Trump: la Corte d’Appello di New York ha ridotto la cauzione per la condanna, nessun sequestro dei beni

Al contempo i guai per Trump non finiscono e il caso Stormy Daniels va a processo ad aprile

“La Trump Tower rimane di mia proprietà”, così Donald Trump ha fatto sapere ai suoi sostenitori che la Corte d’Appello dello Stato di New York ha ridotto il cauzione da versare dopo la condanna per frode, abbassandolo da 454 milioni a 175 milioni di dollari, e ha concesso ulteriori dieci giorni per adempiere all’obbligo. Il magnate avrebbe dovuto sborsare quasi mezzo miliardo di dollari, in contanti o tramite obbligazioni emesse da società finanziarie, come risarcimento della multa, più interessi, decisa dalla corte di New York dopo averlo condannato per i reati di frode fiscale e finanziaria.

Trump è stato accusato di aver sovrastimato per anni il valore dei suoi beni al fine di ottenere prestiti bancari a condizioni più favorevoli. Dopo aver ricevuto il rifiuto da parte di circa trenta società finanziarie, il tycoon era sull’orlo del disastro: il 25 marzo era l’ultima data entro cui effettuare il pagamento. Trascorso il termine, il procuratore generale di New York, Letitia James, avrebbe potuto procedere al sequestro dei conti bancari o di parte delle proprietà del magnate. La Trump Tower, situata sulla Fifth Avenue, rappresentava uno dei beni più esposti al rischio, sia per il suo valore immobiliare sia per il significato simbolico che ha acquisito nel corso degli anni. Si tratta infatti del “castello metropolitano” di Trump, a pochi passi da Central Park. Anche il resort di Mar-a-Lago, in Florida, dove l’ex presidente risiede, era a rischio.

La decisione della Corte d’Appello ha lasciato tutti sorpresi. Tutti i media statunitensi si aspettavano di assistere al sequestro di beni. I dieci giorni aggiuntivi e la riduzione del deposito di oltre la metà impediranno a Trump di subire un’umiliazione economica e di immagine, soprattutto in vista delle elezioni presidenziali americane. “Accetto la decisione”, ha commentato Trump, “e mi impegnerò a pagare la somma dovuta, in contanti o tramite obbligazioni o in qualsiasi altro modo, entro dieci giorni”.

La buona notizia è arrivata giusto prima dell’ingresso di Truth, la sua piattaforma social di cui Trump possiede il 60% delle azioni, sul mercato azionario di Wall Street. Questo gli garantirà una nuova liquidità per rafforzare il suo patrimonio. Trump, salvo sorprese, si allontana quindi dal baratro, ma i problemi non sono risolti. Nella stessa giornata si è trovato a fronteggiare il destino del processo a Manhattan in cui è imputato: quello riguardante il pagamento di 130 mila dollari, in nero, nel 2016, alla pornostar Stormy Daniels per evitare la divulgazione di una breve relazione sessuale tra loro. Lui e i suoi legali, dopo la divulgazione di nuovi documenti, alcuni dei quali considerati “importanti” per il processo, avevano richiesto un rinvio di almeno novanta giorni.

L’assist della Corte d’Appello sui bond sembrava l’inizio di una svolta positiva. Durante la deliberazione del giudice della corte di Manhattan, Trump ha abbassato lo sguardo, ha fissato le mani, come se volesse seguire attentamente ogni parola. Ma quando Juan Merchan ha annunciato il 15 aprile come data di inizio del processo, il magnate ha passato un biglietto al suo avvocato, ha scosso la testa e ha fissato di nuovo il giudice, restando impassibile. Durante l’udienza, il giudice ha mostrato una certa impazienza nel voler affrontare il problema. Gli avvocati di Trump hanno ribadito la necessità di esaminare tutti i più di 100.000 documenti, un compito che richiederebbe mesi, ma la procura ha smontato questa richiesta, sostenendo che solo trecento pagine erano rilevanti per il caso, mentre il resto era materiale irrilevante.

“Di quanto tempo avete bisogno?”, ha chiesto Merchan agli avvocati dell’ex presidente. Questi hanno dichiarato di aver bisogno di almeno tre mesi, probabilmente nella speranza di posticipare tutto oltre le elezioni. Ma non è andata così. Trump ha continuato a parlare di “caccia alle streghe”, di “bufale” e di “interferenza elettorale”, accusando vari giudici e procuratori di essere “corrotti” e al servizio dei Democratici. Se la reazione del magnate non è stata una sorpresa, l’udienza nella corte di Manhattan ha rivelato un elemento nuovo: i giudici di New York, che hanno a che fare con Trump da un anno, ormai conoscono bene lui e le strategie dei suoi avvocati, e mostrano una certa insofferenza. Non è un segnale positivo in vista della sentenza.

Joe Biden non ha commentato i problemi giudiziari del suo avversario, ma non sono mancati aspri commenti da parte dello staff elettorale del presidente: “Donald Trump è debole e disperato, sia come individuo sia come candidato, per aver mentito riguardo al possesso di denaro che in realtà non possiede affatto”. “L’America – hanno aggiunto – merita qualcosa di meglio di un Trump confuso e esausto”.

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