Tunisia, il Presidente vuole cambiare la Costituzione

Kais Saied ha pubblicato una bozza che verrà sottoposta a referendum il 25 luglio. Se gli elettori dovessero approvarla, otterrà ampi poteri e il sistema politico si trasformerebbe in un’autocrazia

di Marco dell’Aguzzo

Giovedì scorso il Presidente della TunisiaKais Saied, ha pubblicato la bozza della nuova Costituzione che verrà sottoposta a referendum il prossimo 25 luglio. Se gli elettori dovessero approvarla – ed è probabile, ma forse non per una questione di vera volontà popolare –, il Presidente otterrà ampi poteri, mentre il Parlamento e il sistema giudiziario vedrebbero venir meno i loro.

Il referendum costituzionale del 25 luglio, insomma, potrebbe portare a un cambio di sistema in Tunisia, che da democrazia – l’unica ancora in piedi dopo le cosiddette “primavere arabe” del 2010-2012 – si trasformerebbe in un’autocrazia. Questo mutamento è iniziato all’incirca un anno fa, ricorda il New York Times, quando Saied ha sospeso il Parlamento, rimosso il Primo Ministro e avviato un percorso di concentrazione del potere nelle sue mani: ha assunto il controllo degli organismi indipendenti, incarcerato gli oppositori, licenziato i giudici e governato a colpi di decreti, scavalcando il parlamento. Ha giustificato tutto questo con la lotta alla corruzione e con la necessità di riformare un governo a suo dire disfunzionale.

La bozza di costituzione che ha fatto redigere a un gruppo di esperti da lui selezionati – i partiti politici e le organizzazioni della società civile si sono rifiutati di partecipare – dovrebbe allora rappresentare il compimento di questo processo. Anche perché il referendum non prevede alcuna soglia di partecipazione minima per essere valido; il Presidente, peraltro, controlla l’autorità elettorale e la popolazione è generalmente concentrata sulla crisi economica più che sulle vicende politiche.

L’economia tunisina ha avvertito molto l’impatto della pandemia di coronavirus (che ha compresso le entrate del turismo) e dell’aumento dei prezzi delle materie prime aggravato dalla guerra in Ucraina (che ha reso più care le importazioni di grano). Senza contare che le condizioni precedenti alle due crisi non erano comunque buone, per via della malagestione. I prezzi alti e l’elevato tasso di disoccupazione furono due fattori chiave delle proteste del 2011 che portarono al rovesciamento del regime dittatoriale di Zine el-Abidine Ben Ali. La costituzione che uscì dalla rivoluzione, nel 2014, garantiva tutta una serie di libertà fondamentali, stabiliva limiti al potere presidenziale e assegnava un’importanza primaria al Parlamento.

Inizialmente – scrive il New York Times – Saied ha saputo cavalcare il malcontento popolare per la crisi economica, promettendo soluzioni. Oggi quel consenso si è però indebolito, dato che la situazione non è migliorata come aveva detto; scioperi e manifestazioni di dissenso sono più frequenti. La sua costituzione antidemocratica potrebbe peraltro peggiorare le cose perché potrebbe impedire alla Tunisia di accedere al prestito del Fondo monetario internazionale, la cui erogazione è vincolata all’attuazione di riforme politiche inclusive.

Sulla carta, la costituzione proposta da Saied non cancella diritti e libertà. Ma dà al Presidente il potere di nominare il Governo, di proporre leggi e di stipulare trattati, di nominare e rimuovere giudici e ministri, e anche di sciogliere il Parlamento. Non è previsto invece un meccanismo per la destituzione del Presidente, che potrà rimanere in carica per due mandati di cinque anni, eventualmente estendibili in caso di necessità.

La bozza di costituzione elimina poi i riferimenti all’Islam come religione di Stato (probabilmente per colpire il partito islamista moderato Ennahda, avversario di Saied), pur precisando che il Paese fa parte della comunità musulmana e stabilendo che il Presidente debba essere musulmano.

Testo e foto pubblicati per gentile concessione di Eastwest, magazine di geopolitica diretto da Giuseppe Scognamiglio www.eastwest.eu

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