Summit di Al-Ula: l’ultimo wargame di Trump e la fragile pace tra sauditi e qatarini

Intervista esclusiva al professor Nidal Shoukeir, analista arabo di relazioni governative a Bruxelles, sugli accordi di pace sottoscritti ad Al Ula da Mohamed bin Salman e Tamim bin Hamad Al Thani alla presenza di Jared Kushner, genero del presidente uscente degli Stati Uniti

Velia Iacovinodi Velia Iacovino

Sempre piu’ fluida la situazione in Medio Oriente con alleanze e schieramenti che si modificano continuamente. L’ultimo inaspettato colpo di scena la fine dell’embargo totale imposto nel giugno del 2017 al Qatar dai paesi del Golfo, in prima fila l’Arabia Saudita, che accusava Doha di avere intessuto legami troppo stretti con Teheran e di finanziare il terrorismo islamico attraverso organizzazioni legate ai Fratelli Musulmani. Accuse pesanti non suffragate da grandi ed evidenti prove, e secondo alcuni osservatori frutto soprattutto da una parte delle nuove ambizioni saudite ad assumere un ruolo di player nella regione, e dall’altra dell’interesse degli Stati Uniti di Donald Trump ad annientare il potere degli ayatollah iraniani e a rafforzare il ruolo di Israele nell’area.

L’annuncio della avvenuta riconciliazione è arrivato dal 41 esimo vertice degli Stati del Consiglio di Cooperazione del Golfo, che si è tenuto il 5 gennaio nel governatorato di Al Ula, in Arabia Saudita (in basso foto del celebre sito archeologico), al quale non a caso ha preso parte, da protagonista, il genero e consigliere di Donald Trump, Jared Kushner, lo stratega del piano israelo-palestinese, molto vicino al principe ereditario saudita, Mohamed bin Salman, l’uomo che ha indotto i principali paesi arabi alla ratifica del riconoscimento dello stato ebraico.

Una presenza che conferma la paternità tutta americana dell’accordo, anche se ufficialmente la mediazione è stata condotta dall’ emiro del Kuwait, recentemente scomparso, lo sceicco Sabah Al-Ahmad Al-Jaber Al-Sabah. Un accordo, che porta anche la firma del rappresentante egiziano, il ministro degli Esteri Sameh Shoukry, il cui paese si era unito al blocco contro il Qatar. L’ultimo “regalo” di Trump al mondo, prima del suo definitivo tramonto e del cambio di guardia dell’amministrazione americana. Un vero e proprio vaso di Pandora, che se aperto, chissà quali effetti potrebbe produrre.

Per il momento quel che resta impressa è l’immagine dei baci e degli abbracci all’aeroporto di Al Ula tra il principe saudita bin Salman e l’emiro del Qatar, lo sceicco Tamim bin Hamad Al Thani, insieme alle 18 pagine dell’accordo, di cui non sono stati ancora resi noti i dettagli, ma che, secondo varie fonti, non andrebbero oltre la retorica della pace fatta e delle parole ufficiali pronunciate dal ministro degli Esteri saudita, il principe Faisal bin Farhan bin Abdullah, e del Segretario generale del Consiglio di cooperazione del Golfo, Nayef Falah Mubarak Al-Hajraf.

Ma intanto non ci si può fare a meno di chiedersi che cosa succederà da qui a breve quando la piu’ grande potenza del mondo, gli Stati Uniti, avrà come nuova guida Joe Biden, le cui posizioni in politica estera sono all’opposto di quelle di Trump. Ma anche quale è stata la posta in gioco e chi è il vero vincitore di questa partita: se il Qatar, che ha dimostrato di saper resistere all’embargo, mai piegandosi, e anzi espandendo la sua forza economica e rinsaldando alleanze per proprio conto, come quella con la Turchia; o l’Arabia Saudita, che mira a diventare il partner arabo per eccellenza di Israele.

L’accordo di Al Ula va preso sicuramente come un “buon inizio”, sottolinea il professor Nidal Shoukeir (a sinistra), analista arabo di relazioni governative a Bruxelles, intervistato da Associated Medias Press Agency, aggiungendo che ora comunque bisognerà passare dalle parole ai fatti. “Il quadro apparentemente infatti non è mutato – osserva- dal 5 giugno del 2017, quando è iniziato il blocco contro il Qatar”. “E se Trump -commenta- ha fatto molto bene a promuovere la riconciliazione tra le parti, la nostra speranza è che essa poggi su basi concrete. Sono molti infatti gli interrogativi che rimangono aperti”.

A cominciare dalle relazioni tra Teheran e Doha. Come cambieranno? “L’Iran – rimarca l’analista- è tutt’oggi un grande alleato e amico del Qatar. I due paesi, che sono confinanti, condividono fortissimi interessi economici, soprattutto nel settore petrolifero e in quello del gas”. Gran parte dell’import qatarino di petrolio è infatti generato dai pozzi iraniani e insieme Iran e Qatar controllano il piu’ grande bacino di gas naturale del mondo.

Non solo l’Iran. C’è in ballo anche l’alleanza tra la Turchia e il Qatar. Il professor Shoukeir ricorda quanto sia forte la presenza militare ed economica di Ankara nell’emirato. La Turchia resta nemico giurato dell’Arabia Saudita e dell’Egitto del quale è strenuo competitor sulla scena libica. E lo sceicco al Thani non piu’ tardi del 27 novembre scorso ha siglato con Receb Tayyb Erdogan dieci nuovi importantissimi accordi e un memorandum di intesa sulla sicurezza, gli investimenti, il commercio, la borsa.

E ancora, ci sono altre due questioni cruciali, su cui porre attenzione, che l’analista arabo indica, “quella mediatica e quella religiosa”, per altro strettamente connesse. Il Qatar è stato accusato in questi tre anni e mezzo da Ryad di sostenere sia finanziariamente che attraverso l’emittente internazionale al Jazeera, di cui i sauditi hanno continuamente invocato la chiusura, i Fratelli Musulmani, nonostante la famiglia al Thani al potere a Doha sia wahabita come quella saudita. Mutato lo scenario, Doha ritirerà il suo appoggio alla Fratellanza, rischiando di offuscare i suoi ottimi rapporti con la Turchia che, in questo momento, ha piu’ che mai a cuore la causa dei Fratelli Musulmani, nemici giurati anche dell’Egitto di Abd al-Fattāḥ al Sisi, che ne rovesciò il potere nel 2011?

Infine c’è Israele. Rientrato nell’orbita saudita, il Qatar, che pure tra il 1996 e il 2000 era unico paese del Golfo ad avere relazioni commerciali con Tel Aviv, che farà a questo punto? Procederà al riconoscimento dello stato ebraico, tagliando tutti i legami con Hamas, che passavano attraverso i Fratelli Musulmani, e quelli con gli Hezbollah in Libano, a detrimento della sua alleanza con Teheran?
Questioni che sembrano per il momento aleggiare inquietanti, nonostante l’ottimismo che bisogna sempre riservare alla fine di una crisi.

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