E’ la prima volta che un pontefice visita la Biennale. Bergoglio ha lanciato un vero e proprio invito a preservare la città di Venezia che è “intimamente legata alle sue acque, e senza la sua cura e protezione, potrebbe persino smettere di esistere”
L’elicottero del Papa è atterrato direttamente nel cortile interno del penitenziario della Giudecca, un momento culminante della sua visita a Venezia. Dalle finestre le detenute, tutte donne, lo hanno osservato con occhi curiosi mentre si avvicinava. Alzato lo sguardo ha notato una scritta sul muro, illuminata debolmente ma chiaramente visibile nella penombra: “Siamo con voi nella notte”, una delle installazioni del padiglione della Biennale ospitato nel carcere femminile.
Una visita di cinque ore
L’arte, accompagnata dalla presenza inedita di un Papa alla Biennale, sconvolge le consuete dinamiche del carcere. All’esterno, la città sembra a malapena notare la sua presenza. La visita di Bergoglio è durata cinque ore: dopo l’incontro nel penitenziario, ha incontrato i giovani cattolici del Veneto, esortandoli a non chiudersi nel mondo virtuale dei social media o nella comodità del divano. Successivamente, ha celebrato una messa a cui hanno partecipato diecimila persone tra fedeli e semplici curiosi.
Papa Francesco ha sottolineato che, nonostante la “bellezza incantevole” di Venezia, la città deve confrontarsi con molte sfide, tra cui i cambiamenti climatici, la fragilità delle strutture e dei beni culturali, nonché la gestione responsabile del turismo per preservare un ambiente adatto alle persone. La città lagunare, osserva il Pontefice, “è intimamente legata alle sue acque, e senza la sua cura e protezione, potrebbe persino smettere di esistere”. Ha quindi auspicato che Venezia sia un simbolo di bellezza accessibile a tutti, guadagnandosi gli applausi dei fedeli presenti, molti dei quali hanno dovuto adattarsi alle nuove regole introdotte per limitare il turismo di massa.
Il tema della fragilità e della bellezza, della morte e della rinascita, permea tutto il viaggio del Papa. Ha incontrato gli artisti alla Giudecca e suggerito loro di immaginare la città come un “rifugio”, un luogo di memoria biblica dove l’arte può combattere il razzismo, la xenofobia, il disordine ecologico e persino “l’aporafobia”, la paura dei poveri. Egli li ha invitati a creare “arcipelaghi collaborativi” anziché isole separate, sottolineando che è lì per ricambiare una visita, secondo l’usanza tra amici.
Questo è il quattordicesimo carcere che Papa Francesco visita, e scegliere la Giudecca per la Biennale è stata una decisione naturale. Chiunque entri nel padiglione deve lasciare all’ingresso il documento d’identità, lo smartphone e i pregiudizi. Le guide per i visitatori sono le stesse detenute, insieme agli agenti penitenziari. Hanno confezionato personalmente gli abiti per l’occasione, mescolando il blu dei loro abiti carcerari con il bianco del papato. Una giovane di nome Giulia, proveniente dal nord-est, conduce i visitatori attraverso le opere d’arte che hanno portato un tocco di colore in un ambiente altrimenti grigio, le installazioni e le poesie incise su lastre di lava. Con voce sicura, recita una poesia scritta da lei stessa, densa di significato. “In modo paradossale”, ha riflettuto il Papa, “il tempo trascorso in un carcere può segnare l’inizio di un nuovo percorso, attraverso la scoperta di bellezze insospettate dentro di noi e negli altri”. Il carcere, ha sottolineato, “può essere anche luogo di rinascita”. Quando Giulia entra nell’ex cappella dedicata a Maria Maddalena, indica i tessuti colorati che l’artista brasiliana Sonia Gomes ha appeso al soffitto e sorride leggermente: “Quando pecciamo”, spiega, “solitamente abbassiamo lo sguardo, ma dovremmo invece alzarlo”.
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