Presidenziali Usa 2024, l’America si prepara al voto

Donald Trump probabilmente sarà in corsa alla conquista della Casa Bianca e c’è giá chi scommette su lui, mentre il presidente Joe Biden sembra arrancare a causa di una popolarità molto bassa dovuta da un lato alla sua età avanzata e dall’altro al malcontento suscitato dalla sua politica sia sul fronte interno che internazionale. Ma tutto è ancora da vedere. Per i democratici i risultati incoraggianti delle elezioni statali di novembre sembrano smentire l’idea che la leadership di Biden sia debole e le primarie presidenziali si terranno solo a metà gennaio. Un candidato indipendente dal cognome famoso potrebbe, inoltre, riservare sorprese

di Emilia Morelli

E’ partito il conto alla rovescia per le elezioni più attese dell’intero pianeta: le presidenziali americane. Il 5 novembre 2024, infatti, 239 milioni di cittadini dotati di diritto di voto, saranno chiamati votare i 538 grandi elettori che designeranno il presidente statunitense per il quadriennio 2025-2029 e -considerato il peso geopolitico, militare ed economico degli Stati Uniti- la questione passa sotto la lente d’ingrandimento di tutti gli osservatori politici.

Stando alle prime voci sembra che saremo destinati ad assistere ad un remake delle scorse elezioni, ma a parti invertite. A sfidarsi probabilmente saranno nuovamente Joe Biden e Donald Trump. Del resto le ambizioni di Trump sono chiare e palesi, aspira ad una rivincita dopo aver -per tutto questo tempo e senza alcuna prova- sostenuto che il risultato elettorale del 2020 fosse truccato.

Al momento i pronostici, già per loro natura vaghi, non possono considerarsi troppo attendibili soprattutto se si pensa che per il voto alle primarie occorrerà attendere la metà di gennaio. Vale la pena comunque citare il recente sondaggio pubblicato dal New York Times- Siena College che vede Biden dietro Trump in cinque dei sei più importanti Stati ‘battleground’, vale a dire quelli notoriamente in bilico tra repubblicani e democratici. Sembra che Trump sia in vantaggio in Arizona, Georgia, Michigan, Nevada e Pennsylvania: tutti Stati che alla scorsa tornata elettorale sono stati vinti da Biden. Il presidente è avanti solo in Wisconsin, di 2 punti.

Gli elettori sollevano dubbi sull’età anagrafica di Joe Biden, che al momento delle elezioni avrà 83 anni, e si mostrano insoddisfatti per la sua gestione in materia di economia, immigrazione e politica estera. Addirittura sono tanti gli elettori che dicono, su questi temi di importanza fondamentale, di riporre maggiore fiducia in Trump rispetto a Biden. Anche l’elettorato multirazziale di Biden sembra essere diventato poco compatto, le comunità ispaniche e quelle delle persone di colore continuano ad essere dalla sua parte ma appaiono meno decise.

Tuttavia, per adesso l’unica certezza è che tutto può ancora succedere. L’America che andrà al voto a novembre 2024 potrebbe essere in una situazione diversa da quella di oggi. Non si può non considerare il peso delle due guerre, in Medio Oriente e in Ucraina, in cui gli Usa pur non essendo parte attiva sono coinvolti. Sul fronte interno c’è il concreto spauracchio di un nuovo shutdown per il costante braccio di ferro in seno al Congresso, considerata la maggioranza repubblicana alla Camera. E’ chiaro, poi, che un peso determinante nella scelta del nuovo presidente lo avranno – oltre all’economia e all’inflazione- anche le sensibilità agli antipodi dei due candidati intorno a temi che investono i dirittti civili: quali l’aborto o i diritti acquisiti dalla comunità lgbtq+ che rischiano di venire compromessi da un orientamento della Corte Suprema particolarmente conservatore.

Ma il primo step da affrontare anzitutto è quello delle primarie. Per quanto riguarda i Democratici ciò che è certo è che Biden al momento è un candidato fragile, che gode di una popolarità estremamente bassa, ma è altrettanto chiaro che all’interno del partito la concorrenza appare davvero limitata. In corsa ci sono: Marianne Williamson, 71 anni, attivista e autrice di bestseller, già risultata perdente alle primarie del 2020; il deputato del Minnesota Dean Philips di 54 anni e molto probabilmente l’ex senatore e governatore del West Virginia il democratico vicino agli ideali repubblicani, Joe Manchin.

Per i democratici la situazione appare senza alternative, nell’ipotesi in cui Biden per qualsiasi motivo dovesse ritirarsi non potrebbe neppure contare sulla sua vice Kamala Harris che, in questi tre anni, è rimasta sempre in secondo piano, contrariamente alle aspettative iniziali.

Dalle primarie del Partito Democratico si è invece ritirato un candidato con un cognome molto famoso, l’ultimo della dinastia Kennedy. Robert F. Kennedy ha, infatti, deciso di candidarsi alle elezioni da indipendente e al momento non è possibile prevedere quale sarà il suo peso né a quale dei due partiti sottrarrà più voti.

Decisamente diversa la situazione del partito Repubblicano, che di candidati alle primarie ne ha 7. Oltre Donald Trump, 77 anni, attualmente il favorito, hanno annunciato la loro candidatura: Ron De Santis, il quarantacinquenne governatore della Florida; Nikki Haley, l’unica donna di 51 anni la quale, stando ai recenti dibattiti, sembra riscontrare un aumento dei consensi; Chris Christie, di 61 anni che ha già perso alle scorse primarie, il governatore del North Dakota Doug Burgum, 67 anni, il governatore dell’Arkansas Asa Hutchinson, 73 anni; il senatore della South Carolina Tim Scott, 58 anni, l’unico nero; e infine l’imprenditore Vivek Ramaswamy, 38 anni, un ‘clone’ di Trump nel caso di tracollo dell’ex magnate – qualcuno li vede persino insieme in un ticket ultra-populista.

Il risultato delle primarie per il partito Repubblicano, nonostante Trump abbia un vantaggio netto, resta incerto a causa dei numerosi procedimenti giudiziari che lo vedono imputato per diversi tipi di reati. Trump attualmente risulta incriminato in 5 procedimenti, ognuno con molteplici capi d’accusa: a Washington per aver istigato la sommossa del 6 gennaio 2021 al fine di indurre il Congresso a ribaltare il risultato elettorale, in Florida per aver sottratto centinaia di documenti riservati agli Archivi nazionali, in Georgia per aver esercitato pressioni sulle autorità locali affinché falsificassero i risultati elettorali e due a New York, uno per soldi in nero a una pornostar durante la campagna 2016 perché tacesse una loro relazione di anni addietro e uno per pratiche finanziarie e commerciali scorrette ella sua holding, la Trump Organization. Ad onor del vero Trump appare fortificato da tutti questi rinvii a giudizio, grazie ad una campagna di comunicazione che lo raffigura come un perseguitato politico.

Anche Biden da altro punto di vista non è totalmente esente dai guai giudiziari. La Camera porta avanti nei suoi confronti un processo di impeachment ma, soprattutto, a pesare sull’opinione pubblica sono le grane giudiziarie del figlio Hunter, dichiaratosi colpevole per il reato di evasione fiscale e per aver comprato una pistola tacendo di aver fatto uso di droga.

Al momento la situazione è, dunque, ben lontana dall’essere definita o priva di possibili colpi di scena. Peraltro, i risultati delle elezioni statali di novembre sembrano smentire le previsioni di quanti ritengono che la leadership di Biden sia in crisi. Il partito Democratico ha, infatti, incassato una serie di successi incoraggianti. Tra questi si pensi alla riconferma di Andy Beshear come governatore del Kentucky, uno Stato solitamente schierato dalla parte dei repubblicani che nel 2020 aveva espresso una larga maggioranza a sostegno della candidatura di Trump oppure alla Virginia guidata dal repubblicano Glenn Youngkin in cui il partito Democratico è riuscito a confermare il controllo del Senato e ha ottenuto quello della Camera. In quest’ultimo caso sembra che determinante sia stata la promessa dei Democratici di imporre il il divieto di aborto oltre 15 settimane di gestazione in caso di vittoria alle elezioni.

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