Può sopravvivere una democrazia populista?

Il 25 settembre voteremo per il rinnovo della classe dirigente del nostro Belpaese. Cosa ci dicono i numeri sul ruolo dei giovani, alla vigilia del voto in Italia? 

di Giuseppe Scognamiglio

In Italia ci apprestiamo a votare per rinnovare il Parlamento, dunque la classe dirigente del nostro Paese.

Il contesto internazionale ci consegna una profonda e duratura crisi delle nostre democrazie liberali, soprattutto una crisi del rapporto tra rappresentati e rappresentanti. Questo rapporto non funziona più: gli eletti non si dimostrano in grado di affrontare e risolvere i nostri problemi quotidiani né tantomeno le grandi e complesse sfide globali. Dunque, gli elettori tendono a sterzare pesantemente ogni volta che hanno la scheda elettorale in mano, scegliendo nuove formazioni populiste, ora di sinistra, ora di destra. Secondo i sondaggi, gli Italiani passeranno appunto dal populismo pentastellato a quello di Fratelli d’Italia, nel tentativo di rovesciare il tavolo di istituzioni che sono sembrate inadeguate a fronteggiare la pandemia o a evitare l’ennesima guerra in Europa.

Il fenomeno, come dicevo, non è solo italiano. È accaduto qualcosa di simile in Francia e in Germania (per non parlare degli Usa trumpiani), segno che la frattura è indicativa dei tempi, tempi figli di un’informazione digitale che non riesce a essere autorevole e a prova di affidabilità, vittima di hacker anche di altri Paesi. Abbiamo speranze di rivitalizzare il nostro protagonismo internazionale o finiremo vittime della determinazione autoritaria di Cina e Russia, le grandi dittature del terzo millennio?

Il coinvolgimento dei giovani

Un punto critico nelle nostre democrazie, forse decisivo, è rappresentato dall’incapacità di coinvolgere attivamente le nuove generazioni: e non perché siano queste caratterizzate da qualunquismo. La generazione “Greta Thunberg”, anzi, sembra fortemente mobilitata sulle grandi sfide del nostro secolo: dall’agenda sociale ai diritti, all’ambientalismo; dall’energia alla finanza globale e all’equilibrio tra tutela della salute (gestione delle pandemie) e sostenibilità economica. A questa mobilitazione però non corrisponde una identificazione con i partiti politici, che hanno dunque perso completamente il loro ruolo di intermediari ideologici e organizzativi del consenso. Di questa crisi si sono accorti tutti ma non i regolatori, che non adattano e modificano le regole di conseguenza, ad esempio evitando barriere insormontabili alla iscrizione alle liste elettorali eleggibili.

Cosa ci dicono i numeri sul ruolo dei giovani, alla vigilia del voto in Italia? Un sondaggio di Swg di inizio settembre ci rivela che i giovani (under 24) sono consapevoli del fatto che il voto del 25 settembre “sarà uno spartiacque, una data fondamentale” (64%); e sono quasi tutti convinti che il voto “sia un dovere civico che va sempre esercitato” (88%); ma temono che “con questa classe dirigente le cose non cambieranno mai” (87%); e lentamente, ma inesorabilmente, si stanno allontanando dalla politica.

Cinque anni fa, prima delle precedenti elezioni, la politica era considerata “fondamentale” dal 59% degli intervistati, oggi solo dal 41. Un crollo. Per questo molti, forse, non voteranno. Come potremo superare questa impasse? Non abbiamo ricette, ma il dato è molto preoccupante: senza il coinvolgimento attivo delle nuove generazioni, il nostro sistema di convivenza civile è destinato a estinguersi, senza nemmeno essere sconfitto… Per cambiare una classe dirigente percepita come inefficiente, il voto confluisce inevitabilmente verso soluzioni semplicistiche, tipiche dei populismi di destra e di sinistra. Il 25 settembre avremo una risposta alle nostre domande…

Testo e foto pubblicati per gentile concessione di Eastwest, magazine di geopolitica diretto da Giuseppe Scognamiglio www.eastwest.eu

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