di Emilia Morelli
Domenica 12 giugno si voterà, insieme alle elezioni amministrative, su cinque quesiti referendari in tema di giustizia. Tre dei cinque referendum – inerenti i consigli giudiziari, le correnti del Csm e la separazione delle funzioni- potrebbero essere annullati qualora il Parlamento approvi in via definitiva la “riforma Cartabia” che interviene proprio sulle questioni. I quesiti sono stati proposti dalla Lega e i Radicali e ritenuti ammissibili dalla Corte Costituzionale lo scorso 16 febbraio.
Il primo quesito referendario che sarà sottoposto agli italiani è inerente le misure cautelari. Nella realtà carceraria italiana circa il 30% dei detenuti è tale non in forza di una sentenza definitiva, ma in attesa di giudizio e quindi in applicazione di una misura cautelare. Secondo la disciplina vigente la custodia cautelare può essere disposta solo ove ricorrano i “gravi indizi di colpevolezza” e le “esigenze cautelari” che si concretizzano in un pericolo concreto ed attuale di reiterazione del reato, di fuga o di inquinamento probatorio. Il referendum interviene sulla prima delle esigenze cautelari. Se vincerà il si al referendum la possibile reiterazione del reato non sarà più considerata una valida motivazione all’applicazione non solo della misura di custodia cautelare in carcere ma di tutte le altre misure anche meno afflittive quali gli arresti domiciliari, il divieto di dimora, l’obbligo di presentazione alla Polizia Giudiziaria, l’allontanamento dalla casa familiare, la sospensione da un pubblico ufficio o servizio, la sospensione della potestà genitoriale, il divieto temporaneo di esercitare determinate attività professionali o imprenditoriali . La ratio del referendum è quella di evitare che si puniscano persone che poi, al termine del giudizio di merito, risultino innocenti.
Il secondo quesito referendario è inerente l’incandidabilità e l’incompatibilità a ricoprire cariche istituzionali per chi sia stato condannato in via definitiva per reati di particolare gravità come mafia, terrorismo e corruzione. Ad oggi se un deputato nazionale o un senatore viene condannato definitivamente per una di queste tipologie di reato dopo essere entrato in carica, la camera di appartenenza è chiamata a votare sulla sua decadenza, o meno. E’ prevista la decadenza, sempre a seguito di condanne definitive, anche per europarlamentari, membri di governo e amministratori locali. Rispetto a questi ultimi, in alcuni casi, la legge prevede attualmente anche la sospensione dell’incarico, in alcuni casi, dopo una condanna di primo grado (non definitiva). Se vincerà il sì al referendum tutti gli automatismi non saranno più in vigore e a decidere su eventuali divieti di ricoprire cariche potrà essere solo il giudice chiamato a decidere sul singolo caso, come è avvenuto fino al 2012.
Per quanto riguarda i Consigli giudiziari, organi ausiliari del Csm, composti da membri appartenenti alla magistratura ma anche laici la cui funzione è rendere “motivati pareri” su diversi ambiti il quesito referendario attiene alla possibilità, finora esclusa che anche i componenti laici possano partecipare attivamente alla valutazione circa l’operato dei magistrati.
Il quarto quesito referendario è inerente alle cosiddette “correnti del Csm”, cosa che rende l’organo di autogoverno della magistratura di fatto diviso al suo interno in partiti. Se al referendum vinceranno i sì sarà abrogata la norma che prevede che un magistrato. per candidarsi al Csm debba presentare dalle 25 alle 50 firme a proprio sostegno. Si favorirebbero così, secondo i promotori, le qualità professionali del candidato invece del suo orientamento politico.
L’ultimo quesito referendario è relativo alla separazione delle funzioni nella magistratura. Secondo la normativa vigente ad oggi un magistrato può, nel corso della sua carriera, cambiare e passare fino ad un massimo di quattro volte da funzioni requirenti e quindi di pubblico ministero a funzioni giudicanti. Se al referendum vinceranno i sì il magistrato dovrà scegliere all’inizio della carriera se vuole essere pubblico ministero o giudice non potendo più cambiare.
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