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Un Qatar sessista e omofobo spera nei mondiali di calcio per superare il ruolo di potenza regionale

Per quanti sforzi faccia, l’emirato resta prigioniero della sua immagine di luogo di sfarzo miliardario ma dai costumi ancestrali in cui dominano ancora leggi che penalizzano fortemente la vita delle donne e degli omosessuali

di Gianni Perrelli

Il Qatar fino a mezzo secolo fa (l’indipendenza dal Regno Unito è del 1971) era una sonnolenta penisola di coltivatori di perle. Coi mondiali di calcio iniziati in questi giorni (dove manca surrealmente l’Italia campione d’Europa) si consacra come potenza regionale, lanciando la sfida a Dubai nella corsa alla leadership dell’area. La dinastia Al Thani, da sempre al potere, non ha badato a spese per trasmettere del minuscolo emirato (poco più di 2 milioni di abitanti concentrati perlopiù nella capitale) un’immagine di grande opulenza. Ha investito circa duecentoventi miliardi di euro per organizzare il mondiale più costoso di tutti i tempi. Ha costruito dal nulla otto nuovi stadi, tutti intorno a Doha. Ha innalzato decine di grattacieli avveniristici e di alberghi di lusso per dare un messaggio di estrema modernità. Ha messo a punto un complesso piano di rivalutazione urbanistica, fra infrastrutture, ponti, strade, edilizia privata, cura del verde. Non ha trascurato alcun dettaglio. Ma non è riuscito, né poteva per la scarsità di attrazioni, trasformare il Qatar in un’ambita meta turistica.

Doha, a parte gli abbacinanti lustrini dei grattacieli e delle riserve di caccia del lusso, offre molto poco. Ha un mare poco balneabile. Un deserto che invita a qualche escursione di dimensioni ridotte. Ma soprattutto manca di stimoli mondani, al di fuori dei circuiti esclusivi degli alberghi pentastellati. Non ha una vita notturna. Secondo i più rigidi principi islamici ha messo totalmente al bando gli alcolici. Compresa la birra di cui stanno avvertendo molto la mancanza le avanguardie delle tifoserie straniere affacciatesi per i primi incontri. Il numero dei visitatori nella settimana inaugurale sembra inferiore alle attese anche per i prezzi spropositati (fino a mille euro a notte negli hotel a cinque stelle). Pare che per colmare i vuoti siano stati ingaggiati nuclei di residenti stranieri per fingersi tifosi delle squadre più in vista. Con un compenso di 700 dollari e un pacchetto di biglietti di ingresso negli stadi.

Per quanti sforzi faccia, il Qatar resta prigioniero di costumi ancestrali in cui domina ancora la sharia. Che penalizzano fortemente la vita delle donne. Considerano l’omosessualità “un danno mentale”. Non danno alcun valore alla difesa dei diritti civili. Un’insensibilità che aveva già macchiato l’organizzazione dei mondiali, con le migliaia di immigrati asiatici ingaggiati a stipendi da fame (250 dollari al mese) per la costruzione degli stadi. E trattati quasi come schiavi: orari di lavoro massacranti, alloggi in tuguri, passaporti ritirati dalle autorità per timore di fughe. Si calcola che circa 6 mila lavoratori dell’edilizia abbiano perso la vita, anche se non esistono conferme ufficiali.

Al Thani

Per risollevare la reputazione non basterà certo il mondiale, assegnato peraltro in maniera opaca con intrighi francesi (gli Al Thani sono proprietari del Paris Saint Germain) che chiamarono in causa anche il presidente Sarkozy interessato al gas del Qatar. Una designazione su cui continuano ad addensarsi sospetti di corruzione. Una scelta bizzarra per un torneo piazzato per la prima volta a causa delle alte temperature nella stagione autunnale. Che ha imposto lo stravolgimento dell’annata calcistica, con la sospensione di tutti i campionati.

Quando calerà il sipario Doha con le immense riserve di gas rimarrà una potenza energetica. Coi tentacoli allungati anche in Europa nel mondo dei media (Al Jazeera), dello sport e della moda, sarà ancora una cassaforte internazionale nell’ambito del glamour. E con l’appoggio fornito in Libia insieme alla Turchia a Tripoli (contro le fazioni del Parlamento di Tobruk, sostenute da Egitto e Russia) eserciterà sempre una forte influenza politica. Ma il Qatar appare ancora troppo ingessato per competere con la dinamicità degli Emirati Arabi. Che sull’altare dei tornaconti finanziari sono disposti a chiudere un occhio sui tabù della morale islamica (alcol e perfino prostituzione inclusi).

Poi c’è il grande calcio. Che potrebbe anche ridimensionare le polemiche sui diritti civili se la manifestazione decollerà. Favorito d’obbligo, come sempre, è il Brasile. Per titoli nobiliari (cinque Coppe vinte) e spessore tecnico. Anche se non appare una squadra irresistibile. Con Neymar e Vinicius jr. sembra più forte in attacco che in difesa. Ma, per tradizione, è anche una compagine che soffre di sbalzi emotivi. Otto anni fa, proprio nel mondiale brasiliano, perse in semifinale 7-1 a Belo Horizonte contro la Germania. Una Caporetto che bissò la tragedia nazionale del ‘50 quando nell’incontro conclusivo al Maracanà di Rio de Janeiro il Brasile si fece superare dall’Uruguay provocando ondate di suicidi.

Se i pronostici saranno confermati in finale il Brasile potrebbe affrontare i campioni del mondo in carica della Francia. Una formazione quadrata che ha la sua punta di diamante in Mbappè, l’attaccante oggi più quotato al mondo, erede dello scettro per oltre un decennio detenuto alternativamente da Cristiano Ronaldo e Leo Messi. Ma che ha perso proprio alla vigilia per infortunio una forza della natura come Benzema.

Quotata per il rush finale è anche l’Argentina di Messi che vorrebbe concludere la gloriosa carriera con un titolo che gli è sempre sfuggito. Non per eguagliare ma almeno per abbordare il mito di Maradona. Molto apprezzate sono anche la Germania, con l’efficienza dei suoi vivai, la Spagna che riserva sempre sorprese, l’Inghilterra (che pure promette sempre e non vince quasi mai) con la sua band di giovani talentuosi, e un po’ in subordine il Portogallo di Cristiano Ronaldo probabilmente come Messi al suo ultimo mondiale.

Se si fosse qualificata anche l’Italia di Mancini avrebbe avuto qualche chance. L’Italia, però, compatta che neanche un anno e mezzo fa vinse il campionato europeo battendo a Londra l’Inghilterra. Non l’Italia che soccombe mestamente all’Austria in un’amichevole crepuscolare.

Meme ironico sull’Italia fuori dai mondiali

E’ già il secondo mondiale che restiamo a casa. Un’onta insopportabile per una Nazionale che appartiene di diritto all’aristocrazia del pallone, avendo conquistato quattro Coppe del mondo (appena una meno del Brasile) e disputato sei finali.

Le ragioni della decadenza son molteplici. In primo piano l’esiguo impiego di giocatori italiani in un campionato infarcito di stranieri che limita per Mancini le possibilità di selezione. E poi la crisi dello spontaneismo, il calcio giocato un tempo dai ragazzini per strada e negli oratori, sostituito dalle scuole che insegnano più tattica che tecnica e non lasciano quasi mai sbrigliare la fantasia dei calciatori in erba. Ma il football è anche il regno dell’imponderabile. Fino a pochi mesi fa occupavamo posti di prima fila nel ranking internazionale. Non possiamo di colpo esserci così imbrocchiti. Per rinascere potrebbe bastare lo spirito di spregiudicatezza e di ambizione che ci portarono alla conquista dell’alloro europeo. Ai mondiali del 2026 che si disputeranno in tre stati (Usa, Messico e Canada) quasi sicuramente ci saremo. Anche perché le squadre ammesse saranno 48 e non 32 come in Qatar.

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