La guerra in Europa ci impone una scelta. Oggi Bruxelles si trova davanti al suo più grande bivio storico che, nel bene o nel male, cambierà per sempre il volto del blocco. Ma sotto attacco non sono i confini di Washington
di Matteo Meloni
Qui si fa l’Europa o si muore. L’Unione europea si trova davanti al suo più grande bivio storico, un turning point epocale che, nel bene o nel male, cambierà per sempre il volto del blocco. Sempre che la Ue voglia realmente sopravvivere alle sfide poste — e un po’ imposte — dalla nuova realtà globale, che cerca di risollevarsi dalle macerie lasciate dal passaggio del Covid-19 e vede accrescere partnership senza limiti, come quella immaginata da Russia e Cina, che promettono di costruire un nuovo ordine mondiale alternativo a quello occidentale.
Bruxelles necessita di profonde riforme strutturali. Non scopriamo certamente nel 2022 che l’Unione europea deve velocizzare le modifiche al processo decisionale per essere realmente competitiva sul palcoscenico internazionale. Ma l’invasione della Russia in Ucraina ha posto l’accento sulla mancanza di quei tasselli fondamentali per la tenuta della Ue, che rispondono ai temi della politica estera e della difesa comune. La prima, così com’è concepita, ha dimostrato tutta la sua fragilità nel fallito tentativo di dissuadere Vladimir Putin dall’intervento militare; la seconda, è di fatto inesistente, vivendo nell’ombra di una vera organizzazione politico-militare, la Nato, nata proprio per rispondere ai bisogni difensivi dei confini del Patto atlantico.
Ma quanto corrispondono i desiderata di un’organizzazione a guida statunitense con quelli europei? Sarebbe possibile una convivenza tra l’ipotetico esercito europeo e le forze Nato? C’è un rischio di sovrapposizione tra le due entità? Le domande non hanno, evidentemente, facile risposta, ma possono essere utili guide per ragionare sullo stato dell’arte del processo di cambiamento, già iniziato, nell’approccio ai temi difesa e sicurezza comune e per capire dove si può arrivare. In questo caso, con limiti ben precisi, che sono quelli giuridici.
La Politica di Sicurezza e Difesa Comune
A tal proposito, è bene sottolineare che la Ue si è dimostrata particolarmente elastica e inventiva nel trovare soluzioni nel framework dei trattati. Basti pensare alla Politica di Sicurezza e Difesa Comune Ue che vede, ad esempio, la Danimarca sfruttare l’opzione offerta di non partecipare alle discussioni in materia. La scelta opt-out di Copenhagen è datata 1992, ma l’attacco russo ha portato l’esecutivo del Paese ad un possibile, non ancora certo, cambio di politiche in tal senso. Il prossimo primo giugno i cittadini andranno al voto per decidere se prendere parte alla Common Defence and Security Policy che, ad oggi, non prevede la partecipazione dei delegati danesi. In sostanza, quando ai meeting europei si parla di difesa, i Ministri della nazione nordica lasciano la stanza, non partecipandovi per via dell’opt-out.
Gradualmente, l’Unione europea e gli Stati membri, compresi quelli più scettici a riguardo, stanno andando nella direzione del rafforzamento delle politiche difensive e di sicurezza. Il documento Strategic Compass, approvato nel mese di marzo, offre un’idea onnicomprensiva, da attuare entro il 2030, del quadro di riferimento nel quale la Ue opera. Con la certezza che “una Ue più forte e capace in materia di sicurezza e difesa — si legge nella descrizione dello Strategic Compass — contribuirà positivamente alla sicurezza globale e transatlantica ed è complementare alla Nato, che rimane il fondamento della difesa collettiva per i suoi membri. Intensificherà inoltre il sostegno all’ordine globale basato su regole, con al centro le Nazioni Unite”.
Un passaggio di fondamentale importanza, che chiarisce il valore del Patto Atlantico nell’architettura difensiva europea e mondiale. Una risposta esplicita, dunque, ai tre precedenti quesiti? Solo parzialmente, perché per concretizzare il graduale rafforzamento previsto dallo Strategic Compass servirebbe quantomeno una riforma generale della Ue, della Nato, e del rapporto con gli Stati Uniti. Partendo da Bruxelles, che con lo Strategic Compass definisce un qualche risveglio geopolitico della Ue, senza però dargli alcuna reale efficacia. Le soluzioni ideate sono a dir poco roboanti, ma Parturient montes, nascetur ridiculus mus: la montagna ha partorito un topolino, per essere generosi.
“Dobbiamo essere in grado di rispondere a minacce imminenti o reagire rapidamente a una situazione di crisi al di fuori dell’Unione, in tutte le fasi del ciclo del conflitto. A tal fine, svilupperemo la EU Rapid Deployment Capacity, che ci consentirà di schierare rapidamente una forza modulare fino a 5000 truppe, comprese quelle di terra, componenti aeree e marittime”, si legge nel documento. Evidentemente, non abbastanza per affrontare i reali pericoli potenziali alle istituzioni europee in arrivo da forze esterne. Ecco perché se Bruxelles vuol davvero diventare un reale attore per la sicurezza, è fondamentale una generale riorganizzazione, che può avvenire principalmente con un nuovo trattato che riformuli l’idea stessa di Ue, che superi definitivamente la concezione nazionale, andando oltre l’interesse specifico del singolo Stato.
Il nodo sulla Nato
Sul fronte Usa, Washington da tempo lamenta la ridotta spesa militare da parte dei Paesi europei in seno alla Nato. È famigerato il tweet dell’ex Presidente degli Stati Uniti Donald Trump che, a luglio 2018, col suo inconfondibile stile scrisse: “Le nazioni Nato devono pagare di più, gli Stati Uniti devono pagare di meno. Molto iniquo!”. Ora i Governi, a causa della guerra di Mosca contro Kiev, sono maggiormente stimolati al raggiungimento del 2% del Pil, primo step di una crescita nella spesa militare da adottare nel corso degli anni. Ma ciò che ormai si evince è che gli Usa non possono permettersi di tenere aperti contemporaneamente molteplici fronti. Da qui, l’urgente necessità di trovare la strada adeguata per una difesa europea autonoma, capace al tempo stesso di proseguire il cammino nel solco del Patto atlantico.
D’altro canto, il ritiro dall’Afghanistan è un esempio palese della differenza di opinioni tra Alleati, con gli europei particolarmente critici sulla scelta statunitense di abbandono tout court del Paese, oggi in mano ai Talebani. Eppure, nonostante la loro contrarietà, le capitali del Vecchio Continente hanno dovuto seguire il volere di Washington perché incapaci, senza la struttura logistico-militare Usa, di proseguire una missione che avrebbe, quantomeno, permesso una gestione più accorta del cambio di potere verificatosi a Kabul. Probabilmente, evitando le ignobili scene di cittadini disperati ammassati nella pista dell’aeroporto, alcuni aggrappati ai velivoli militari già decollati, nel disperato tentativo di scappare dalla loro stessa nazione.
Paradossalmente, la Nato è stata letteralmente rivitalizzata dall’invasione della Federazione russa in Ucraina. Sembrano lontanissimi i tempi in cui il Presidente francese Emmanuel Macron affermava, nel 2019, che il Patto atlantico viveva uno stato di “morte cerebrale”. Il capo dell’Eliseo, al tempo stesso, evidenziava che l’Europa era sull’orlo del precipizio, che necessitava un ripensamento sia strategico che geopolitico o, diversamente, non sarebbe più stata in grado di controllare il proprio destino. All’epoca, il Presidente Trump spaventava gli Alleati europei per via del suo allontanamento dai principi multilaterali. Ma ieri come oggi, come affermato dallo stesso Macron, la verità è che le nazioni europee non possono fare affidamento solo sugli Usa per difendere i Paesi membri della Nato.
Se si concretizzeranno le profonde modifiche necessarie per riformulare l’esistenza della Nato alla luce, eventuale, di un esercito europeo, sarà necessario un nuovo trattato tra membri dell’Ue che preveda un’ampissima cessione di sovranità a un unico organismo, capace di prendere decisioni autonome o, quantomeno, non all’unanimità in politica estera e di difesa. Questo scenario vedrebbe la riformata Unione europea, e non i singoli Stati, all’interno del Patto atlantico in quanto membro unico, con un solo esercito e capacità autonoma di fronteggiare le minacce in arrivo da est. Ma le pagine del futuro difensivo europeo sono ancora tutte da scrivere.
Testo e foto pubblicati per gentile concessione di Eastwest, magazine di geopolitica diretto da Giuseppe Scognamiglio www.eastwest.eu
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