redazione

Storm of Light and Fire Stones è un progetto di Mattia Turco (Cuneo, 1987), esposto dal 26 Febbraio al 24 Aprile 2022 nelle vetrine dello SpazioC21 a Palazzo Brami, in via Emilia San Pietro 21, a Reggio Emilia.

Il gruppo di opere in mostra, collocate nelle vetrine che si affacciano sul cortile, è composto da quattro grandi tele ed un video dal titolo ‘No Land’, realizzato in collaborazione col regista Marco Proserpio. All’interno dello SpazioC21, aperto solo la sera del vernissage, è invece allestito un approfondimento di tele, carte e incisioni su fotografia.

La personale allo SpazioC21 si presenta come una riflessione intima sulla luce e sulla sua vibrazione. Turco scolpisce il colore, lo attiva e ne trae forme astratte, risultanza di un processo additivo e sottrattivo esercitato con competenza. Tela, carta e fotografia trasmettono un punto di vista intimo su emozioni ed energie.

Ci troviamo davanti ad una sorta di archeologia del sentire – scrivono Francesca Baboni e Stefano Taddei – che passa attraverso una sedimentazione di varie coloriture che successivamente si sbrecciano in diversificati rivoli sensoriali. Sembra di essere al cospetto di una esplicita vibrazione del suono, che si fa soggetto ma senza concrete significazioni. La vista, davanti a queste opere, si trova in perenne movimento, alla ricerca di appigli immaginari che si trasmutano in ancore per la percezione. Ma non tutto è come sembra nel mostrare il carattere visionario di un lavoro artistico che presenta virtuosismi di sorta. L’apparire cambia continuamente, disperdendosi esteticamente in innumerevoli rivoli”.

Testo critico curato da Francesca Baboni e Stefano Taddei dal titolo omonimo “Storm of Light and Fire Stones”, fotografie dell’allestimento Fabrizio Cicconi, ritratto dell’artista cortesy of Guido Borso.

L’esposizione delle opere è integrata dalla presentazione di una zine/catalogo realizzata da SStars e SpazioC21 in tiratura limitata di 100 pezzi e da un’incisione in tiratura di 30 esemplari, entrambe in vendita.

STORM OF LIGHT AND FIRE STONES

di Francesca Baboni e Stefano Taddei

Siamo una società che vive sulle immagini. Una realtà siffatta lascia ben poche possibilità a chi si rifiuta di farsi soggiogare da una manifestazione differente. L’immagine, che vive sulla propria apparenza semplificante il tutto, appare e scompare continuamente davanti al nostro occhio.

Permane solo un sentore di ciò che è passato, siamo infatti asserviti ad un continuo profluvio di sembianze che definire banali rende poco il tutto. In Mattia Turco, la rappresentazione è come una vibrazione che va assecondata e ricercata, poiché si nasconde in ogni anfratto. Ciò che stupisce è la naturalezza con cui l’artista fa risuonare i toni, come su spartiti musicali. Davanti a tali opere, la scelta dell’astrazione pare assecondare una visione che ottenebra una chiara identificazione, ma sbaglieremmo a considerarla soltanto in questo modo. Sussulta difatti un battito di colori che appaiono e scompaiono, al limitare di una galassia cromatica che trova sempre nuovi buchi neri da colmare col fervore di nuances ulteriori. L’iconografia si cancella e si ripropone come mera apparizione, un piccolo momento che si lega ad un tuono misurato di tinte, infinito in mezzo alla nostra finitezza. Ci troviamo davanti ad una sorta di archeologia del sentire che passa attraverso una sedimentazione di varie coloriture che successivamente si sbrecciano in diversificati rivoli sensoriali.

Sembra di essere al cospetto di una esplicita vibrazione del suono, che si fa soggetto ma senza concrete significazioni. La vista, davanti a queste opere, si trova in perenne movimento, alla ricerca di appigli immaginari che si trasmutano in ancore per la percezione. Ma non tutto è come sembra nel mostrare il carattere visionario di un lavoro artistico che presenta virtuosismi di sorta. L’apparire cambia continuamente, disperdendosi esteticamente in innumerevoli rivoli.

C’è un dialogo sotteso tra il frastuono e il visivo, mentre l’artista lavora per sottrazione, aggiungendo e togliendo strati di olio e pastello, registrando la comunicazione nell’ultimo strato, il nero, che paradossalmente viene nascosto. Alberto Burri affermava come i neri siano più di uno, e nell’opera di Mattia Turco si vanno a fondere con le cromie, scomparendo nel risultato finale.

I contrasti coloristici amplificano la portata di quanto detto prima. Vi è una frequenza che muta, mutando il mutante. I colori sono forti, giocati sugli opposti, ma il gesto pittorico è delicato, con i singoli dettagli che vengono cancellati.

L’ultimo strato è come una sorta di fermo immagine/registrazione di quell’immenso magma che pulsa da sotto la superficie.

Scrive Julian Bell che “le pitture ci presentano la visione di cose che potremmo vedere in altro modo” (1). Vedere “in altro modo” permette la perdita parziale del controllo, che va a significare l’attesa del risultato. L’attuazione, legata a un metodo di ricordo, provoca tempeste, flash di luce, bagliori improvvisi, sequenze di pattern che mischiano assieme gas, pietre risuonanti che creano interferenza, luminosità nell’illusione ottica di piani.

L’aspetto interessante è quello di riscontrare come uno skateboarder scelga un’iconografia che va da tutt’altra parte stilistica rispetto a quella classica e illustrativa legata alla sua disciplina, ma nello stesso tempo ne completa il percorso. Tutto ciò che accade sulla superficie non è fortuito. È un combattimento elettrico tra pulsazioni intermittenti, come quelle della strada urbana e dei muri, che riecheggiano in modo assordante.

Il mondo privato, interiore ed estremamente poetico di Mattia Turco che si riversa sulla tela è misurabile con un frequenzimetro di musica universale. Ci presenta un margine di inaspettato che ci sorprende ed è esattamente perfetto nella sua compiutezza.

Nelle opere sulla carta millimetrata, l’autore costruisce una sorta di codice ripetuto che segue l’ispirazione del momento e crea un flusso percettivo tipicamente generato. Come una scrittura automatica compulsiva ed istintiva, basata sulla serialità di un gesto sempre identico e uguale a se stesso, gioca sugli errori e le linee in modo raffinato, creando cortocircuito ossessivi e piccole deviazioni di sintassi col tratto fine e preciso del pennarello.

Da uno scatto fotografico di arredo urbano non a fuoco nascono le polaroid in esposizione, utilizzate dai fotografi per fare le prove di luce ma rielaborate dall’autore in chiave completamente originale. Con un punteruolo traccia difatti dinamiche ulteriori rispetto alla referenza primaria e il disegno quasi miniato diviene puro percorso sensoriale.

È come se l’interiorità cercasse di raddrizzare, rabberciare qualcosa che nasce come non riscontrabile. Dallo sfocato viene imbastito un discorso percettivo che non si accontenta del dato rilevato, vuole intraprendere un nuovo tragitto temporale e spaziale, nuove traiettorie inusitate.

Lo sguardo può trovare qualcosa di reale grazie a queste scalfitture a puntasecca, partendo da un concetto e passando per altre vie verso quell’altrove che mai pare trovare un punto certo o stabile. Si crea dunque un dialogo tra il suo guardare e il rappresentato. Togliere ciò che si vede per amplificarne il potere seduttivo pare essere un viatico per comprendere tale, multiforme, ricerca artistica. Mai ferma, mai sazia del dove è giunta. In perenne movimento. La stratificazione è quello che appare, se siamo capaci di vedere dove non pare esserci nulla da mostrare. Ed è invece proprio in tale, affascinante, “non apparizione“ che si possono incontrare i maggiori fermenti creativi di un lavoro in perenne evoluzione.

(1) J. BELL, “Che cos’è la pittura?”, p. 17, Einaudi editore, 2018

Biografia
Mattia Turco
(Cuneo, 1987) è un promettente e poliedrico artista astratto oltre ad essere un talento affermato dello skateboarding italiano.

Si avvicina precocemente alla pittura; ha solo 16 anni quando inizia le prime sperimentazioni, ricercando un linguaggio personale che declina su una varietà di supporti.

Il contesto metropolitano nel quale cresce ha una profonda influenza sull’evoluzione della sua estetica e sulle occasioni nelle quali compie i primi passi nel mondo dell’arte.

Nella primavera del 2016 è invitato a dipingere nella sede del Bastard Store di Milano, in occasione dei 50 anni di Vans, marchio leader nello street wear giovanile. Ad ottobre 2018 realizza la sua prima mostra personale alla Don Gallery di Milano presentando un corpus di tele astratte nelle quali il nero di fondo vibra tra scale di colore e frequenze scolpite sull’olio. La dimensione più intima della pittura di Turco è in totale sintonia con le evoluzioni che esegue con la tavola (da skate) nello spazio metropolitano in cui si esercita.

Sue opere sono state già acquisite da collezioni private sia in Italia che all’estero. Vive e lavora a Milano.
Per approfondimenti: www.mattiaturco.com

SPAZIOC21

SPAZIOC21 è uno spazio espositivo privato, estensione di una collezione d’arte unica nel suo genere. Nato a Reggio Emilia nel 2016, è una vetrina dedicata al lavoro di artisti nazionali e internazionali formatisi nell’ambito del graffiti writing, dell’arte urbana e del nuovo muralismo.

Lo spazio espositivo è solo outdoor – nelle vetrine e nel cortile – ed è curato da creativi e collezionisti. Il calendario degli eventi comprende sia esposizioni di opere provenienti da collezioni private che produzioni realizzate in residenza a Reggio nell’ambito di progetti tematici e site specific.

SPAZIOC21 è un brand di NEXTSTEPS21 SRL. Per approfondimenti: www.spazioC21.com