Tibet: l’ennesimo scontro tra Cina e India tiene il mondo in stato di allerta

di Benedetta Ciavarro

Cina India. Piccolo conflitto locale, grandi timori internazionali. Nei giorni successivi agli scontri avvenuti il 15 giugno nella valle del Galwan al confine tra India e Cina, i rispettivi governi hanno scaricato le colpe sull’avversario. La reciprocità delle accuse è tipica di quasi tutte le guerre. In questa zona del mondo, disputata da tempo immemore, è poi una consuetudine. In Cina, Pechino accusa in modo poco velato di aver risposto a provocazioni e attività illecite svolte nel territorio di Ladakh. Il governo Indiano guidato da Narendra Modi, invece, dal canto suo, accusa la perdita di venti soldati a seguito della collisione coi cinesi e si dice pronto alla rappresaglia in caso di ulteriori affronti al suo popolo.

Seppure non sia un ricordo scolpito nella memoria delle nuove generazioni, nel 1962 ci fu una guerra vera e propria tra i due paesi esattamente nel luogo dove oggi si continua a sparare. Questo conflitto, che portò alla perdita di oltre 1000 Indiani e 800 Cinesi, fu la conseguenza di una contesa decennale tra India e Cina, nato proprio per la spartizione di aree di confine. La questione nasce nel 1914, quando l’India Britannica firmava un accordo con il Tibet per formalizzare un confine in Himalaya, mai di fatto accettato dalla controparte cinese. La guerra del 1962 terminò con un tentativo di accordo decretato dalla definizione di una Linea Attuale di Controllo (LAC), che oltre a tracciare un confine, avrebbe anche imposto un divieto di ricorrere alla forza per ulteriori dispute. Ma negli anni successivi, nuovi conflitti hanno causato la perdita di soldati da entrambe le parti, evidenziando che nonostante gli accordi, la LAC non era ancora stata mai davvero accettata.

Gli avvenimenti più recenti non vanno ignorati. I conflitti sono sempre esplosi in vista di nuove costruzioni o tentativi di espansione nelle zone prospicienti l’Himalaya. Eppure, questi episodi non possono essere ridotti a semplici dispute territoriali, non fosse altro per le dimensioni dei contendenti. Le grandi nazioni asiatiche sono infatti i due paesi più popolosi al mondo, con economie in continua espansione e animate da politiche nazionaliste. Per di più Cina e India sono due delle 11 superpotenze nucleari. Le ultime tensioni, come spesso accade nei conflitti di confine, sono frutto di un crescendo nato nei giorni precedenti il 15 giugno. Le opposte fazioni all’inizio hanno sfogato la loro rabbia a colpi di sassate e bastonate. Poi la brutalità degli attacchi è cresciuta al punto da far passare la mano alle rispettive forze dell’ordine e a trasformare la disputa in un conflitto vero e proprio. Le accuse reciproche arrivate dai due Governo centrali hanno subito fatto innalzare l’attenzione internazionale tra questa che è una delle tante guerre dimenticate del nostro pianeta. Solo che la pericolosità di questa è data proprio dal “peso” politico, economico e militare dei contendenti.

Nelle giornate successive i toni si sono leggermente abbassati. Il portavoce del ministero degli Esteri Cinese Zhao Lijian ha riferito che, malgrado le responsabilità dello scontro siano della controparte Indiana, non ci sono le intenzioni da parte di Pechino di proseguire con un conflitto armato. Il dialogo fra i due ministeri starebbe continuando in maniera diplomatica, con lo scopo di mantenere la sicurezza ma anche la sovranità del popolo cinese. L’India di Narendra Modi si è espressa in modo analogo, confermando che vi sono sforzi da entrambe le parti per ridurre le tensioni ed evitare ulteriori conflitti.

Sarà da vedere se la tregua verrà rispettata. Tra il presidente Trump che offre il suo (non-ufficiale) aiuto per risolvere la vicenda, e la Russia che deve decidere se aiutare i suoi vecchi alleati indiani o i suoi più recenti amici cinesi, la questione non può essere considerata rientrata. Nel frattempo, immagini satellitari del 22 giugno mostrano che la Cina ha montato nuove unità militari al confine. Questo potrebbe significare che i militari Cinesi sono pronti a difendersi o forse preparano le basi per un loro attacco.

Un altro scenario possibile sarebbe che le discussioni sulla vicenda siano rimandate a quando l’emergenza coronavirus si allenterà. Pechino sta affrontando una nuova importante ondata di casi e ha difatti re-instaurato il lockdown in numerose zone. La capitale, nonostante si stia muovendo velocemente per effettuare centinaia di migliaia di test al giorno, teme ancora la possibilità che il virus torni a crescere. In India, per altro, sul fronte pandemia la situazione è decisamente peggiore. Attualmente è il quarto paese maggiormente colpito dal virus, le strutture sanitarie sono instabili e il distanziamento sociale è quasi impossibile. Inoltre, le ripercussioni economiche si sono rivelate disastrose ancora prima che il virus si propagasse nel paese data l’alta percentuale di lavoratori che hanno impieghi alla giornata o sono pagati in nero. Insomma, i due giganti asiatici sembrano avere una gatta da pelare in comune, il virus, molto peggiore della questione tibetana e questo lascia sperare che nell’immediato la disputa torni sotto controllo. Ma il conflitto rimane in tutta la sua pericolosità. Vedremo se India e Cina, passata la pandemia, troveranno finalmente un accordo dopo più di un secolo di divergenze. Più di un osservatore fa notare che la disputa sul confine dell’Himalaya per Cina e India può essere la classica buccia di banana sulla quale fare scivolare le relazioni altrimenti ottime. E’ bene infatti ricordare che Pechino e Delhi su molte altre questioni internazionali hanno fatto fronte comune, facendo valere ancor di più i rispettivi pesi. Quindi è difficile immaginare una frattura su una questione alla fine minore, soprattutto in anni in cui tutto il mondo, e particolarmente Cina e India, dovrà affrontare la crisi economica e le conseguenze varie del post-covid. Ma ancora una volta è la storia a ricordarci quanto le dispute territoriali nel loro piccolo racchiudano insidie imponderabili. Questo è il vero motivo di tanto allerta. A questo si deve l’attenzione mediatica che le dispute Himalayane hanno sempre ottenuto.

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