di Velia Iacovino
“Una guerra di segreti e bugie. E soprattutto una guerra personale del premier israeliano Benjiamin Netanyahu”. Cosí, Hafez Barghouthi, giornalista e scrittore palestinese, insignito nel 2005 dal Presidente Carlo Azeglio Ciampi dell’onorificenza dell’ Ordine della Stella della Solidarietà Italiana, ex direttore di Al Hayat Al Jadeeda, il piú importante giornale di Ramallah, definisce, in un’intervista con Associated Medias, il conflitto in atto tra Israele e Gaza.
“Una guerra di segreti e bugie. E soprattutto una guerra personale del premier israeliano Benjiamin Netanyahu”. Cosí, Hafez Barghouthi, giornalista e scrittore palestinese, insignito nel 2005 dal Presidente Carlo Azeglio Ciampi dell’onorificenza dell’ Ordine della Stella della Solidarietà Italiana, ex direttore di Al Hayat Al Jadeeda, il piú importante giornale di Ramallah, definisce, in un’intervista con Associated Medias, il conflitto in atto tra Israele e Gaza.
Un conflitto ricco di misteri e interrogativi senza risposta, dice, al quale Netanyahu “porrá fine quando avrá trionfato o trovato la sua via d’uscita” e sistemato i suoi problemi giudiziari. Ma fin a quel momento, sostiene Barghouthi, le bombe continueranno a piovere su Gaza e i suoi ospedali e a uccidere donne, uomini e soprattutto bambini. Di innocenti finora, come ha denunciato il segretario generale dell’ Onu, Antonio Guterres, ne sono morti piú che in qualsiasi altro conflitto. Un incubo umanitario senza fine, con un numero di vittime civili complessivo pari a quello di due anni di guerra tra Ucraina e Russia, dal quale anche gli Stati Uniti, con il presidente Joe Biden che inizialmente ha dato luce verde alla controffensiva sperando di trarne un vantaggio elettorale, vorrebbero disimpegnarsi.
Un attacco sfuggito di mano?
Ma ritorniamo al 7 ottobre. Al giorno in cui Hamas ha lanciato l'”operazione alluvione Al-Aqsa”. “E’ davvero possibile – si domanda Barghouti¬ che la sicurezza israeliana e l’intelligence israeliano non sapessero nulla di quello che stava per accadere, quando il territorio di Gaza, come a tutti è noto, è da sempre tenuto sotto stretta e ininterrotta sorveglianza da Israele che ha telecamere e mitragliette costantemente puntate sulla Striscia?…E’ possibile che non si fossero accorti delle esercitazioni di Hamas, che, a quanto si è detto, duravano da almeno due mesi?”. L’azione preparata a Gaza da Yahya Sinwar, leader di Hamas nella Striscia, “è stata condotta da una divisione di appena mille uomini. E questo suggerirebbe che l’attacco forse mirava solo ad uno scambio di prigionieri, probabilmente… poi, la mancata reazione di Israele ha fatto scattare l’illusione di poter ampliare l’attacco. Questo spiegherebbe perché i leader politici di Hamas all’estero non ne sapevano nulla e cosí il Qatar, che dal 2017 sborsa milioni di dollari per tenere a bada il movimento come ha promesso a Washington… “.
Le inquietanti parole del ministro Smotrich sui prigionieri
Significa che Hamas potrebbe essere caduta in una trappola? “Questo è uno dei tanti misteri su cui interrogarsi. Certamente c’è da chiedersi perché ‘distruggere Gaza’ è diventato per Israele assolutamente prioritario rispetto a ‘liberare’ i prigionieri? Non possiamo dimenticare – sottolinea il giornalista- le parole pronunciate il 13 ottobre dal ministro delle Finanze israeliano Bezalel Smotrich che invitava a ‘colpire brutalmente Hamas e a non prendere in considerazione la questione degli ostaggi’. Cosa che sta provocando una profonda spaccatura all’interno del paese, con i tre quarti della popolazione che vuole le dimissioni di Netanyahu e migliaia che manifestano dinanzi alla sua casa di Gerusalemme chiedendo che venga messo in carcere”. “E c’è da chiedersi che cosa intendeva dire, al di lá degli accordi di Abramo, il premier israeliano quando a settembre all’Assemblea delle Nazioni Unite, sventolando una mappa di Israele nella quale non erano riportati i confini con la Palestina, ha parlato della nascita di un nuovo Medio Oriente? Si riferiva forse giá all’esistenza di un progetto preciso per Gaza?”
Il rapporto dell’intelligence israeliano
Ad avvalorare questa tesi è anche un rapporto, attribuito all’intelligence israeliano da fonti autorevoli, che circola da tempo. Il dossier illustra e analizza tre diverse ipotesi sul futuro della Striscia che in sintesi sono: mantenere la popolazione nella Striscia di Gaza e trasferire l’autorità alla Palestina; mantenere la popolazione nella Striscia di Gaza e istituire un’autorità locale araba; evacuare la popolazione civile da Gaza al Sinai. Di quest’ultima nel rapporto si dice che è l’opzione “che porterà a risultati strategici positivi a lungo termine per Israele” e si sottolinea che per tradurla in realtá ci sará “bisogno di una risoluta determinazione politica di fronte alle pressioni internazionali”.
Le fasi giá scritte dell’attacco a Gaza
Quel che segue suona davvero inquietante e assomiglia alla cronaca dei fatti ai quali stiamo assistendo da oltre un mese in Medio Oriente. “Nella prima fase, saranno condotte operazioni aeree concentrate a nord della Striscia, allo scopo di creare spazio per manovre terrestri nella zona di evacuazione, in modo da evitare combattimenti in aree densamente popolate da civili. La seconda fase sarà una manovra terrestre intensiva mirata a occupare gradualmente il territorio, iniziando dal nord e seguendo il confine orientale per poi completare l’occupazione dell’intera Striscia e bonificare i cunicoli sotterranei dei combattenti di Hamas. La fase intensiva della manovra terrestre richiederà meno tempo, se confrontata con le prime due opzioni, riducendo quindi il rischio di un’ulteriore apertura del fronte settentrionale, parallelamente alle operazioni nella Striscia di Gaza. È importante – si osserva nel dossier – mantenere aperte le rotte di transito verso sud per consentire l’evacuazione dei civili verso Rafah”. Quanto al problema della legittimitá internazionale, “Inizialmente – è la previsione che viene fatta- sembrerebbe che questa opzione, che comporta un’ampia evacuazione della popolazione, potrebbe essere problematica dal punto di vista della legittimità internazionale. Secondo il nostro parere – si legge- il combattimento dopo lo sgombero della popolazione porterà a un numero inferiore di vittime civili rispetto a quanto previsto se la popolazione dovesse rimanere nella Striscia, come nelle prime due opzioni”. Da un punto di vista legale viene anche spiegato: “Stiamo parlando di una guerra difensiva contro un’organizzazione terroristica che ha eseguito un’invasione militare delle terre israeliane. La richiesta di evacuare la popolazione non combattente dalla zona è un’azione accettabile volta a salvare vite umane, come è stato fatto dagli Stati Uniti in Iraq nel 2003”. Nel dossier inoltre si suggerisce che “Israele dovrebbe lavorare per promuovere un’ampia iniziativa diplomatica con l’obiettivo di coinvolgere paesi disposti ad assistere la popolazione sfollata…”.
L’alba di un nuovo Medio Oriente
L’obiettivo e l’esito finale di tutto ció? E’ probabilmente quello impresso sulla cartina geografica sventolata da Netanyahu all’Assemblea delle Nazioni Unite due mesi fa: l’alba di un nuovo Medio Oriente senza Palestina. Lo suggerisce il sangue che scorre oggi a Gaza e le immagini di migliaia di palestinesi che lasciano le loro case. Ma noi vogliamo credere ancora nella possibilitá che si realizzi il sogno degli uomini di pace e che possano finalmente nascere due stati liberi e autonomi.